Strategie di prevenzione e gestione del moral distress negli infermieri dell’area di emergenza-urgenza durante la pandemia da Covid-19: studio qualitativo presso un presidio ospedaliero milanese

Strategies for prevention and management of moral distress in nurses in the emergency area during the Covid-19 pandemic: a qualitive study at a Milan’s hospital

 

RIASSUNTO

Introduzione. La pandemia da Covid-19 ha coinvolto in modo significativo la popolazione infermieristica, diffondendo incertezze e paura. Gli infermieri hanno provato stanchezza fisica e mentale a causa del senso di impotenza, dell’aumento del carico di lavoro, della mancanza di dispositivi di protezione individuale e dell’alto rischio di contagio e trasmissione ai familiari. Obiettivo. indagare il vissuto degli infermieri delle Strutture Operative di Rianimazione generale e di Pronto Soccorso dell’Ospedale L. Sacco relativo al moral distress vissuto durante le prime ondate della pandemia Covid-19 e le strategie messe in atto al fine di gestirlo. Metodi. È stata condotta un’indagine qualitativa, a seguito di una revisione bibliografica, in cui sono stati coinvolti dieci infermieri delle due Strutture Operative in questione tramite campionamento di convenienza. Sono state effettuate delle interviste, audio-registrate e analizzate tramite metodo Coalizzi. Risultati. L’analisi dei dati ha permesso di definire 22 sottotemi e 5 temi principali: emozioni, setting lavorativo, vita quotidiana, narrazione, strategie. Conclusioni. I risultati permettono di descrivere il vissuto degli infermieri, le riflessioni in merito e le modalità di gestione del moral distress. Il vissuto è carico di sofferenza, paura e rabbia: alcuni episodi dolorosi sono ancora vividi. Nonostante la necessità di isolarsi, gli infermieri hanno avuto il supporto di colleghi e famigliari per gestire le emozioni legate alla situazione. Sono state anche indagate le strategie di gestione del moral distress che hanno sottolineato come ci sia stata la mancanza di un supporto da parte dell’azienda che avrebbe potuto esserci nel momento di maggiore bisogno.

 

ABSTRACT

Introduction. the pandemic from Covid-19 has involved significantly the nursing population, spreading uncertainty and fear. Nurses experienced physical and mental fatigue due to the feeling of impotence, increased workload, lack of personal protective equipment and high risk of infection and transmission to family members. Objective. to investigate the experience of the nurses of the Operative Structures of General Resuscitation and Emergency Hospital L. Sacco related to moral distress experienced during the first waves of the Covid-19 pandemic and the strategies put in place to manage it. Methods. a qualitative survey was carried out, following a bibliographical review, in which ten nurses from the two Operative Structures in question were involved through sampling of convenience. Interviews were conducted, recorded and analyzed using Coalizzi method. Results. The data analysis allowed to define 22 sub-themes and 5 main themes: emotions, work setting, daily life, narration, strategies. Conclusions. The results allow to describe the experience of the nurses, the reflections on the subject and the methods of managing moral distress. The experience is full of suffering, fear and anger: some painful episodes are still vivid. Despite the need to isolate themselves, the nurses had the support of colleagues and family members to manage the emotions related to the situation. They were also investigated the strategies of management of moral distress that pointed out that there was a lack of support from the company that could have been there at the time of greatest need.
Parole chiave. Covid-19; Moral distress; Infermieri/nurs*; area critica/intensive care unit.

 

INTRODUZIONE

Il termine Moral Distress (MD) è stato introdotto dal filosofo A. Jameton nel 1984 per descrivere la sensazione dolorosa che si manifesta quando si è consci dell’azione moralmente più appropriata alla situazione, ma non è possibile metterla in atto a causa di ostacoli istituzionali.
Il concetto è stato rivisto più volte nel corso degli anni e ha subito delle modifiche. Nel 1995 Corley sviluppò la Moral Distress Scale (MDS), revisionata successivamente nel 2001, consentendo una valutazione standardizzata e dimostrando come il MD si ripercuotesse sull’attività infermieristica, finanche sfociando in insoddisfazione professionale e nell’abbandono della professione (Corley, 2002; Elpern EH et al. 2005).
Il MD è riscontrato maggiormente in ambito sanitario: in particolare sono gli infermieri di area critica ad esserne più soggetti. Questo potrebbe essere riconducibile alla complessità assistenziale e alla necessità di affrontare spesso momenti stressanti e moralmente difficili che possono influire negativamente sull’attività lavorativa. (De Villers MJ et al., 2013; Elpern EH et al. 2005; Hamric AB et al., 2007; Simonetto P. 2015).
Non affrontare il MD è associato a una maggiore incidenza di burnout e alla richiesta di abbandonare la struttura operativa (SO) o la professione. La letteratura sul MD tra gli infermieri è largamente trattata in Nordamerica, mentre, per quanto riguarda la realtà italiana, è un argomento che, solo recentemente, sta occupando uno spazio rilevante. (Lovato 2015).
Il MD determina conseguenze sia a livello fisico che mentale, con ripercussioni sulla qualità dell’assistenza erogata. Chi ne è afflitto può sperimentare labilità emozionale, rabbia, apatia, irritabilità e diminuzione dell’entusiasmo. A livello cognitivo si verificano noia e incapacità di concentrazione con conseguente riduzione delle attività lavorative. Tutto ciò si ripercuote sull’ambito fisico, nel quale si manifestano diminuzione dell’energia, della resistenza e della forza, fino a un generale aumento della sensazione di malessere, andando in alcuni casi a ripercuotersi persino sui rapporti sociali. (Boyle, D. 2011).
Oltre al vissuto personale, anche l’ambiente influisce sul MD: recenti studi hanno evidenziato come lavorare in realtà in cui il clima organizzativo è caratterizzato da conflitti, scarsa comunicazione in equipe e competizione sono associate a una maggiore incidenza del fenomeno.
La sempre maggiore diffusione del MD ha reso necessaria la pianificazione e attuazione di strategie di contenimento del danno per evitare ripercussioni sull’assistenza e conseguenze estreme come l’abbandono della professione.
Il MD è un insieme di fattori multidimensionali che vanno ad interagire su più sfere, tra cui quella sociale, individuale, istituzionale ed organizzativa. Ciò implica la necessità di mettere in atto una prevenzione che agisca su tutti i livelli.
A tal fine sono state proposte diverse strategie: riconoscerne precocemente la presenza, identificarne l’origine (Perna 2020), effettuare incontri di counseling, sviluppare strategie di coping, favorire il sonno e il rilassamento fisico e mentale (Cariota Ferrara e La Barbera 2006; Sondhi, S., Sharma, T. and Williams, D., 2019; Rossati e Magro 2001; Dominguez-Gomez e Rutledge 2009).
Un’adeguata organizzazione del lavoro e una remunerazione bilanciata alle responsabilità e all’opportunità di crescita sono fattori importanti che incidono sul MD (Cherniss 1992; Adriaenssens, de Gucht, e Maes 2015).
L’avvento della pandemia da Covid-19 (Marzo 2020) ha reso necessario provvedere ad un aumento dei posti letto, ripercuotendosi sul carico assistenziale dei professionisti determinato dall’OMS. (Piccione, 2020). Il carico di lavoro assistenziale infermieristico si è incrementato, in relazione alla tipologia di pazienti, al setting lavorativo e ai dispositivi di protezione individuale (Lucchini et al., 2020).

 

OBIETTIVI

Indagare, tramite indagine qualitativa, il vissuto relativo al MD degli infermieri di area critica di 2 strutture operative (Rianimazione Generale e Pronto Soccorso) di un ospedale milanese durante le prime ondate della pandemia da Covid-19 e le strategie di gestione messe in atto.

 

METODI

La ricerca bibliografica è stata svolta tra Marzo ed Aprile 2022 tramite consultazione delle seguenti banche dati: PubMed, Embase, Cinahl, Scopus e PsycINFO.
I soggetti coinvolti sono stati arruolati tramite campionamento di convenienza e adesione volontaria, successiva ad invito, previa autorizzazione da parte della direzione aziendale e dei coordinatori delle Strutture Operative (S.O.) coinvolte. Tra l’intervistatore e i partecipanti non era presente alcun tipo di relazione.
Al fine di testare le capacità dell’intervistatore e rendere familiare il contesto sono state effettuate 2 interviste di prova ad infermieri tutor del Corso di Laurea d’Infermieristica che non sono state incluse nell’analisi.
Il campione ottenuto è composto da 17 infermieri di cui 7 della S.O. Rianimazione Generale e 10 della S.O. Pronto Soccorso e del gruppo nessun partecipante ha rifiutato di effettuare l’intervista. I colloqui sono stati effettuati in un locale dedicato in ciascuna delle S.O. in modo tale da garantire la privacy e per tale motivo non erano presenti uditori o facilitatori.
Durante le interviste sono state prese delle note dall’intervistatore al fine di facilitare l’interpretazione dei dati e non si è reso necessario ripetere nessun colloquio.
Per il reclutamento sono stati definiti i seguenti criteri di inclusione: almeno 2 anni di esperienza nell’area di emergenza-urgenza e aver lavorato in realtà Covid nel periodo di interesse.
L’indagine è stata condotta attraverso interviste semi-strutturate e ad ogni intervista sono stati dedicati 10-15 minuti. Previa autorizzazione, le interviste sono state registrate. Sono state poste 3 domande aperte ad ogni partecipante:

“Come ha impattato la pandemia sul suo lavoro?”
“Come ha impattato la pandemia sulla sua vita privata?”
“Quali strategie ha messo in atto per affrontare questa situazione?”

Per garantire il rigore scientifico, l’analisi dei dati è stata condotta tramite metodo Colaizzi (Fain 2004) e al termine dello studio i risultati sono stati condivisi con i partecipanti dello studio e le S.O.

 

RISULTATI

A seguito dell’analisi dei dati raccolti mediante intervista, sono stati individuati 5 temi principali con i relativi sottotemi (TABELLA 1):

Per quanto riguarda le emozioni, quella che è stata riferita da una quota maggiore degli infermieri (15/17; 88,2%) è stata la paura legata al rischio di contagio e alle poche conoscenze (“Stare a contatto con qualcosa che non si conosceva faceva paura ed era molto stressante”). Nonostante fosse più percepita nelle fasi iniziali, permane il timore che possa verificarsi una situazione di ricaduta. Tutto ciò ha determinato dei cambiamenti nel “modo di essere” (“È cambiato il mio approccio di contatto al paziente: anche se il paziente è pulito non esiste che io non metta un camice, non esiste che non metta due paia di guanti per un igiene al paziente”). Solo un ridotto numero di infermieri (2/17; 11,8%) ha affermato di “non aver mai avuto paura di contagiarsi”.
Oltre alla paura, una minoranza (2/17; 11,8%) degli intervistati ha riferito di aver provato rabbia, sia legata all’impotenza di agire sia nei confronti di chi “non riusciva a capire” (“Odiavo il menefreghismo della gente, odiavo i no covid; odiavo essere presa in giro perché ero vestita quando la colpa era loro”). Più volte durante le interviste sono emersi un senso di impreparazione ed impotenza, soprattutto nelle prime fasi, poiché si conosceva poco e nessuno aveva vissuto esperienze simili in passato ( “Non mi sono mai trovato a gestire un numero così alto di pazienti ed una notte ricordo di aver avuto 100 pazienti a carico ;“Ricordo che i pazienti durante la prima ondata facevano dei farmaci antiretrovirali che provocavano vomito ed erano tutti in CPAP: se toglievi il casco soffocavano per mancanza d’aria e se non lo toglievi soffocavano nel vomito”; “È stato devastante ricevere domande da parte di parenti a cui spesso non sapevo rispondere“).
Uno degli aspetti che maggiormente ha colpito gli infermieri è stato l’isolamento dai propri affetti che gli occhi dei pazienti comunicavano; avevano paura di essere lasciati soli e gli operatori non potevano “restare a guardare” (“… ricordo che nelle videochiamate piangevo insieme a loro perché sapevo che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero potuti sentire e vedere”).
Nonostante la paura, l’impreparazione e l’impotenza, dai racconti emerge anche la percezione di una soddisfazione, soprattutto in relazione al riconoscimento del ruolo professionale da parte dei Media e della popolazione (“Ci consideravano degli eroi”; “Ci hanno ringraziato tanto durante la pandemia…”). La soddisfazione, però, non ha permesso di cancellare gli insuccessi e le delusioni che gli operatori si trovavano ad affrontare (“Ho il ricordo di una mattina in cui in pneumologia c’erano 3 pazienti candidabili all’intubazione e quindi a venire in rianimazione e l’unico modo per avere un posto era “sperare” che qualcuno morisse”).
La pandemia è stata caratterizzata da un numero elevato di decessi, che ha provocato un senso di sofferenza ed impotenza negli operatori. In particolare, l’aspetto che più ha colpito è stata la preparazione della salma: il protocollo prevedeva di “mettere nei sacchi” i pazienti deceduti e di disinfettare il corpo, senza rimuovere i presidi invasivi e questo era vissuto come “disumano” ai loro occhi (“Il non poter rimuovere le invasività è stato per me l’aspetto peggiore, il non poter restituire al corpo la sua dignità”). Anche stare accanto alla persona e cercare di rassicurarla, pur sapendo che probabilmente non ce l’avrebbe fatta è stato, per molti (4/17; 23,5%), fonte di frustrazione ed impotenza (“Pensare di essere le ultime persone che loro vedevano e cercare di tranquillizzarli che si sarebbero svegliati anche quando non era vero era qualcosa di devastante”).
A causa della pandemia non solo gli infermieri si sono dovuti adattare, ma anche il setting lavorativo ha subito delle modifiche, soprattutto perché nessuno era pronto a dover affrontare una situazione di tali proporzioni. L’aspetto più discusso riguarda i DPI che erano razionati, ma, nonostante ciò, gli infermieri non si sono mai tirati indietro.
Durante la prima ondata, quando non si avevano sufficienti conoscenze, si utilizzavano protocolli già in uso per patologie a trasmissione simile per il trattamento dei pazienti affetti da Covid-19. I protocolli, come riportato nelle interviste, venivano modificati repentinamente e più volte al giorno, ma nonostante questo, la maggior parte (8/17; 47%) afferma che tali documenti erano di grande utilità per la gestione del paziente (“Durante la pandemia ho iniziato ad utilizzare nuovi protocolli e mi hanno aiutato a migliorare l’assistenza”), mentre altri hanno affermato che non erano presenti delle disposizioni chiare (“Non ci erano state date delle disposizioni…”).
La forte tensione e paura vissuta durante le fasi inziali della pandemia ha portato numerosi infermieri di area critica (4/17; 23,5%) a rivalutare la professione infermieristica o, comunque, a voler cambiare ambiente lavorativo, come passare ad un altro reparto oppure a cambiare tipologia di lavoro (“…io lo amo tanto questo lavoro, ma sono stanca e ci sono giorni dove non ho più voglia di sentir parlare di ospedale”; “Psicologicamente è stato pesante e a volte senti che non ti piace più fare questo lavoro…”).
La pandemia ha determinato delle modifiche nell’assistenza infermieristica, non solo per quanto riguarda i tempi da dedicare al singolo, ma anche sulle procedure da applicare, data la mancanza di informazioni riguardanti il virus e ciò ha fatto percepire un peggioramento della qualità dell’assistenza (“Dovevamo fare assistenza a molti pazienti in un tempo limitato e penso che l’assistenza in queste condizioni sia peggiorata”; “Si garantiva una assistenza di emergenza, dove non era ben chiaro il quadro ma si ragionava sull’ABC e si agiva in base a quello”). In contrasto con le opinioni dei più, un solo infermiere ha dichiarato che l’assistenza fosse migliorata in quanto, passando molto tempo con i pazienti, si creavano relazioni più profonde e si utilizzava maggiormente l’empatia (“Penso che con questi pazienti l’assistenza sia migliorata, perché erano soli e non potevano parlare che venivano “messi in casco” e quindi cercavamo di stare con loro il più possibile”).
In una situazione così stressante la relazione con i colleghi (10/17; 58,8%), per molti, è stata di grande aiuto, soprattutto quando ci si poteva confrontare con infermieri con lunga esperienza (“Con i colleghi il rapporto era rafforzato e migliorato. Ci si faceva spalla a vicenda: se uno era stanco entrava nella stanza un altro e lo copriva e molte volte questo non accadeva durante la pre-pandemia. Iniziavamo il turno 1 ora prima per dare il cambio al collega stremato”; “Con i colleghi il rapporto si è rafforzato e si è creata più comunità, ci aiutavamo a vicenda e ci confrontavamo sulle decisioni da prendere”).
La pandemia ha influito in maniera rilevante sulla vita quotidiana degli infermieri, causando ripercussioni sull’aspetto relazionale, dell’alimentazione e del ritmo sonno-veglia.
La separazione dai famigliari e dagli amici è stata ritenute necessaria da parte di molti a causa della paura di contagiare i propri cari (“Durante i picchi, per proteggere la mia famiglia, mi sono isolata”; “Mi ricordo che per poter vedere i miei amici mi mettevo in fila al supermercato per poter chiacchierare e non pensare”). Altri invece hanno mantenuto il distanziamento nella propria abitazione abolendo ogni contatto fisico, mentre altri si sono stretti maggiormente alla famiglia (“Non mi sono mai isolato perché per me la famiglia è la cosa più importante; avevo paura di contagiare le mie figlie e cercavo di non baciarle, anche se non volevo che fossero traumatizzate dalla distanza”). È stato anche riportato che in alcuni casi erano amici e parenti che non volevano avere contatti con gli infermieri poiché lavoravano a stretto contatto con i pazienti affetti da questa patologia (“Molte volte consideravano te infermiere come l’untore e quindi chiedevo alle persone se se la sentissero di incontrarmi”).
Lo stress provocato dalla pandemia ha generato negli infermieri delle modifiche nelle abitudini di vita e l’introduzione di “valvole di sfogo” come cibo, fumo ed alcol, con ripercussioni anche sullo stato di salute (“Tendevo a mangiare molto, tanto che sono ingrassata di 10 kg e questo perché ero molto stressata”; “Ho aumentato il consumo di sigarette, da 5-6 sigarette sono passato a circa 15”; “Quando terminavo il turno di pomeriggio tornavo a casa, mettevo in microonde un piatto pronto e bevevo circa 3 birre”). A subire cambiamenti è stato soprattutto il sonno: molti soffrivano di insonnia a causa dell’ansia per la situazione e per i pochi periodi di riposo, mentre altri trascorrevano il loro tempo libero a dormire (“È stato il periodo in cui ho iniziato a soffrire d’insonnia perché lo stress psicologico e il lavoro erano intensi e questo provocava una scarica di adrenalina che era difficile poi spegnere a casa”; “Nella prima ondata ero molto stanca, tanto che mi addormentavo a cena”). Tutto lo stress ha portato ad un incremento dei casi di ansia ed attacchi di panico a causa della situazione, ma anche relativi al rischio contagio e al frequentare altre persone al di fuori dell’ambito lavorativo (“Sento molto di più lo stress, la stanchezza e la paura adesso rispetto alle prime ondate perché noto che nelle persone non fa più paura”; “Nulla era come prima, mi sentivo come in trincea; niente era rilassato o rilassante, si sentiva la fatica fisica, lo stress e la paura di contagiare ed ammalarti”).
Durante l’intervista gli infermieri hanno riportato episodi avvenuti durante la pandemia che li hanno personalmente interessati e molti di loro (12/17; 70,6%), nel racconto, sono stati investiti dal ricordo e dalle emozioni vissute e ciò ha reso difficoltoso esprimersi. In particolare, la difficoltà maggiore è stata raccontare la gestione della salma e le emozioni suscitate (“Vedevi dei corpi che erano anche persone e non avevi il tempo materiale di elaborare la cosa; la cosa più difficile era chiudere i corpi dei pazienti deceduti. L’immagine che mi davo erano delle piante che annaffiavamo con il disinfettante e volevo che quel momento non fosse asettico; era qualcosa di disumano”).
Altri infermieri invece hanno dichiarato di voler raccontare tutto ciò che hanno vissuto in modo che la loro testimonianza potesse far comprendere a tutti il forte momento affrontato (“Mi sono resa conto che capire realmente ciò che noi vivevamo in ospedale era difficile per loro…”; “Gli altri non potevano comprendere e mai potranno capire ciò che abbiamo vissuto, anche spiegare era complicato ed inutile”).
Per poter far fronte allo stress lavoro correlato la maggior parte degli infermieri (12/17; 70,6%) ha applicato delle strategie che hanno permesso di combattere il moral distress (TABELLA 2).

 

Il 29,4% degli infermieri intervistati ha dichiarato di non aver applicato nessuna strategia per affrontare la situazione, alcuni perché in grado di gestire la situazione e altri perché “non avevano il tempo di fermarsi”.

 

DISCUSSIONI E CONCLUSIONI

La pandemia è stata causa di un forte stress che ha portato gli infermieri a provare emozioni molto forti e destabilizzanti, prima fra tutte la paura, legata alle ridotte conoscenze del virus, di contagiare e contagiarsi. Essa era percepita maggiormente durante le prime fasi ed in particolare relativamente all’elevato tasso di mortalità tra gli assistiti, ma con il passare del tempo la paura si è ridotta, fino a diventare quasi la normalità, anche se è timore che possa ripresentarsi una situazione molto simile al passato in futuro. Tutto ciò ha portato a profondi cambiamenti personali negli infermieri; alcuni riferiscono di “aver cambiato modo di essere” non solo nella vita privata, ma anche professionale.
Oltre alla paura, si è verificato anche un senso di rabbia e di insoddisfazione negli infermieri, in particolare legata all’impotenza ed in parte anche all’ “indifferenza” dell’utenza.
Durante le interviste è stato riportato che l’assistenza aveva come unico obiettivo quello di non far morire i pazienti ed era basata sull’ABC (Airways-Breath-Circulation) e quindi lontana dal livello di accuratezza tipico del periodo pre-pandemico. Gli operatori, per proteggere e proteggersi, indossavano i DPI, rimanendo “vestiti” per tutta la durata del turno. La presenza di disposizioni era per molti di fondamentale importanza poiché permettevano di avere una base solida per agire al meglio in un momento di incertezza, soprattutto per gli infermieri che non avevano esperienze pregresse, anche se per necessità si modificavano anche diverse volte al giorno.
Il senso di solitudine provato dagli assistiti è stato ciò che più ha toccato gli infermieri; il non poter ricevere visite era per i pazienti doloroso e gli operatori cercavano di rimanere il più possibile nelle stanze, contravvenendo alle limitazioni temporali di permanenza nella stanza previsto dai protocolli, anche a discapito della propria sicurezza.
Una simile fatica fisica e mentale troppo spesso è sfociata in una assistenza percepita dai più come peggiorata (6/17; 35,3%), sia per le ridotte conoscenze riguardo il virus, sia per gli interventi ridotti che potevano essere effettuati.
La situazione di stress ed ansia è stata uno dei fattori che ha destabilizzato maggiormente gli infermieri, rendendoli stanchi, sia fisicamente che mentalmente, ed affranti sfociando in insoddisfazione lavorativa, che ha portato molti a rivalutare la professione e a pensare addirittura di lasciarla (4/17; 23,5%). Oltre alla rivalutazione relativa all’ambito lavorativo, alcune alterazioni si sono manifestate nelle abitudini di vita degli infermieri; in particolare è stato registrato un incremento del consumo di alcol e sigarette, un incremento dell’incidenza di insonnia e un cambiamento nelle abitudini alimentari. Gli infermieri hanno riferito un maggior consumo di cibi spazzatura, in primo luogo per la mancanza di orari fissi per i pasti, ma anche a causa della propensione a concedersi “sfizi” legata al livello di stress derivante dalla situazione vissuta (3/17; 17,6%). L’incremento del consumo di sigarette e di alcol è invece stato considerato come una “valvola di sfogo” per gli operatori e un momento di “pausa” dalla situazione (2/17; 11,8%).
Altra importante tematica presenti nei racconti della maggior parte degli infermieri (9/17; 53%) è l’insonnia, legata soprattutto all’ansia provata, al senso di pericolo, alle numerose morti e agli insuccessi che non permetteva di riposare e rendeva necessario assumere terapia farmacologica per poter “staccare” dalla situazione. Nonostante ciò, per alcuni intervistati (2/17; 11,7%), il livello di stanchezza era così ingente che trascorrevano il loro tempo libero a dormire.
Ciò che ha permesso alla maggior parte degli infermieri di contrastare le difficoltà è stata la relazione con i colleghi: viene riportato un maggiore senso di fratellanza e lavoro di squadra come mai era stato percepito.
Altro aspetto emerso è stata la difficoltà nel raccontare il proprio vissuto perché doloroso e molte volte le parole non erano in grado di esprimere ciò che gli operatori provavano e il tutto veniva espresso tramite momenti di silenzio e lacrime. Nonostante questa difficoltà gli operatori hanno espresso la volontà di raccontare ciò che era successo in modo che gli altri sapessero cosa avevano affrontato e in modo che gli altri li capissero. (TABELLA 3)

 

 

Per quanto riguarda le strategie attuate, più della metà degli infermieri ha applicato delle metodiche per gestire lo stress correlato alla pandemia; la maggior parte degli intervistati ha contrastato tale fenomeno intraprendendo un percorso di psicoterapia o dedicandosi all’esercizio fisico (7/17; 41%).
Il supporto psicologico da parte di professionisti o di amici e famigliari è stata la strategia più utilizzata (13/17; 76,5%): in un momento in cui il sostegno derivante dalla vicinanza fisica era impedito, ricevere un supporto emozionale è stato di grande aiuto.
L’esercizio fisico è stato per molti (3/17; 17%) un modo per poter sfogare la frustrazione legata allo stress; in particolare la corsa e la boxe sono stati i mezzi tramite cui gli infermieri sono riusciti a smaltire la tensione accumulata.
Altre strategie messe in atto sono state l’utilizzo di una terapia farmacologica per ridurre l’ansia e per poter dormire, l’isolamento sociale, la lettura, la musica, corsi di respirazione, dipingere e costruire.
Nelle interviste è emerso che 5 infermieri non hanno applicato alcuna metodica per la gestione e che chi ne ha avuto bisogno ha trovato da sé le strategie per affrontare la pandemia in quanto in merito è mancato il supporto da parte dell’azienda.
In 3 interviste su 17 è emerso un aspetto che non era stato inserito all’interno dell’indagine, ovvero il malcontento generato dalla situazione di forte stress e difficoltà, emozione che ha spinto ad un “allontanamento” dalla professione e all’idea di abbandonarla. Un esempio è stata la mancanza di linee guida precise relativamente alla vestizione/svestizione: alcuni operatori, infatti, non conoscevano le indicazioni, questo perché non sempre a contatto con situazioni che rendessero necessario l’utilizzo di questi dispositivi. Potrebbe risultare utile organizzare dei corsi al fine di formare il personale nel più breve tempo possibile e che, nel piano formativo aziendale, vengano previsti dei corsi di formazione specifica da ripetere almeno una volta l’anno, in modo da essere preparati nel momento in cui si dovesse presentare una situazione analoga.
Dai dati ricavati viene evidenziato come gli infermieri di area critica si siano dovuti rapportare con la morte e “l’inutilità delle cure”, concetti molto lontani dalle realtà intensive in cui la finalità non è l’accompagnamento, bensì cercare di mettere in atto interventi al fine di permettere alla persona il raggiungimento del maggior livello di benessere e autonomia possibile. Si è riscontrato un considerevole livello di disagio collegato alla modifica, dovuta alla pandemia in corso, delle modalità di gestione delle salme e, di conseguenza, dell’impossibilità di restituire al corpo il rispetto meritato. Per questi motivi potrebbe essere necessario prevedere, a livello istituzionale, dei momenti dedicati alla rivisitazione e condivisione delle proprie considerazioni e sentimenti.
Dalle interviste è emerso che gli infermieri abbiano dovuto “trovare da sè” le strategie per affrontare la situazione di forte carico emotivo, poiché “abbandonati dall’azienda”, e ciò ha portato alcuni a scegliere delle modalità non salubri, come l’aumento del consumo di alcol e di tabacco, determinando come conseguenze anche dei danni fisici. Potrebbe quindi risultare utile, come riportato in letteratura, formare gli infermieri in merito alle strategie da applicare nei momenti di forte stress, evitando che possano sviluppare abitudini malsane e riportare danni all’organismo, o allestire degli sportelli di ascolto, tattica messa in atto nell’azienda ospedaliera presa in considerazione a partire dalla seconda ondata.

 

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Elena Sassi

Infermiera presso ASST Fatebenefratelli-Sacco, Ospedale Luigi Sacco, Milano

Ernesto Evicelli

Infermiere Tutor professionale Corso di Laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Milano, ASST Fatebenefratelli Sacco Sezione Ospedale L. Sacco

Riccardo Balconi

Infermiere, Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche, Tutor professionale Corso di Laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Milano, ASST Fatebenefratelli Sacco Sezione Ospedale L. Sacco