Sessualità e disabilità, una questione ancora sommersa

Sexuality and disability, a matter still submerged

RIASSUNTO

A livello legislativo molti sforzi sono stati fatti a sostegno dei diritti, della dignità e della libertà umana nella disabilità. Molte leggi sono state promulgate per rendere nulla la disuguaglianza civile a fronte di una disuguaglianza naturale, cercando di inquadrare la disabilità come condizione socialmente acquisita e non come malattia. Così facendo è stato puntato un faro sulla scottante questione della sessualità nella disabilità. Purtroppo nell’opinione comune la sessualità nei disabili non costituisce un ambito di rilievo fra i bisogni primari. Il percorso di formazione di identità sessuale in un soggetto disabile è per tale motivo costellato da pregiudizi e stereotipi difficili da scardinare e che rendono il cammino verso l’emancipazione molto faticoso. Cambiare questa situazione passa inevitabilmente attraverso una sensibilizzazione sociale che preveda l’attuazione pratica e non solo formale della parità dei diritti, con campagne a lungo termine di sensibilizzazione sociale, sostegno alle famiglie e soprattutto la creazione di differenti figure professionali specifiche. Un impegno importante che deve scuotere l’opinione pubblica verso l’inclusione della disabilità, le cui scelte non devono essere condizionate ma consapevoli, e in cui la sessualità è vista come una normale tappa della vita di ognuno.
Attraverso questo lavoro si vuole far emergere come il binomio sessualità/disabilità sia ancora sommerso, poco dibattuto e faticosamente affrontato nelle istituzioni. Le prospettive legate alla sessualità per i disabili, fino ad un cambio sistemico e strutturale globale, oggi sono essenzialmente legate ai pochi progetti educativi esistenti che dovrebbero sempre più puntare al superamento della mancanza di autonomia ed autodeterminazione.

Parole chiave. sessualità, disabilità, normative, identità sessuale, inclusione, figure professionali, autodeterminazione

ABSTRACT

On a legislative level, many efforts have been made to support disability about human rights, dignity and freedom. Many laws have been promulgated to even civil inequality while facing natural odds, trying to contextualize disability as a socially acquired condition instead of framing it as a disease. In doing so, a pressing matter has been stressed out about the relevance of sexuality in disability: common belief does not consider sexuality in the disabled individuals as an important area among primary needs but just as a negligible one. Hence, the path towards forming a sexual identity in a disabled person is filled with prejudices and stereotypes hardly overcome, which make the route towards emancipation a challenging task. To change this situation, we must inevitably pass through a social awareness that provides a formal implementation of equal rights and a practical one, with long-term social awareness campaigns, support for families, and, above all, the creation of different specific professional figures. This is an important commitment that aims to awake public opinion towards the inclusion of disability, whose choices must be made thanks to the awareness and not through conditioning, and in which sexuality is seen as a normal stage in everyone’s life.
Through this work, we aimed to highlight how the sexuality/disability binomial is still unexplored, little debated and difficultly tackled by the institutions. Today the perspectives related to sexuality for the disabled, until we get a global systemic and structural change, are essentially dependent upon the few existing educational projects that should increasingly aim to overcome the lack of autonomy and self-determination.

Keywords. sexuality, disability, regulations, sexual identity, inclusion, professional figures, self-determination

Disabilità e diritto alla sessualità

La realtà dei disabili può essere percepita come quella di una minoranza della popolazione, in cui l’aspetto della sessualità è vissuto con distacco o inesistente. Se poi si pensa a una sessualità che si discosta da quella eterosessuale, si entra quasi in una dimensione difficilmente contemplabile. Un silenzio assordante che lascia in completa solitudine queste persone. Una situazione in cui le problematiche non sono mai state evidenziate e di conseguenza le conoscenze non sono mai state adeguatamente approfondite, privando in definitiva i disabili dei necessari percorsi di sostegno cui avrebbero bisogno/diritto.
Dagli anni ’80 un crescente interesse su tale argomento ha creato la possibilità di spazi di riflessione per riconoscere il diritto all’affettività e alla sessualità delle persone disabili, in modo da creare centri, sostenere le famiglie, formare personale qualificato per la riabilitazione e sdoganare tale concetto all’intera società, completamente cieca nei riguardi di questo diritto inalienabile.
Rousseau nel 1755 affermava che “la differenza naturale degli uomini non spiega affatto la loro disuguaglianza sociale, è la storia che li rende disuguali, non la loro natura”(Rousseau J.J., 1755)(1) mettendo l’accento sulla differenza tra disuguaglianza civile, dovuta all’evoluzione sociale dell’uomo, e disuguaglianza naturale, dovuta alle differenze fisiche fra gli individui. Questo concetto viene sottolineato in molte fonti del diritto:

  • Art. 2 della Costituzione italiana «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità».
  • Art. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite «ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione»
  • Inoltre l’Assemblea Generale dell’ONU nel 1993 ha promosso un documento attraverso il quale viene riconosciuto a tutti i portatori di handicap «il diritto di fare esperienza della propria sessualità, di vivere all’interno di una relazione, di essere genitori, di essere sostenuti nell’educazione della prole da tutti i servizi che la società prevede per i normodotati, compreso il diritto di avere un’adeguata educazione sessuale», sperando e augurandosi che con questo documento gli Stati Membri si facciano promotori del superamento degli stereotipi culturali che impediscono il riconoscimento di questi diritti.

Norme di questa caratura evidenziano il rispetto della specie umana nella sua totalità e diversità. A sostegno della dignità e della libertà umana, nessun atto di discriminazione è ammesso, pertanto coloro che vengono giudicati come emarginati, diversi, devono godere di una logica maggiormente inclusiva. Occorre stimolare atteggiamenti positivi, favorire la solidarietà, sostenere il diritto di fruire degli spazi comuni, incentivare la partecipazione a pieno della vita comunitaria delle persone in quanto tali. Questi concetti prevedono un approccio alternativo nei confronti della diversità, che non deve più essere recepita come un problema: è solo con tale approccio che le minoranze possono essere incluse e possono sentirsi come parte integrante della comunità.
Nel 2010 l’OMS ha dato una definizione operativa in merito ai diritti sessuali: «il raggiungimento della salute sessuale è legato alla misura in cui i diritti umani vengono tutelati, protetti e rispettati. I diritti sessuali abbracciano alcuni diritti umani che sono già riconosciuti nei documenti internazionali sui diritti umani e in altri accordi, oltre che nelle leggi nazionali […]. I diritti sessuali consistono nell’applicazione dei diritti umani esistenti per la sessualità e la salute sessuale. I diritti sessuali proteggono i diritti di tutte le persone affinché possano soddisfare ed esprimere la loro sessualità e godere della salute sessuale, nel rispetto dei diritti degli altri e in un quadro di protezione contro la discriminazione».
Tuttavia, ad oggi, le persone con disabilità vivono una condizione di invisibilità e spesso negano a loro stessi la possibilità di compiere le esperienze sociali, affettive e sessuali che desiderano, per non dover manifestare la propria condizione, con il risultato di essere invisibili tra gli invisibili.

Evoluzione della definizione di disabilità

La prima definizione di disabilità, data dall’OMS nel 1980 si basava sul classico modello medico in cui la disabilità di un soggetto è data da una malattia, ponendo l’accento sul malfunzionamento dovuto a cause organiche, stigmatizzando le persone e non il disturbo.
In seguito, nel 1997, L’ICIDH (Classificazione delle Menomazioni, delle Disabilità e dell’Handicap), presentato dall’OMS, ha affrontato il tema della disabilità come tema complesso che abbraccia le funzioni e strutture del corpo, le attività e la partecipazione. La revisione del 2001 come Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute (ICF) ha posto l’accento sulla salute come qualità della vita della persona attraverso l’analisi del funzionamento (funzioni corporee, attività e partecipazione), della disabilità (limitazione, restrizione alla partecipazione), dei fattori ambientali e personali. Quindi l’attenzione si è spostata sul benessere individuale, sulla qualità della vita e sulla libertà di vivere, andando oltre la condizione di disabilità, inglobando anche gli aspetti delle emozioni, della socialità e del benessere delle persone. L’handicap è considerabile in definitiva una condizione relativa ai fattori ambientali, dovuti all’organizzazione sociale, che tiene in poco conto le persone che hanno un qualsiasi impedimento, e non una condizione assoluta. In tale modo il focus viene spostato dalle persone disabili all’organizzazione della società contemporanea. In quest’ottica, la parola disabile assume il significato di condizione socialmente acquisita a partire da stati di salute svantaggiati, attribuendo all’ambiente la responsabilità della situazione di svantaggio delle persone.

Sesso, sessualità e disabilità a confronto

Il percorso di formazione dell’identità sessuale è comune a tutti gli individui, esso coinvolge dinamiche e processi molto profondi che non si esauriscono nella mera fisicità ma si valorizzano nelle dimensioni connesse all’affettività e all’intimità. La sessualità non può essere relegata semplicemente ad un atto, ma è essere, partecipare, condividere, sentire, mostrarsi ad un altro. La sessualità ha una dimensione biologica (ovvero come viene vissuto il proprio corpo), una dimensione sociale (ovvero un insieme di norme) ed una dimensione psicologica, caratterizzata da fantasie, tendenze, atteggiamenti. Questo percorso può risultare faticoso e non privo di eventi a volte dolorosi che contribuiscono alla formazione dell’individuo, il quale, in presenza di una disabilità, può subire condizionamenti tali fino a misconoscere o negare la sessualità stessa.
Tutto questo accade perché la realtà esterna è per lo più composta da individui che, nel rapportarsi con la disabilità, cadono preda dei loro pregiudizi e stereotipi su ciò che presuppongono essere diverso da sé. In base a quanto affermato non dovrebbero più esistere difficoltà per le persone disabili nel proprio percorso di sviluppo umano, tipicamente tendente alla realizzazione di sé. Ciononostante, i disabili percorrono un cammino di emancipazione molto faticoso: l’immagine di sé nel rapporto con le persone all’interno di una relazione viene infatti costantemente e inevitabilmente rimandata dall’interlocutore come deficitaria, non le viene data l’opportunità di esprimere sé stessa nella sua totalità, limitata dalle aspettative dell’interlocutore, viziate a priori. É evidente la conseguenza di negare alla persona disabile, così facendo, la possibilità di entrare in relazione con un reciproco riconoscimento, confinandola quindi quasi in un rapporto non vero, subordinato alle aspettative dell’altro. È viceversa la capacità dell’altro di mettersi nei panni del disabile che permette l’incontro con la diversità, gettando le basi per un rapporto paritario di crescita.
Oltre alla disabilità bisogna fare i conti con la questione delicata della sessualità. È un argomento scomodo, che il giudizio cattolico nel tempo ha reso disdicevole, inappropriato, impuro, esperibile solo ai fini procreativi. Difficile rispondere a tali questioni, tanto più se si cerca di evidenziare le norme legislative che abbiano eventualmente recepito tale cambiamento della società. Emblematico è il caso italiano in cui, ad oggi, nessuna specifica legge sulla sessualità delle persone disabili è stata ancora promulgata. Esiste solo una proposta di legge avanzata da Maximilliano Uliveri, responsabile del progetto “Lovegive”, con l’obiettivo di istituire la figura dell’assistente sessuale in Italia. A tale scopo il suo disegno di legge dal titolo Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità (2014) contiene un unico articolo (tutelare la sessualità e il benessere psicofisico delle persone con disabilità e ridotta autosufficienza a livello di mobilità e motilità). Ad oggi in parlamento non è stata ancora discussa questa proposta di legge: le ragioni sono molte, ma sicuramente quella più consistente è legata all’influenza culturale della religione dominante cattolica romana.
Riprendendo Maximilliano Ulivieri, «ci sforziamo di venire incontro alle persone con disabilità per ogni loro bisogno che non possa essere svolto in completa autonomia: le aiutiamo a vestirsi, spogliarsi, mangiare, lavarsi. Diamo loro carrozzine elettriche per muoversi, macchine con comandi speciali, computer dotati delle più moderne tecnologie, dotiamo le loro case di soluzioni domotiche che consentano una vita indipendente. Eppure, di tutti questi diritti – di cui nessuno metterebbe in dubbio la legittimità – ce n’è uno che viene sistematicamente taciuto, omesso, rimosso: quello alla sessualità. Toccarsi ed essere toccati, necessità naturali per chiunque, diventano questioni scabrose, disturbanti, scomode se riferite alle persone con disabilità» (Ulivieri, 2014) (2).
Come si vede, nonostante i progressi culturali e sociali intervenuti, i pregiudizi che la società ha nei confronti della diversità mantengono radici profonde da scardinare, pregiudizi che portano a vedere i soggetti disabili come malati e non come persone in cui il sesso e la sessualità, sentiti ancora come un tabù, costituiscono un aspetto delicato.
Si può ragionevolmente affermare che tutto ciò nasce dall’equivoco in cui spesso le persone incappano, non riuscendo a differenziare il concetto di sesso, associato all’aspetto puramente corporeo materiale, da quello di sessualità, in cui viceversa si fondono numerosi aspetti di natura psicologica e relazionale e dove le sensazioni e le emozioni, nati dalla mutua accettazione dell’altro, si legano a doppio filo in un gioco di piacere e sintonia profonda tra due persone. Pensare che sesso e sessualità siano la stessa cosa prepara il campo al pregiudizio e allo stereotipo che una persona disabile in quanto “malata” sia impossibilitata a fare sesso e quindi ad avere una sessualità, condizione quest’ultima erroneamente valutata non esperibile al di là dell’atto puramente carnale. La mancata apertura della società fa sì che esista il problema della sessualità nella disabilità; ciò scaturisce in definitiva dal preconcetto secondo cui per avere una propria sessualità occorre avere un corpo funzionante e attraente.
Questa prospettiva fa sì che la persona con disabilità venga vista, ancora oggi, solo in riferimento al suo deficit, in un’ottica puramente assistenzialistica, in cui è precluso ogni progetto di autonomia e autorealizzazione. Le priorità si concentrano esclusivamente su bisogni di tipo primario come l’igiene, l’educazione, l’istruzione; la sessualità non costituisce un ambito sufficientemente importante per essere affrontato. Questa visione è suffragata dalla convinzione che molti hanno del disabile come di un eterno bambino sempre bisognoso di cure. Condizione a causa della quale non vi è possibilità di crescita e maturazione.
Un’altra convinzione del pensare comune è credere che la persona disabile sia un individuo asessuato e quindi privo di desideri sessuali. Al contrario, il disabile, come il normodotato, ha bisogni fisici e affettivi e ignorare quest’ultimi costituisce una violazione all’autorealizzazione, che invece è un processo che deve inevitabilmente passare attraverso un percorso di maturazione e socializzazione, caratterizzato da emozioni, sentimenti e rapporti sperimentati nel proprio vissuto, in cui la sessualità è una tappa importante per la propria evoluzione. Una società veramente inclusiva riconosce l’identità sessuale di ogni persona.

Educazione ed assistenza sessuale ai disabili

Riprendendo il principio secondo cui il disabile è portatore di bisogni sia fisici che affettivi, oggi difficilmente riconosciuti nelle società attuali, è possibile fare qualche puntualizzazione sugli aspetti di assistenza a tali bisogni.
Il concetto di assistenza sessuale trova origine nei paesi anglosassoni. Esso si sostanzia attraverso l’idea di «essere con, essere presente e aiutare concretamente» (Cathrine Agthe Diserens e Françoise Vatré, 2012) (3) le persone con disabilità, anche attraverso interventi fisici. Secondo tale concetto, l’assistente sessuale si configura come un professionista adeguatamente formato in grado di ‘accompagnare’ alla sessualità la persona disabile.
L’approccio è strettamente correlato e dipendente dalle regolamentazioni sulle prestazioni sessuali vigenti nei vari paesi. Tale criticità è maggiormente evidenziata attraverso i lavori di Joachim Walter, in cui l’assistenza sessuale viene declinata in due categorie, assistenza sessuale passiva ed assistenza sessuale attiva (Walter J, 2014) (4), descritte nel primo caso facendo riferimento a misure che creano le condizioni per consentire alle persone con disabilità di soddisfare i bisogni sessuali, mentre nel secondo caso ipotizzando il coinvolgimento attivo di una persona nell’interazione sessuale, con particolare riferimento a servizi a pagamento attraverso i quali vengono professionalmente offerte carezze di ogni tipo nonché rapporti sessuali.
Da diversi anni paesi come Germania, Olanda, Danimarca, Austria e Svizzera (tedesca) prevedono la figura dell’assistente sessuale alle persone con disabilità. Tale figura è resa disponibile attraverso operatori che hanno completato un percorso di formazione. L’assistente sessuale, con la sua professionalità, assiste le persone con disabilità a sperimentare l’erotismo e la sessualità.
La figura dell’assistente sessuale è tuttavia solo un piccolo passo nella costruzione di un percorso che possa portare le società ad essere effettivamente inclusive nel riconoscimento dei diritti e dell’identità sessuale di ogni persona.
In altri paesi come la Francia, la Spagna e l’Italia, sembrerebbe che i freni culturali e legislativi alla creazione di tale professionista pubblicamente riconosciuto siano profondamente radicati nel contesto sociale, tanto da rappresentare un ostacolo oggi difficilmente superabile.
Nella situazione italiana l’assistenza sessuale è drasticamente ostacolata dalla legge Merlin (legge Merlin n. 75/1958), che pone fuorilegge ogni tipo di prestazione sessuale a pagamento, e dalla definizione nel codice penale del reato di prossenetismo, che riguarda qualsiasi tipo di intermediazione a carattere sessuale. Ciò di fatto blocca qualsiasi possibilità di creazione di servizi di assistenza sessuale, sia passiva che attiva, mettendo oltretutto a repentaglio la libertà di associazioni che, già operative su base volontaria, cercano di dare sostegno alla disabilità. È il caso della già citata associazione “LoveGiver” e dei suoi sforzi di dare voce a persone con disabilità, al loro disagio sulle questioni sessuali, ai lori famigliari e ai “caregiver” (5) su una questione molto dibattuta ma poco approfondita.
Va chiarito a questo punto come, a dispetto di tutte le iniziative pubbliche e su base volontaria che oggi si sta faticosamente portando avanti nei vari paesi, un’assistenza sessuale in senso stretto non può essere ritenuta una risposta esaustiva. Questo fondamentalmente perché riconoscere la figura dell’assistente sessuale vuol dire innanzi tutto preparare la società ad accettare tale figura. L’assistenza sessuale, infatti, non può che diventare ‘naturalmente significativa’ solo in presenza di un’adeguata e pervasiva predisposizione sociale al significato di sessualità.
Ecco che diventa necessario rimodulare il significato di assistenza sessuale, ampliandone il contesto ed estendendone il perimetro agli aspetti formativi (degli operatori) ed educativi (sia del portatore di disabilità, che del normodotato) a tutti i livelli e nelle istituzioni.
A livello legislativo andrebbero avviati programmi di istruzione (istituzioni scolastiche e percorsi professionali) per tutte le figure che gravitano attorno alla disabilità, ma non solo, andrebbero avviati percorsi educativi dedicati ed obbligatori di educazione sessuale nelle scuole sia primarie che secondarie e in generale per ogni fascia di età, redigendo programmi ministeriali in maniera da non abbandonare a loro stessi i singoli docenti e le associazioni dei genitori.
È solo così che diventa possibile inquadrare la questione della sessualità delle persone con disabilità in un più ampio e decisamente più esaustivo contesto culturale, sociale, normativo e in definitiva superare le barriere, per dirla con Croce (Croce L., 2012) (6), strutturali e attitudinali.

Prospettive possibili

Il tema della sessualità nella disabilità, con differenze nei vari paesi, è ad oggi ancora sommerso, faticosamente affrontato nelle istituzioni, non efficacemente analizzato e fonte di progetti, sia educativi che di sostegno, in numero ancora troppo limitato e di tipologia ancora troppo disomogenea e destrutturata per soddisfare gli obiettivi di inclusione alla base del ‘diritto alla sessualità’.
Date per acquisite le linee di principio, secondo cui viene considerato come imprescindibile il riconoscimento della sessualità come un diritto in senso generale ed un diritto all’autodeterminazione in senso più stretto, e riconosciuto di conseguenza, citando Giancarlo Posati (Posati G., 2001) (7), che non si può distinguere tra una sessualità normale e una sessualità del portatore di handicap, quali prospettive di emancipazione possono oggi avere i disabili (e le loro famiglie) nei confronti del diritto alla sessualità?
È evidente che sino al realizzarsi dell’auspicabile cambio strutturale e sistemico cui si accennava precedentemente, allo stato dei fatti la risposta a tale domanda è quasi esclusivamente contenuta nei progetti educativi specifici, mirati ai disabili e alle loro famiglie. Riprendendo un concetto già espresso, uno dei presupposti fondamentali dei progetti educativi rivolti alle persone disabili deve riguardare in primis il livello di autonomia e di conseguenza i più ampi spazi di autodeterminazione. Questo è certamente vero in tutti gli ambiti umani, ma si è visto come possa diventare di estrema difficoltà se applicato al tema della sessualità.
Un obiettivo oggi sicuramente perseguibile in ogni progetto educativo è il superamento di quanto in letteratura sia stato denunciato con forza, con riferimento alla mancanza di attenzione alla libertà di scelta da parte dell’individuo, che troppe volte riceve meramente “istruzioni” su come comportarsi di fronte ad un bisogno solitamente caratterizzato da intimità, come è quello della sessualità.
Il punto, fisiologico, semplice e sorprendente al tempo stesso, è che, come per ogni essere umano, la vita sessuale ed affettiva delle persone con disabilità è regolata da centri del sistema nervoso centrale: «la parte del cervello che ci fa venire il desiderio sessuale, ci fa crescere nella sessualità, è una parte che normalmente non è stata toccata dalla lesione che ha generato l’handicap. È una parte legata alla sopravvivenza e, se fosse molto danneggiata, avremmo una persona in coma più che una persona che va in giro per il mondo» (Veglia, 2001) (8).
Il primo passo è quindi la focalizzazione del senso del progetto educativo proposto ad una persona disabile, per la quale la sperimentazione del mondo il più delle volte è mediata dal deficit e dal fatto che questo venga visto prima dell’individuo. Non è negabile come tale persona provi a dare un senso alla vita, alle azioni, agli incontri quotidiani, molte volte nascondendo la confusione interiore e la pletora di domande senza risposta o con risposte approssimative che stanno dietro un sorriso, uno sguardo, una carezza e, perché no, un rapporto intimo.
Volendo prendere ad esempio un tema specifico particolarmente delicato, limite, si può immaginare il caso di una famiglia all’interno della quale si manifesti il problema del rapporto sessuale e della maternità per un suo membro disabile. D’istinto, per quanto nelle migliori condizioni di onestà intellettuale, la famiglia è portata a confrontarsi col membro disabile (in questo caso di sesso femminile) con azioni che possono andare dalla dissuasione, al sostegno medico su aspetti di contraccezione, sino alla proposta, drastica, della sterilizzazione. Il primo aspetto su cui pone l’accento l’esempio è la distanza non facilmente colmabile fra la scelta ritenuta più giusta e la scelta consapevole compiuta in libertà e autonomia dal disabile. Il secondo aspetto è, di conseguenza, l’importanza del confronto, soprattutto in ambito famigliare, con le persone disabili riguardo le scelte sulla sessualità.
Ecco che l’educazione al confronto diventa elemento determinante nei progetti educativi che possono essere costruiti oggi, un confronto che, per dirlo sempre con Fabio Veglia, si sviluppa su varie dimensioni della sessualità, la dimensione riproduttiva, la dimensione sociale, la dimensione del significato, la dimensione ‘storico-narrativa’.
La dimensione riproduttiva è quella che generalmente viene riconosciuta immediatamente e data per scontata, anche se così non è per le persone disabili, perché spesso si crede erroneamente che non siano fertili.
Dotati di tutto ciò che occorre per vivere la sessualità, le persone disabili vivono e incontrano altre persone. Si sviluppa quindi, in aggiunta, la dimensione sociale della sessualità e il desiderio di stare con l’altro.
Le persone disabili si innamorano e sperimentano spinte verso la creazione di legami forti e duraturi con l’altro. Sono spinte che rispondono alla richiesta di accudimento, di piacere, di benessere di ciascuno. Ecco che l’incontro dei corpi rappresenta la sublimazione di tale spinta, significato della sessualità, e diventa luogo di incontro privilegiato, oltre il linguaggio fatto di parole. Per il disabile ciò è tanto più importante per il fatto che è attraverso il corpo, più che con le parole, che riesce ad esprimersi.
La quarta dimensione, quella storico–narrativa, riguarda la costruzione di un tempo significativo nella relazione d’amore. Dare un senso storico, significa dare un senso al rapporto e creare una direzione di crescita di questo, che porti a creare un racconto dell’incontro che si dilata nel tempo. Se la narrazione della storia segue una direzione temporale, la relazione d’amore diventa talmente centrale nel rapporto fra due persone, che anche se il corpo cambia, si trasforma e invecchia, è come trasfigurato nell’amore stesso che si prova per l’altro.
Per le persone disabili questi aspetti valgono come per le persone normali, ma con una caratteristica in più; si tratta della facilità con cui riescono a trasfigurare la persona amata, perché sanno guardare oltre l’aspetto poco attraente che può dare un difetto corporeo.
Oggi un progetto educativo nei confronti di disabili e famiglie può e deve tenere conto di queste dimensioni, deve permettere di scoprire il proprio corpo e il corpo dell’altro e a chi gli sta attorno di aiutarlo in tal senso, aiutarlo a far nascere una storia o anche solo a fantasticarla. Un progetto educativo può e deve aiutare lo sviluppo di queste persone, aiutare l’incontro con la sessualità, inquadrato come normale tappa di crescita. Può e deve affrontare la questione del senso nella sessualità, che permette al disabile di confrontarsi serenamente con la normalità e con la sofferenza derivante dai limiti, sia fisici propri che imposti dalla società odierna non sufficientemente inclusiva.
In questo percorso si possono e si devono accompagnare anche le famiglie, perché superino i limiti del pensare comune ed acquisiscano l’importanza di dire la verità sulle cose, senza negarle e senza imporre la propria volontà e si facciano sostenitrici e partecipi di una crescita, per quanto lunga e difficile, che lasci libera la persona disabile di raggiungere il traguardo che ritiene giusto per sé stessa.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Alberoni F. – “Sesso e amore” – 2006 BUR
  • Bellotti A.,Coppedè N.,Facchinetti E.- “Il fiore oscuro, sessualità e disabilità”- 2005 Sensibili alle foglie
  • Bozuffi V. – “Psicologia dell’integrazione sociale: la vita delle persone con disabilità in una società plurale” – 2006 Franco Angeli
  • Canevaro, A. – “Handicap e identità” – 1986 Cappelli
  • Castelli G.,Mariani V.,- “L’educazione sessuale delle persone disabili. Guida per genitori & operatori”- 2005 Ares Edizioni
  • Di Nicola V., Todarello O.- ” Alcune considerazioni in tema di affettività e sessualità nei disabili”- 2002 Franco Angeli
  • Diserens C. A. e Vatré F. – “Assistance sexuelle et Handicaps” – 2012 Cronique Social
  • Dixon, H. – “L’educazione sessuale dell’handicappato” – 2003 Erickson
  • Rousseau J.J – “Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra
    gli uomini” – 1755
  • Ulivieri M. – “LoveAbility l’assistenza sessuale per le persone con disabilità” – 2014 Erickson
  • Veglia F. – “Handicap e sessualità: il silenzio, la voce e la carezza” – 2001 Franco Angeli
  • Walter J. – “Sexualbegleitung und sexualassistenz bei Menschen mit Behinderungen” – 2014 Edition S

NOTE

  1. Rousseau J.J. – “Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes” – 1755
  2. Ulivieri M. – “LoveAbility l’assistenza sessuale per le persone con disabilità” – 2014 Erickson
  3. Diserens C. A. e Vatré F. – “Assistance sexuelle et Handicaps” – 2012 Cronique Socia
  4. Walter J. – “Sexualbegleitung und sexualassistenz bei Menschen mit Behinderungen” – 2014 Edition S
  5. Termine inglese che indica “colui che presta cura ed assistenza”
  6. Croce L. – “Sessualità, Disabilità e Disabilità Intellettiva tra Persona e Contesto” – 2012
  7. Posati G. – “Tra esperienza e progetto: diritto alla sessualità come diritto alla qualità della vita” in Veglia F. – “Handicap e sessualità: il silenzio, la voce e la carezza” – 2001 Franco Angeli
  8. Veglia F. – “Handicap e sessualità: il silenzio, la voce e la carezza” – 2001 Franco Angeli

Helga Di Cristofaro

Infermiere, Libera professionista
RN, Freelance nurse
Helga.D@tin.it