Quale nesso tra infermieristica e contrasto al “Traffico di esseri umani”

Relationship between nursing and human trafficking

INTRODUZIONE

Durante il congresso dell’International Council of Nurses (ICN), tenutosi a Singapore tra il 27 giugno e l’1 luglio, il leader mondiale Cindy McCain (filantropo americano e moglie del senatore John McCain che ha dedicato gran parte della sua vita e alla lotta contro il traffico degli esseri umani) è stata la protagonista principale di una sessione riguardante un tema di grande innovazione e attualità per l’infermieristica internazionale: il traffico di esseri umani.
Fenomeno già ampiamente descritto in letteratura, ma che in questa occasione ha rappresentato un vero e proprio invito all’azione.
A sostegno di ciò, ICN richiama le associazioni professionali infermieristiche di ogni nazione a sviluppare piani di intervento ad hoc che rispecchino gli obiettivi proposti dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) da raggiungere per il 2030, sottolineando l’importanza del contributo infermieristico nel rispondere a problematiche sociali che hanno implicazioni sul benessere globale della popolazione. Tra gli obiettivi proposti emerge l’eliminazione di ogni forma di traffico di esseri umani, sfruttamento e violenza in cui gli infermieri hanno un ruolo primario nel promuovere contesti sicuri e modelli infermieristici di intervento mirati per fare fronte alle problematiche di salute che ne conseguono (White J., 2015).

Rilevanza epidemiologica del fenomeno e definizione teorica concettuale

Il traffico di esseri umani è un problema di salute pubblica che riguarda 40.3 milioni di persone nel mondo (International Labour Organization, 2017). Circa il 58% di queste persone vivono in India, China, Pakistan, Bangladesh and Uzbekistan con una maggiore prevalenza del fenomeno in North Korea, Uzbekistan, Cambodia, India, Qatar, Pakistan, Democratic Republic of the Congo, Sudan, Iraq, Afghanistan, Yemen, Syria, South Sudan, Somalia, Libya, Central African Republic, Mauritania, Haiti, Dominican Republic, Myanmar and Bangladesh (Walk Free Foundation, 2016). Il fenomeno si distribuisce prevalentemente in quelle aree geografiche in cui vi sono corruzione politica, minoranze etniche, povertà, guerre, conflitti interni, disastri naturali e governi totalitari che fungono da facilitatori del fenomeno (Rezaeian, 2016).
I soggetti maggiormente coinvolti sono quelli più vulnerabili ossia minoranze etniche, migranti e bambini (Zimmerman & Kiss, 2017). Le regioni verso cui i profitti sono maggiormente indirizzati sono est e sud dell’Asia, Europa centrale e dell’est, Africa subsahariana e sud America (United Nations, 2016). In Italia si stima un aumento delle persone vittime di traffico, registrando 1354 di potenziali casi nel 2017, nonostante tali dati risultino poco chiari non facendo distinzione tra vittime di traffico e altre forme di sfruttamento; il 15% erano uomini, l’11% erano bambini e il 75% di tutto il campione provenivano dalla Nigeria. NGOs ha stimato che più di 6000 minori sono vittime di traffico a fini sessuali in Italia (United States Department of State, 2018).

Le Nazioni Unite hanno definito il traffico di esseri umani come “il reclutamento, trasporto, trasferimento, ospitalità o ricevimento di persone tramite l’uso di forza o altri mezzi di coercizione, rapimento, frode o detenzione, di abuso di potere o di posizione di vulnerabilità, dare o ricevere soldi o benefici per ottenere il consenso di una persona, avendo il controllo su un’altra, a fini di sfruttamento” (United Nations General Assembly, 2017). Nella letteratura recente, viene considerato un mediatore della schiavitù moderna il cui fine ultimo è vendere esseri umani a coloro che sono interessati ad una delle forme di essa, come lo sfruttamento al lavoro, la prostituzione, violenza sessuale, servitù, addestramento minorile alle armi e commercio di organi e droga (Rezaeian, 2016). Il fenomeno si configura infatti sotto forma di violenza sessuale e fisica, prevalentemente nelle donne e bambini, e di sfruttamento al lavoro in termini di ore prolungate e bassa retribuzione negli uomini, in associazione ad atti di reclusione fisica e limitazione della libertà individuale. Di conseguenza tale fenomeno rappresenta una violazione dei diritti umani che rientra in una delle forme di criminalità organizzata (Ronda-Pérez & La Parra, 2016). Nonostante sia considerato un problema etico e di salute pubblica mondiale con importanti conseguenze sulla salute delle vittime coinvolte (Kiss et al., 2015), vi è ancora poca attenzione e coinvolgimento della comunità scientifica nell’attuare piani di intervento preventivi e gestionali in collaborazione con gli enti governativi.

Quali conseguenze sulla salute?

Il traffico di esseri umani è considerato un determinante di salute globale che comporta outcomes sfavorevoli che si traducono in conseguenze fisiche e psichiche a breve e lungo termine (Ottisova, Hemmings, Howard, Zimmerman, & Oram, 2016). Una recente revisione della letteratura che ha incluso studi condotti in Europa, America e Asia sia in ambito clinico che territoriale, riporta esiti di salute fisica in qualsiasi forma di traffico, tra cui lesioni corporee, cefalea (60–83%), dolore alla schiena (51–69%), epigastralgia (53–61%), dolore dentale (58%), fatigue (81%), vertigini (55–70%) e problemi di memoria; esiti di salute sessuale come conseguenza di violenze sessuali, tra cui infezioni da HIV (18,1%) e infezioni da altre malattie sessualmente trasmissibili; ed esiti di salute psichica come ansia, depressione, schizofrenia, disturbi affettivi e disturbi post traumatici da stress (Ottisova et al., 2016).

Modelli di intervento proposti

Uno degli approcci ai problemi di salute pubblica è quello descritto dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention) che prevede l’adozione di specifiche fasi di intervento: la definizione del problema, l’identificazione dei rischi e dei fattori protettivi, lo sviluppo e prova di strategie di intervento, la diffusione e l’adozione di programmi efficaci. Questo processo si inserisce in un un’analisi di contesto che risulta fondamentale per descriverne i fattori contribuenti (Chisolm-Straker & Stoklosa, 2017). Nell’ambito del traffico degli esseri umani, tra i fattori di rischio che possono orientare i professionisti all’identificazione delle possibili vittime vi sono quelli individuali, tra cui disoccupazione, povertà, abuso sessuale, tossicodipendenza, stato di immigrazione, storia di maltrattamenti o violenze familiari e quelli sociali, che ne impediscono l’identificazione e la corretta gestione, come limitata consapevolezza del fenomeno, scarsa collaborazione multisettoriale, disfunzioni territoriali (povertà, crimine, corruzione politica e legale, mancanza di risorse), le norme culturali e sociali (discriminazioni sociali) e la limitata evidenza dei rischi associati al problema. Secondo il framework di prevenzione “CDC Social-Ecological Model”, la complessità del fenomeno è data proprio dall’interazione dei fattori contribuenti su 4 livelli: individuale, relazionale, territoriale e sociale. Pertanto le strategie di intervento dovrebbero vertere simultaneamente e in modo organizzato su tutti i livelli (Centers for Disease Control and Prevention, n.d.; V. J. Greenbaum et al., 2018).

Come gli infermieri si inseriscono in questo contesto?

L’infermiere in quanto agente di salute socialmente attivo ha la responsabilità di far fronte alle problematiche che influiscono sullo stato di salute della popolazione, ricoprendo un ruolo di advocacy nei confronti dei soggetti più vulnerabili. Questo concetto è stato ben evidenziato da Cindy McCain che durante il congresso di Singapore si è fatta portavoce del ruolo chiave infermieristico nell’identificazione, prevenzione del traffico di esseri umani e cura delle vittime. A ribadire il concetto è intervenuto Howard Catton, executive chief di ICN: “gli infermieri sono in prima linea nell’accogliere e prendersi cura della popolazione vulnerabile nel contesto delle cure primarie. Essi ricoprono posizioni strategiche per identificare segni fisici e psichici di abuso e violenza come malnutrizione, sottomissione, confusione, paura e mancanza di autostima. Oltre a ciò gli infermieri hanno il dovere di denunciare il fenomeno alle autorità giudiziarie qualora ne abbiano evidenza e attivare i servizi necessari all’interno di un piano di una rete di cure integrata.”
Pertanto, afferma Cindy McCain, risulta cruciale coinvolgere gli infermieri nei processi decisionali ai tavoli di discussione di tale problematica. I risultati di una survey effettuata nel Regno Unito che ha incluso 782 infermieri, riporta che l’86% degli infermieri hanno insufficiente consapevolezza di quali domande possono effettuare per riconoscere eventuali vittime di traffico e il 78.3% non ha ricevuto un adeguato training per aiutare gli individui coinvolti (Ross et al., 2015). A questo proposito non ci sono dati italiani che danno indicazione sulla percezione di tale problematica e conoscenza tra i professionisti. Pertanto, l’approccio infermieristico a tale fenomeno dovrebbe rispettare il modello di intervento proposto dalla CDC, collocandosi all’interno di un paradigma metodologico comune e condiviso. L’infermiere ha un ruolo attivo e responsabile in ognuna delle fasi e livello di questo processo, la cui identificazione del fenomeno nasce primariamente dalla capacità di saperlo riconoscere come un problema di salute pubblica. Se questo primo step deriva principalmente da un processo di sensibilizzazione sociale verso il problema che porta i professionisti a riconoscerlo e definirlo, i successivi richiedono la conoscenza del fenomeno, lo sviluppo di una rete integrata e ben organizzata di servizi e professionisti sia in ospedale che nel territorio, e l’implementazione di strumenti e linee giuda per l’identificazione e la gestione. Al fine di potere attivare questo sistema, occorre quindi primariamente sensibilizzare e formare i professionisti in ambito ospedaliero alla rilevazione di tale problematica. L’utilizzo di un linguaggio internazionale comune di codifica del fenomeno, risulta fondamentale per condividere le informazioni e gli interventi, generare conoscenza e monitorare gli effetti a breve e lungo termine sulla salute e sui costi sanitari. Alcuni autori hanno evidenziato l’importanza dell’utilizzo di una codifica specifica per il traffico di esseri umani all’interno dell’ICD-11(International Classification of Diseases), ultima versione del sistema di classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati proposta dall’OMS, in cui vengono riconosciuti vari tipi di maltrattamento e violenza sessuale ma mancano codici specifici relativi al traffico di esseri umani e sfruttamento. Considerando il fatto che non tutto il traffico di esseri umani si configura come violenza sessuale e che spesso si fa rientrare forme di sfruttamento del lavoro all’interno del fenomeno di abuso sessuale, questo comporta la perdita di informazioni rilevanti e la circolazione di dati errati. Questo sistema non permette così di tracciare in modo reale e univoco l’andamento e gli sviluppi del fenomeno (J. Greenbaum & Stoklosa, 2019).

CONCLUSIONI

Il traffico di esseri umani è sicuramente un problema di grande impatto sulla salute generale della popolazione ma che data l’assenza di una codifica precisa e mirata del fenomeno risulta difficile da quantizzare in modo reale sia in termini di prevalenza che di esiti di salute. Il fenomeno ha una connotazione geografica e di genere ben precisa che in un’epoca di limitata disponibilità economica dei servizi sanitari presuppone un orientamento strategico degli interventi primariamente verso le aree di maggior incidenza e le categorie più a rischio. I sistemi sanitari rappresentano un punto di riferimento in cui i professionisti hanno sicuramente un ruolo chiave nel riconoscere gli individui a rischio o oggetto di traffico e nell’implementazione di strategie di intervento. Prima ancora di attribuire un ruolo specifico infermieristico, occorre però generare un sistema di codifica condiviso del fenomeno, sviluppare un contenitore normativo e metodologico comune di approccio al problema all’interno del quale inserire percorsi di cura integrati tra ospedale e territorio che tengano conto del contesto politico, economico, epidemiologico e organizzativo dei vari sistemi sanitari.

BIBLIOGRAFIA

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Silvia Belloni

Infermiera, Humanitas Cancer Center, IRCCS Humanitas, Rozzano, Italia
RN, Humanitas Cancer Center, IRCCS Humanitas, Rozzano, Italy
silvia.belloni@humanitas.it