Prevenzione non farmacologica del tromboembolismo venoso in area medica: revisione di letteratura

Non-pharmacological prevention of venous thromboembolism in the medical area: a literature review

 

RIASSUNTO

Introduzione. Il tromboembolismo venoso rappresenta una delle principali cause di morte legate all’ospedalizzazione in area medica. Le linee guida nazionali ed internazionali disponibili, nonostante offrano raccomandazioni valide sulla profilassi farmacologica e meccanica, non valorizzano il ruolo e la responsabilità infermieristica nella prevenzione di questa patologia e non chiariscono il ruolo dell’infermiere nella valutazione del rischio. L’obiettivo dello studio è di individuare le strategie infermieristiche maggiormente efficaci nella prevenzione del tromboembolismo venoso negli assistiti ricoverati nei reparti di area medica. Metodi. È stata condotta una ricerca della letteratura utilizzando la banca dati Medline (via PubMed) attraverso l’utilizzo di termini liberi e MeSH, selezionando infine 12 articoli pertinenti al quesito di ricerca. Risultati. La valutazione del rischio di TEV non viene garantita a tutti gli assistiti ricoverati nei reparti di area medica, nonostante la presenza di modelli per la valutazione del rischio, come lo score Padua, che dovrebbero essere integrati alla presa in carico della persona al momento del ricovero. Le strategie di prevenzione del TEV individuate coniugano aspetti di autonomia e di collaborazione con la figura del medico, nell’ottica della natura tecnica, educativa e relazionale della professione infermieristica. Emergono tuttavia ostacoli legati in alcuni casi alle ridotte conoscenze sul TEV e consapevolezza del proprio ruolo da parte del personale infermieristico. Discussione. Dato il ruolo attivo che la professione infermieristica può avere nella prevenzione del TEV, la realizzazione di protocolli che valorizzino la competenza infermieristica nella rilevazione dello score per il rischio tromboembolico e di percorsi di formazione condivisi permetterebbe di ottimizzare la valutazione del rischio e la profilassi nei reparti di area medica, nell’ottica della miglior assistenza possibile per la persona. Tuttavia, è necessario aumentare la consapevolezza tra i professionisti che il TEV, attraverso la collaborazione e la valorizzazione della competenza professionale, può essere prevenuto. Parole chiave. Venous thromboembolism, nursing, prevention.

ABSTRACT

Background. Venous thromboembolism represents one of the main causes of death linked to hospitalization in the medical area. The available national and international guidelines, despite offering valid recommendations on pharmacological and mechanical prophylaxis, do not value the role and responsibility of nursing in the prevention of this pathology and do not clarify the nurses’ role in risk assessment. The aim of the study is to identify the most effective nursing strategies in the prevention of venous thromboembolism in patient admitted to medical departments. Methods. A literature research was conducted by using the Medline batabase (via PubMed), through the use of free terms and MeSH, and selecting 12 articles relevant to the research question. Results. Venous thromboembolism risk assessment is not guaranteed to all patients admitted to medical departments, despite the presence of risk assessment models, such as the Padua score, which should be integrated at the time of admission. The VTE prevention strategies identified combine aspects of both autonomy and collaboration with the doctor, from the perspective of the technical, educational and relational nature of the nursing profession. However, obstacles emerge linked to the reduced knowledge of VTE and awareness of their role from the nursing staff. Discussion. Given the active role that the nursing profession can have in the prevention of VTE, the creation of protocols that enhance the nursing competence in the detection of the score for thromboembolic risk and shared training courses would allow to optimize the risk assessment and prophylaxis in the medical wards, with the aim to provide the best possible care for the patient. However, it is necessary to raise awareness among professionals that VTE, thorugh collaboration and the enhancement of professional skills, can be prevented. Keywords. Venous thromboembolism, nursing, prevention.

 

INTRODUZIONE

Il tromboembolismo venoso rappresenta la terza patologia cardiovascolare più frequente nei Paesi Occidentali, dopo infarto del miocardio e ictus ischemico. Il TEV si verifica infatti con un’incidenza di circa 1 su 1000 all’anno nelle popolazioni adulte. (1,2) Negli ultimi anni si è verificato un aumento dell’incidenza del tromboembolismo venoso dovuto all’invecchiamento generale della popolazione e allo sviluppo di nuove tecnologie che ne facilitano la diagnosi. Questa patologia è tipicamente considerata una complicanza degli assistiti di area chirurgica, tuttavia è stata dimostrata l’esistenza di numerosi fattori di rischio che la rendono una complicanza potenzialmente letale anche negli assistiti di area medica. Nonostante ciò, in questo setting, la necessità di una strategia di prevenzione del tromboembolismo venoso viene ancora sottovalutata, tanto che non sempre in maniera sistematica sono disponibili per gli infermieri protocolli o piani di assistenza specifici che esplicitano in maniera inequivocabile il ruolo che l’infermiere ha in questo processo. Nelle linee guida nazionali ed internazionali, di rado viene esplicitata la responsabilità ed il ruolo infermieristico nella prevenzione del TEV in area medica. Vengono tuttavia menzionati un paio di interventi che il professionista infermiere può attuare in autonomia, quali la mobilizzazione precoce dell’assistito e l’idratazione. I suddetti interventi risultano però aspecifici rispetto al setting di cura medico e, in particolar modo, nella prevenzione della specifica condizione clinica. Dalla letteratura analizzata, dunque, la competenza infermieristica risulta marginale nella prevenzione del TEV per quanto concerne la pianificazione di interventi in autonomia. Viene attribuito, tuttavia, un ampio margine collaborativo in particolar modo nella gestione del processo educativo nella gestione della profilassi farmacologica.

 

OBIETTIVO DELLO STUDIO

Lo scopo di questo studio è quello di descrivere le strategie infermieristiche maggiormente efficaci nella prevenzione del tromboembolismo venoso negli assistiti ricoverati nei reparti di Area Medica.

 

MATERIALI E METODI

La ricerca bibliografica è stata condotta utilizzando come riferimento lo schema PIO (tabella I).

Tabella I – Schema PIO.

La ricerca di letteratura è stata realizzata tra Maggio e Settembre 2021 attraverso la banca dati Medline (via PubMed), utilizzando termini liberi e termini MeSH combinati tra loro con gli operatori booleani AND e NOT: venous thromboembolism, prevention, nonpharm*, nurs*, pharm*, surg* (Tabella II). Sono stati impostati i seguenti limiti di ricerca: specie umana; adulto: 19+ anni. In alcuni punti della ricerca sono stati rimossi i filtri, per poter reperire un numero maggiore di record. (Tabella II)

Tabella II – Report bibliografico delle principali stringhe di ricerca

 

I record ottenuti dalla ricerca condotta (n=299) sono stati sottoposti a screening mediante lettura dell’abstract. Di questi, 140 record sono stati ritenuti come pertinenti all’argomento. Un’ulteriore analisi è stata dunque condotta utilizzando il Joanna Briggs Institute Critical Appraisal tool adeguato a ciascun disegno di studio e valutando dunque se i quesiti di ricerca riportati fossero o meno di pertinenza professionale infermieristica: 118 sono stati esclusi in quanto trattavano gli interventi preventivi solo dal punto di vista medico. I 22 articoli eleggibili sono stati poi analizzati nuovamente tramite lettura approfondita del full text: 10 studi sono stati infine esclusi dalla ricerca in quanto non aderenti al quesito posto (Figura 1).

 

 

 

RISULTATI

Al termine della ricerca bibliografica sono stati selezionati e dunque inclusi nella revisione 12 articoli pertinenti al quesito di ricerca posto. I risultati sono organizzati in base ai tre argomenti principali individuati, ovvero la valutazione del rischio di TEV, le strategie infermieristiche per la prevenzione e gli ostacoli incontrati dagli infermieri nella loro attuazione.

 

 

Valutazione del rischio
Nonostante la presenza di linee guida internazionali evidence-based che raccomandano la valutazione del rischio di TEV negli assistiti ospedalizzati, l’importanza di questa pratica viene ancora oggi sottostimata, in particolare nei reparti di area medica. Un audit internazionale svolto in 32 Paesi su 37356 pazienti di area medica ha infatti dimostrato che meno del 40% di tutti i soggetti a rischio di TEV riceve la profilassi meccanica o farmacologica raccomandata in base alle condizioni cliniche. (3) I dati riportati da diversi studi dimostrano che la valutazione del rischio di TEV nei reparti di area medica non viene garantita a tutti gli assistiti e non tutti gli infermieri possiedono le conoscenze e le attitudini per svolgerla adeguatamente. Includere la valutazione del rischio di TEV come pratica quotidiana di routine è infatti fondamentale per prevenirne l’insorgenza. (4) Inoltre, secondo i dati raccolti da Oh et al. (4) in due ospedali sudcoreani, solo il 15% degli infermieri afferma di completare la valutazione del rischio di TEV su tutti (6,0%) o quasi tutti (8,4%) gli assistiti, mentre il 18,6% dei partecipanti dichiara di non effettuarla mai. In particolare, nei reparti di area medica, un infermiere su quattro dichiara di non effettuare la valutazione del rischio di TEV per gli assistiti presi in carico. (4) Anche secondo i dati di Lee et al. (5), rilevati in due ospedali californiani di acute care, solo il 26% degli infermieri riporta di effettuare la valutazione del rischio di TEV in tutti gli assistiti, mentre il 17% e il 14% degli intervistati eseguono la valutazione del rischio rispettivamente su pochi e nessun paziente. In aggiunta a questi dati, lo studio di Lee et al. (5) riporta che solo il 57% di essi è sicuro delle proprie capacità nel condurre un’approfondita valutazione del rischio, dimostrando bassi livelli di autoefficacia in questo particolare aspetto assistenziale.
La tipologia della valutazione riportata nei sopra citati articoli non è univoca, ovvero viene effettuata con RAMs differenti: gli studi citati, infatti, si ponevano come obiettivo l’indagine di quale fosse la frequenza relativa alla valutazione del rischio TEV da parte del personale infermieristico. Pur trattandosi di RAMs differenti e solo citati da parte degli autori, tutti convergono nel ritenere questa attività di competenza infermieristica (3, 4, 6, 7).
Poiché il rischio di sviluppare TEV varia ampiamente a seconda dell’assistito e della relativa condizione clinica, l’infermiere deve effettuare una valutazione del rischio accurata ed individuale per poter individuare quali interventi profilattici di sua competenza siano maggiormente appropriati per ciascun paziente a rischio. (7) Anche lo studio di Collins et al. sottolinea l’importanza di effettuare valutazioni personalizzate, per la presenza di diversi fattori di rischio associati all’insorgenza della patologia nei pazienti di area medica. (6) Questo tipo di valutazione dovrebbe essere effettuata al momento del ricovero in ospedale e riesaminata regolarmente per assicurarsi che la tipologia di profilassi rimanga appropriata al livello di rischio e alle eventuali controindicazioni. (6) Secondo Collins et al. e Morrison, l’infermiere svolge un ruolo fondamentale in questa prima fase di valutazione del rischio attraverso la raccolta di informazioni sulla storia clinica dell’assistito e i relativi fattori di rischio, sull’eventuale storia familiare di TEV e per mezzo dell’esame obiettivo per individuare segni precoci di trombosi venosa profonda. (6, 7) Secondo Morrison, l’infermiere ha il compito di rendere l’assistito partecipante attivo del processo, facilitando così la raccolta di informazioni e la loro accuratezza. (7)
I modelli di valutazione del rischio o risk assessment models (RAMs) sono degli strumenti sviluppati per calcolare il livello di rischio tromboembolico in base alla tipologia e al numero di fattori di rischio che presenta ogni assistito. Rappresentano uno strumento semplice ed efficace a disposizione di medici ed infermieri per associare ad un dato livello di rischio quantificato la tipologia di profilassi più adeguata. (7) Idealmente, i modelli di valutazione del rischio di TEV dovrebbero essere integrati alle attività infermieristiche per l’identificazione dei bisogni assistenziali che vengono effettuate al momento del ricovero dell’assistito. Tuttavia, un numero ancora esiguo di realtà ospedaliere adotta l’uso, per il personale infermieristico, di protocolli standardizzati per la valutazione del rischio di TEV. Documenti specifici per la valutazione del rischio di TEV dovrebbero essere sviluppati ed utilizzati quotidianamente nella pratica infermieristica, poiché riducono il rischio di omettere informazioni importanti e con il tempo possono migliorare l’outcome degli assistiti e l’autoefficacia degli infermieri nel praticare la valutazione del rischio. (4, 8)

 

Strategie di prevenzione
Dopo aver valutato il grado di rischio di sviluppare TEV, la fase successiva assistenziale dovrebbe prevedere l’attivazione di adeguate strategie per la prevenzione della condizione clinica. Le strategie di prevenzione illustrate in letteratura si rifanno alla natura della professione infermieristica, che è tecnica, relazionale ed educativa. Come si evince dai dati fin qui esposti, che riguardano linee guida internazionali e nazionali, l’infermiere nella prevenzione del TEV lavora molto in ambito collaborativo con la figura medica, ma poco emerge della sua autonomia professionale. Le strategie di prevenzione del TEV emerse dalla letteratura, invece, coniugano aspetti di collaborazione tra l’infermiere e le altre figure professionali e aspetti di autonomia, nell’ottica della miglior gestione clinico-assistenziale per la persona.
Per quanto riguarda la natura tecnica della professione infermieristica, le strategie di prevenzione del TEV comprendono interventi che riguardano sia la profilassi meccanica che quella farmacologica. Per quanto riguarda la profilassi farmacologica, l’infermiere è responsabile della corretta somministrazione del farmaco per via orale, endovenosa o sottocutanea, rispettando i principi delle buone pratiche, e monitorando la comparsa di possibili effetti avversi. Nell’ambito della profilassi meccanica invece, le calze a compressione graduata e la compressione pneumatica intermittente sono strumenti efficaci nella prevenzione del TEV ma, se non correttamente applicati e mantenuti nel tempo, possono comportare maggiori complicanze che benefici agli assistiti. (6) L’efficacia della profilassi meccanica può essere limitata dall’uso scorretto o mancato dei dispositivi, dalla scarsa compliance degli assistiti e dall’incapacità di proseguire il trattamento dopo la dimissione dall’ospedale. (7) Lo studio di Elpern et al (9), svoltosi su 108 assistiti ricoverati in reparti di area critica e sottoposti a profilassi meccanica, riporta infatti errori nell’applicazione dei dispositivi nel 49% delle osservazioni e assenza del dispositivo di profilassi prescritto nel 15% delle osservazioni. Anche secondo Dunn et al (10) le principali barriere all’efficacia della profilassi meccanica sono rappresentate dall’applicazione scorretta e dall’assenza di monitoraggio per un uso continuativo, in aggiunta alle difficoltà riferite dagli assistiti per il disagio provocato dai dispositivi stessi. L’infermiere può intervenire su questi fattori per migliorare l’aderenza dell’assistito alla profilassi meccanica, e di conseguenza la sua efficacia nella prevenzione del TEV. Come riportano Dunn et al, Elpern et al e Morrison, è fondamentale che l’infermiere misuri accuratamente la circonferenza dell’arto inferiore, al fine di selezionare calze e manicotti che si adattino il più possibile all’anatomia di ogni assistito. (7, 9, 10) I dispositivi per la profilassi meccanica, affinché siano efficaci, devono essere mantenuti in uso costantemente, a meno che non necessitino di essere rimossi temporaneamente per le pratiche, ad esempio, di igiene. L’infermiere è inoltre responsabile del monitoraggio ad intervalli regolari della cute del paziente, poiché sia le calze che i manicotti della CPI possono provocare reazioni avverse come vesciche, ulcere, compromissione dell’integrità cutanea e necrosi. (7, 11)
Grazie alle competenze educative proprie della professione, l’infermiere ha un ruolo chiave nel migliorare l’aderenza degli assistiti alla profilassi meccanica e farmacologica e nella prevenzione del TEV in generale. (4,7) È importante che l’infermiere educhi l’assistito e i familiari sul TEV e la sua prevenzione e sul riconoscimento precoce dei segni e sintomi suggestivi di trombosi venosa profonda, incoraggiandone la segnalazione. (7) Può inoltre fornire consigli su possibili modifiche dello stile di vita negli assistiti a rischio, come la perdita di peso, l’attività fisica regolare, un’adeguata idratazione e la cessazione del fumo. (7) L’infermiere dovrebbe inoltre incoraggiare la mobilizzazione precoce e frequente dell’assistito, ed educarlo allo svolgimento di esercizi attivi e passivi per gli arti inferiori. (6,7) Per quanto riguarda la terapia farmacologica, l’infermiere deve fornire informazioni agli assistiti che assumono anticoagulanti orali circa i farmaci e gli alimenti che possono causare alterazioni dell’International Normalized Ratio (INR) e monitorare le complicanze da sanguinamento, raccomandando agli assistiti di riferire eventi di ematuria o sanguinamento da naso o gengive. (7)
Un aspetto che non viene quasi mai considerato è rappresentato dalle conseguenze psicologiche, come ansia estrema e costante timore di morte, che si possono manifestare negli assistiti ad elevato rischio di TEV o che ne hanno già vissuto un episodio. (7) L’infermiere deve essere consapevole della possibilità di questa situazione di disagio e, grazie alle competenze relazionali proprie della professione, eventualmente intervenire a sostegno degli assistiti che la stanno vivendo, attraverso il supporto diretto o consigliando, se presenti, gruppi di sostegno psicologico. (7) A tal proposito, la fase della presa in carico ed eventualmente della valutazione del rischio tromboembolico diventano un momento cruciale. L’infermiere dovrebbe, nella raccolta dati, porsi in una postura di ascolto attivo, anche al fine di registrare le informazioni relative allo stile di vita della persona che potrebbero rappresentare elementi di rischio per la complicanza. (6,7) La competenza relazionale, infatti, rappresenta un elemento trasversale nella gestione del rischio di TEV per il professionista infermiere: non solo permette di raccogliere informazioni assistenziali importanti e di gestire eventuali reazioni emotive, ma consente di effettuare anche un primo screening dei fattori di rischio modificabili su cui innestare poi un eventuale piano educativo volto al ripristino di una condizione generale di benessere con ricadute anche post-dimissione e a lungo termine. (6, 7, 9)

 

Ostacoli
Dall’analisi degli articoli inclusi emerge che uno degli ostacoli principali alla maggior responsabilità e partecipazione infermieristica nel processo di prevenzione del TEV è dato da una non sempre elevata conoscenza sul TEV da parte degli infermieri stessi (4). Questa ridotta consapevolezza e conoscenza, come afferma Zhou et al (12), sulla profilassi e gestione del TEV risulta essere un ostacolo a livello internazionale. In Cina, in particolare, sono stati condotti alcuni studi in merito alle conoscenze ed attitudini del personale infermieristico sul TEV e la sua gestione. Xu et al (13) ha condotto un questionario su 5070 professionisti della salute da cui è risultato che solo il 32,5% dei partecipanti possiede buone conoscenze sulla profilassi meccanica del TEV. Il questionario somministrato da Zhou et al (12) ha evidenziato che, nonostante i partecipanti riconoscessero le potenziali severe conseguenze del TEV, il livello generale di conoscenza sulla patologia è molto basso. Anche il questionario posto da Yan et al (14) evidenzia una generale carenza di conoscenze sul TEV, sottolineando come questa derivi anche da un’assenza di protocolli standardizzati per la profilassi del TEV per il personale infermieristico, specialmente per gli studenti che non ricevono quindi una formazione sistematica sull’argomento. Nel Nord America, Lee et al (5) ha riscontrato, mediante un questionario somministrato a 221 infermieri di due ospedali californiani, che solo poco meno della metà dei partecipanti (44%) ha valutato come “buona” la propria conoscenza sul TEV. Questa carenza generale di conoscenze è legata a diversi fattori, tra cui la complessità della patologia stessa, che comprende, per esempio, un ampio numero di fattori di rischio specifici dell’area medica non sempre tutti noti al personale infermieristico e l’impiego di dispositivi per la profilassi meccanica per i quali l’infermiere non riceve una preparazione adeguata. Un altro fattore è rappresentato dalla mancanza di chiarezza del ruolo della professione infermieristica nella prevenzione del TEV, che non consente al personale di avere ruoli e responsabilità definiti e di poter, di conseguenza, consolidare le proprie conoscenze o eventualmente colmare lacune.
Per quanto riguarda la valutazione del rischio di TEV, le più comuni barriere percepite dagli infermieri sono, secondo Lee et al (5), la mancanza di tempo (21%), conoscenze inadeguate sull’argomento (21%), assenza di uno strumento o protocollo standardizzato da utilizzare (13%) e talvolta barriere linguistiche nella fruizione della letteratura internazionale (5%). Ulteriori ostacoli alla valutazione del rischio di TEV, seppur citati meno frequentemente, sono l’assenza di indicazioni da parte del medico e la mancanza di indipendenza del ruolo dell’infermiere in questa fase. (5) Tradizionalmente, e ancora oggi, la valutazione del rischio di TEV e la prescrizione della profilassi sono sempre stati una esclusiva responsabilità di ambito medico, limitando il ruolo attivo degli infermieri nella segnalazione al medico di eventuali segni e sintomi che possono ricondurre ad una TEV ma non in una completa valutazione dei rischi. (6)

 

DISCUSSIONE

Dai risultati emersi dopo l’analisi della letteratura, emergono sostanzialmente tre aree di discussione che riguardano la consapevolezza dei professionisti rispetto al loro ruolo nella gestione del rischio di TEV, la responsabilità nella valutazione e nella stratificazione del rischio ed infine quali siano le strategie nella gestione degli assistiti con rischio basso. L’insieme di questi nodi sull’argomento potrebbe portare ad una sottostima delle potenzialità e della competenza infermieristica in particolar modo in setting di cura di area medica.

Elementi emersi dalla revisione di letteratura
Dai risultati degli articoli analizzati emergono numerosi fattori che ostacolano la prevenzione efficace del TEV in area medica. Un ostacolo deriva dalla difficoltà per gli infermieri di avere consapevolezza del proprio ruolo nella prevenzione del TEV: sicuramente, se si vuole incrementare la consapevolezza e la partecipazione attiva dell’infermiere nella prevenzione del TEV, sarebbe utile fornire una formazione specifica laddove non sia sufficiente. Generalmente, nella formazione del professionista infermiere vengono forniti concetti teorici incentrati principalmente sulla fisiopatologia relativa al TEV, ovvero segni e sintomi, profilassi farmacologica e trattamento. Altri aspetti ugualmente importanti, come la profilassi meccanica o la valutazione del rischio, vengono tralasciati o approfonditi in misura minore, nonostante siano le due fasi in cui l’infermiere può collaborare attivamente e in maggior autonomia alla prevenzione. Il fatto che, come emerso dai risultati, la valutazione del rischio di TEV non venga garantita a tutti gli assistiti anche a causa della mancanza di conoscenze da parte degli infermieri rinforza la necessità di garantire una formazione anche in questo ambito, per aumentare anche l’autoefficacia del team di professionisti.
Un altro elemento di riflessione che emerge dai risultati della revisione condotta riguarda proprio la valutazione del rischio di TEV: se pare chiaro che lo strumento maggiormente appropriato sia il Padua Prediction Score (PPS), non lo è altrettanto il ruolo dell’infermiere nella sua valutazione; attualmente, infatti, il suo utilizzo nella pratica clinica è ad esclusivo appannaggio del medico. Nei trial sulla prevenzione del TEV nei pazienti non chirurgici e anche nei più recenti studi sulla prevenzione del TEV nei pazienti affetti da SARS-CoV-2 il modello maggiormente utilizzato è infatti il Padua Prediction Score. In base alla letteratura disponibile viene considerato il miglior score validato per la valutazione del rischio nei pazienti di area medica. Il suo utilizzo viene inoltre raccomandato dalle linee guida internazionali delle associazioni CHEST e American Society of Hematology e dalle linee guida della Regione

Toscana per la profilassi del tromboembolismo venoso.
Nel territorio nazionale, le regioni Toscana ed Emilia-Romagna includono il Padua Prediciton Score tra le scale di valutazione nelle rispettive cartelle cliniche integrate ospedaliere. Data la natura della cartella clinica integrata, ovvero l’essere uno strumento informativo multiprofessionale, emerge un problema dato dalla mancanza di chiarezza su quale professionista sia responsabile della valutazione. Inoltre, negli articoli analizzati viene indicato che il risk assessment del TEV sia una responsabilità infermieristica come sottolineato da Lee, Collins e Morrison nelle loro indagini (6, 7, 9): sebbene i risultati non possano ritenersi omogenei a causa dell’utilizzo di RAMs differenti tra i contesti, gli autori convergono sul fatto che tale attività sia cruciale nel percorso di cura e permetta di garantire all’assistito migliori esiti di salute.
Tuttavia, nelle linee guida nazionali ed internazionali che raccomandano l’utilizzo dell’indice Padua o di altri RAMs non viene indicato in modo puntuale quale potrebbe essere il contributo dell’infermiere nella rilevazione di tali indici. Prendendo come riferimento il Padua Prediction Score, alcuni dei fattori di rischio che vengono indagati comprendono dati che vengono raccolti di routine nella presa in carico infermieristica, mentre altre informazioni possono essere ricavate dalla cartella clinica integrata o dalla documentazione clinica e dal colloquio con il paziente. Per esempio, uno dei fattori di rischio valutati nello score è l’ipomobilità, intesa più precisamente come allettamento o possibilità di accedere solo al bagno per almeno tre giorni. I dati sul grado di mobilizzazione dell’assistito vengono raccolti dall’infermiere alla presa in carico iniziale e rivalutati periodicamente fino alla dimissione, con strumenti di competenza infermieristica come l’indice di Barthel, che indaga item come la deambulazione e il trasferimento nel bagno. Un altro elemento del PPS che può essere valutato autonomamente dall’infermiere è l’obesità, che richiede, per poter essere eventualmente incluso nel punteggio, il calcolo del BMI dell’assistito. Vi sono, quindi, degli elementi dello score Padua che vengono routinariamente raccolti dal professionista infermiere all’ingresso dell’assistito in Unità operativa di area medica, mentre altri possono essere ricavati dall’anamnesi medica. Questi elementi, sommati alle evidenze fin qui emerse dalla letteratura, sostengono l’ipotesi che la valutazione del rischio di TEV sia da intendersi come congiunta tra i professionisti medico e infermiere e come ambito di collaborazione in cui, ciascuno per le proprie competenze, può contribuire a fornire la miglior assistenza possibile alla persona e ridurre al minimo, quindi, la probabilità che una complicanza come il TEV si manifesti.
Infine, un ultimo punto di riflessione per la professione infermieristica è dato proprio dalle strategie di assistenza atte a prevenire la complicanza. La compilazione del Padua Prediction Score stabilisce in base al punteggio se l’assistito sia ad elevato o basso rischio di TEV. Negli assistiti ad alto rischio viene raccomandata, salvo specifiche controindicazioni, la profilassi di tipo farmacologico, che è indubbiamente una prescrizione medica. Al contrario, come riportano per esempio le linee guida CHEST, negli assistiti a basso rischio di TEV non vengono indicate né la profilassi farmacologica né la profilassi meccanica. Un basso rischio di TEV, tuttavia, non corrisponde ad un rischio nullo. In questo caso, vista la mancata necessità di prescrizioni mediche, l’infermiere potrebbe agire in autonomia tramite una serie di interventi ed un monitoraggio volti a mantenere il rischio di TEV basso o a ridurlo ulteriormente negli assistiti le cui condizioni cliniche lo permettano. Data, però, la scarsa consapevolezza rispetto alla gestione del rischio emersa in letteratura e la non univocità rispetto all’utilizzo di strumenti validati, l’ipotesi concreta è che nei setting di cura di area medica non si verifichi questa gestione autonoma della fase di prevenzione e che anche i protocolli a livello locale non tengano in considerazione le potenzialità e soprattutto le competenze del professionista infermiere nella gestione del rischio TEV, sia in ambito di autonomia che di collaborazione con la figura medica.

 

Proposta di implementazione in ambito assistenziale
Il presente elaborato nasce proprio dall’opportunità avuta di partecipare agli incontri del gruppo di lavoro aziendale in materia di revisione dell’attuale protocollo in materia di prevenzione TEV in area medica. La revisione di letteratura condotta ha messo in luce non solo le strategie infermieristiche maggiormente efficaci in tal senso, bensì anche dei focus rispetto alle principali barriere e/o ostacoli incontrati dai professionisti nella loro attuazione. Si è cercato, dunque, di formulare una proposta spendibile nel contesto dell’Azienda ULSS 2 Marca Trevigiana che possa essere pragmatico e spendibile nel contesto. La proposta dovrebbe prevedere in fase iniziale la strutturazione di uno studio descrittivo longitudinale orientato alla comparazione delle valutazioni tramite Padua Score in un campione di assistiti di area medica. La valutazione dovrebbe avvenire all’ingresso del soggetto in Unità Operativa in maniera indipendente da parte dell’infermiere. Il ricercatore dovrebbe poi analizzare la congruenza o meno della stratificazione del rischio ottenuta dalla rilevazione e quindi, tramite l’analisi statistica dei risultati ottenuti e delle cartelle cliniche alla dimissione, determinare se gli interventi di profilassi posti in essere sulla base della valutazione condotta si siano rivelati o meno efficaci nella prevenzione della TEV. Tale fase iniziale della proposta di implementazione non è scevra da punti di criticità e di forza: se da un lato permetterebbe di portare un contributo significativo alla conoscenza da parte della comunità scientifica rispetto alla valutazione infermieristica del rischio tramite uno score ritenuto maggiormente adeguato dalla letteratura per la popolazione di assistiti, dall’altra dovrebbe essere maggiormente approfondita e sottoposta alla valutazione del Comitato Etico aziendale. Oltre a questa prima fase, tuttavia, sarebbe comunque auspicabile aumentare anzitutto la consapevolezza dei professionisti rispetto alla competenza specifica dell’infermiere nella prevenzione del TEV: non si tratterebbe solo di un intervento educativo di retraining rispetto alle competenze tecniche del professionista relative alla gestione della terapia o nella gestione dei presidi. L’intervento formativo auspicato avrebbe piuttosto l’intento di sollecitare il team infermieristico alla discussione di casi reali con pianificazione di specifici interventi infermieristici autonomi per fattori di rischio. Questo momento formativo potrebbe anche agevolare il team alla riflessione sull’agito quotidiano, mettendo in luce l’importanza di alcuni elementi come la mobilizzazione ed il monitoraggio dello stato di idratazione dell’assistito che, talvolta, vengono attribuiti ad altre figure o non sono registrati nella documentazione infermieristica.
Proporre un intervento di formazione al solo team infermieristico, tuttavia, potrebbe risultare poco efficace: la letteratura, infatti, dimostra ampliamente come questo sia un campo assistenziale caratterizzato dalla condivisione di informazioni e di competenze sia sul piano della valutazione del rischio con il Padua Score, sia poi nel management del caso. Aprire dunque la discussione con il professionista medico e trovare sinergie efficaci nella pianificazione di interventi mirati e condivisi potrebbe avere ricadute positive nel gruppo di lavoro ma, soprattutto, nell’assistenza alla persona.
Formare quindi un team di esperti delle diverse Unità Operative di Area Medica risulterebbe strategico anche per la revisione del protocollo aziendale: infatti, un’altra barriera riportata in letteratura è proprio relativa alla possibile assenza di protocolli e procedure condivisi ed aggiornati, che evidenzino le specifiche competenze dei professionisti ed incentivino la gestione condivisa del rischio. Dal gruppo di lavoro così costituito, potrebbe infatti scaturirne un documento che possa essere effettivamente spendibile nel quotidiano e che, magari, tenesse in considerazione le peculiarità delle principali casistiche assistenziali nei setting di cura. L’assistenza infermieristica, infatti, è volta sempre più alla personalizzazione del piano assistenziale e della cura al soggetto: sebbene sia indispensabile avere una linea di indirizzo (come potrebbe essere un piano standard o un protocollo aziendale), il professionista infermiere dovrebbe acquisire quel livello di autoefficacia tale da poter supportare e condividere nel team le proprie scelte assistenziali per quel singolo assistito, portatore di bisogni specifici e di aspettative, nelle quali inserire appunto il processo di nursing maggiormente adeguato e finalizzato alla riduzione al minimo della complicanza tromboembolica.

 

CONCLUSIONI

Alla luce dei risultati ottenuti, emerge chiaramente che l’infermiere può avere un ruolo attivo nella prevenzione del TEV, sia in autonomia che nell’ambito collaborativo con la figura del medico, grazie alle competenze educative, tecniche e relazionali proprie della professione che però vengono spesso sottostimate. Nonostante le potenzialità della professione in questa fase assistenziale, la letteratura e le linee guida nazionali ed internazionali disponibili enfatizzano molto poco la competenza infermieristica nella prevenzione del TEV, limitando l’infermiere ad attuatore della terapia prescritta dal medico e dando poco spazio all’ambito di autonomia professionale. Questo ostacolo viene inoltre potenziato dall’assenza di univocità nelle linee guida e in letteratura su quale il contributo dell’infermiere della stratificazione del rischio nei reparti di area medica.
I risultati individuati dall’analisi della letteratura indicano, tuttavia, la possibilità di produrre dei protocolli sulla prevenzione del TEV nei setting di area medica condivisibili sia dalla professione medica che da quella infermieristica, caratterizzati da ambiti di collaborazione ed ambiti di autonomia.
Diventa quindi fondamentale aumentare la consapevolezza che, attraverso la collaborazione e la partecipazione attiva delle professioni medica ed infermieristica, il TEV è prevenibile e non deve essere sottovalutato nei reparti di area medica. La collaborazione tra i professionisti permette che gli assistiti ricevano la miglior assistenza possibile, garantendo ad ogni persona una valutazione del rischio ed interventi mirati in base al livello di esso.

 

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Silvia Bernardi

Infermiere, Azienda ULSS2 Marca Trevigiana

Elisa Mazzariol

Tutor didattico Corso di Laurea in Infermieristica, Azienda ULSS2 Marca Trevigiana
elisa.mazzariol@aulss2.veneto.it

Marialuisa Buffon

Infermiere Dirigente UOSD Sistemi di Gestione della Qualità, Azienda ULSS 2 Marca Trevigiana