Prevenzione della sindrome mani piedi in pazienti con carcinoma ovarico ricorrente sottoposte a chemioterapia con doxorubicina liposomiale pegilata: la terapia topica

Preventing pegylated liposomal doxorubicin-related ‘hand-foot’ syndrome in patients with ovarian cancer: implications for treatment with topical therapy

 

INTRODUZIONE

Le neoplasie dell’ovaio costituiscono nei paesi industrializzati la quinta causa di morte nella popolazione femminile. È la prima causa di morte per neoplasia ginecologica. L’incidenza è 62/100,000, aumenta nelle donne di età maggiore di 40 anni. È la quinta causa più comune di morte per cancro, l’età media alla manifestazione è di 65 anni. In Italia il tumore dell’ovaio colpisce circa 4000 persone ogni anno, la mortalità 3000 donne all’anno. La sindrome mani piedi indotta da Doxorubicina Liposomiale Pegilata (PLD) è ampliamente usata nel Carcinoma Ovarico Ricorrente (ROC). È una formulazione stabile che incapsula la doxorubicina in un liposoma “Stealth” (cioè pegilato) con un’emivita di circa 72 ore. Questa forma farmaceutica drasticamente modificata gli conferisce un rischio considerevolmente inferiore di cardiotossicità, nessuna emesi acuta e quasi assenza di alopecia o problemi con necrosi da stravaso. Il principale evento avverso più comune è la tossicità cutanea la nota sindrome mani-piedi (Yuan et al. 2008).
La sindrome mani-piedi (HFS), noto anche come eritema acrale, eritrodistesia palmo-plantare (EPP) o reazione di Burgdorf, indotta da molti agenti chemioterapici classici (Doxorubicina) e nuove terapie molecolari mirate, può avere un impatto significativo sulla qualità di vita del paziente in terapia (Miller et al. 2014), tanto di rendere impossibile, nella fase acuta, lo svolgimento di semplice attività, come camminare; è caratterizzato da un eritema intenso e doloroso dei palmi e delle piante dei piedi che può progredire fino alla formazione di vescicole o bolle con desquamazioni, erosioni e ulcerazioni. In base alla gravità della reazione, al rischio di rechallenge e alla situazione clinica, potrebbero essere necessarie modifiche terapeutiche, l’interruzione completa del trattamento oppure il passaggio ad un regime alternativo se disponibile.
L’incidenza della sindrome mani-piedi in seguito alla somministrazione di PLD è compresa tra il 3,4% e il 40% dei pazienti ed è simile a quella che si presenta in pazienti che ricevono infusioni protratte di doxorubicina (Gordon et al. 1995). È stato ipotizzato che si tratti di un effetto cumulativo, ma reversibile: dato che la doxorubicina liposomiale presenta un’emivita prolungata, si presuppone che avvenga un lento rilascio di doxorubicina nel compartimento intravascolare, mimando una infusione continua (Nagore et al. 2000). Un’altra possibilità alternativa è che i liposomi si localizzino nella cute e nelle membrane mucose, rilasciando lentamente il farmaco in situ.
I chemioterapici classici hanno come target le cellule in rapida proliferazione; essendo la cute e gli annessi uno dei sistemi metabolicamente più attivi dell’organismo, è intuitivo comprendere per quale motivo gli effetti collaterali dermatologici presentino una incidenza così elevata.
I danni tossici indotti da chemioterapia si presentano a carico di tutte le strutture compresi gli annessi e le mucose, comportando non solo un danno strutturale della cute, ma soprattutto un deficit funzionale, con conseguente perdita delle funzioni protettive, di supporto, di termoregolazione, sensitive, secretive, immunitarie ed endocrino-metaboliche. I cheratinociti, dato il loro elevato turnover cellulare, rappresentano il primo bersaglio dei farmaci citotossici. Infatti, si osserva un blocco dell’attività mitotica e metabolica, con necrosi e conseguente perdita di forma, mobilità e coesione. Ne consegue, una completa alterazione del processo del turnover epidermico. A livello del derma si apprezzano alterazioni morfo-funzionali a carico dei fibroblasti, delle fibre collagene e della sostanza fondamentale.
L’educazione del paziente e le misure preventive di supporto sono ampiamente documentate come strategie efficaci per la prevenzione e il trattamento della Sindrome mani-piedi (Moos et al, 2008). La gestione appropriata di questa complicanza contribuirà ad evitare l’interruzione non necessaria del trattamento.
L’Infermiere in Dermatologia Clinica con competenze avanzate in ambito oncologico, esprime tali abilità nel management nel paziente che si sottopone a trattamenti antiblastici, con l’obiettivo di mantenere un’omeostasi della cute, attraverso interventi mirati. Sebbene non esista ancora un algoritmo terapeutico-preventivo, sono stati proposti diversi interventi, al fine di ridurre l’incidenza e la severità di presentazione della sindrome mani-piedi.
Nel presente lavoro si intende proporre un approfondimento sulle strategie preventive della sindrome mani-piedi in pazienti con carcinoma ovarico ricorrente sottoposte a chemioterapia con PLD.

Classificazione della Sindrome Mani-Piedi
La classificazione in gradi di severità crescente della sindrome mani-piedi permette un follow up adatto del paziente, al fine di valutare nel tempo l’andamento della tossicità, di correlarla con l’impatto sulla qualità di vita e di instaurare un adeguato approccio terapeutico. L’obiettivo principale è quello di mantenere il paziente in uno stato di salute ottimale tale da consentirgli di proseguire la terapia oncologica per tutto il tempo sufficiente. Pertanto, si rivela fondamentale una valutazione accurata della tossicità cutanea. Esistono diversi sistemi di classificazione degli eventi avversi, tra i quali ricordiamo quello WHO (World Health Organization – Organizzazione Mondiale della Sanità) e l’NCI (Institute National Cancer) – CTCAE (Common Terminology Criteria for Adverse Events – criteri terminologici comuni per gli eventi avversi). Il sistema WHO, formulato nel 1980, classifica la sindrome mani-piedi in quattro diversi gradi di severità crescente. Sebbene il disagio riferito dal paziente in genere correli con i segni clinici, spesso i sintomi riferiti sono imprecisi e troppo soggettivi per poter essere impiegati come unico parametro decisionale sul proseguimento o meno della terapia e sulle misure terapeutiche da mettere in atto. Per tale ragione ad oggi il sistema di classificazione degli eventi avversi che compaiono in corso di trattamento chemioterapico più usato e più affidabile è l’NCI-CTCAE v5 2017.
Secondo tale sistema, gli eventi avversi sono classificati in 5 gradi di severità crescente (1 lieve – 5 morte) basandosi sulla descrizione del quadro clinico. In linea generale, il grado 1 di tossicità evidenza pochi sintomi, che richiedono solo un’attenta osservazione; il grado 2 (tossicità moderata) richiede un trattamento topico non invasivo; il grado 3 è severo, predisponendo una gestione ospedaliera; il grado 4 richiede un trattamento urgente, in quanto mette in pericolo di vita il paziente; il grado 5 indica la morte causata dalla tossicità stessa.
Per quanto riguarda la sindrome mani-piedi nello specifico, esso risulta diviso in 3 gradi e ciascun grado necessita di uno specifico intervento terapeutico-preventivo, al fine di ridurre o impedire l’impatto negativo sullo svolgimento delle attività quotidiane.
Il grado 1 è caratterizzato da un lieve e simmetrico eritema e/o edema senza dolore; non c’è interferenza con le normali attività quotidiane. Il grado 2 si presenta con manifestazioni cutanee moderate, quali eritema, edema, desquamazione, vescicole ed ipercheratosi, associati a dolore e bruciore; il paziente riferisce fastidio nel camminare e afferrare oggetti e vi è una limitazione nello svolgimento delle attività quotidiane. Il grado 3 presenta manifestazioni cliniche severe, con edema massivo, eritema, fissurazioni, vescico-bolle, ipercheratosi imponente e sanguinamento; il dolore è talmente intenso da rendere il paziente non autonomo, impedendo completamente le attività quotidiane. I limiti nell’utilizzo di tale scala di valutazione sono rappresentati dalla soggettività delle risposte dei pazienti e dal fatto di non risultare pienamente idonea per l’inquadramento degli effetti collaterali dermatologici, compreso la sindrome mani-piedi. Infatti, l’incidenza di effetti avversi severi è fortunatamente bassa, mentre molto alta è l’incidenza di effetti collaterali di minor gravità. Gli effetti avversi cutanei, pur non essendo responsabili di una prognosi infausta, possono influire sulla qualità di vita e richiedono un idoneo approccio terapeutico per migliorare non solo la qualità di vita e la vita di relazione, ma anche per evitare la riduzione o la sospensione della chemioterapia a causa del loro aggravamento.

Prevenzione: Considerazioni Infermieristiche
Le misure preventive sono necessarie a contenere e limitare gli effetti avversi dei trattamenti chemioterapici. Gli infermieri hanno un ruolo importante in questo ambito. (Williams 2011). L’educazione sanitaria, rivolta dall’infermiera al paziente e ai suoi caregiver è fondamentale per garantire un aumento della consapevolezza dei potenziali effetti collaterali (Mitchell, et al. 2014). Sono disponibili diverse misure proattive per il paziente: i pazienti devono ammorbidire e rimuovere eventuali calli preesistente sulle loro mani e piedi prima e durante il trattamento. Inoltre per controllare i calli, i pazienti sono incoraggiati a usare crema idratanti (Mitchell, et al. 2014), allo scopo di aumentare il contenuto lipidico nello strato corneo e diminuire la perdita d’acqua transepidermica, prevenendo la xerosi e la comparsa di fissurazioni cutanee. In letteratura, è riportata una riduzione del 50% della gravità degli effetti collaterali cutanei nei pazienti trattati preventivamente con sostanze idratanti, rispetto quelli che non effettuano tale prevenzione (Lacouture et al. 2010). Inoltre il trattamento delle aree ipercheratosiche già presenti prima dell’inizio della terapia chemioterapica, attraverso l’impiego di misure cheratolitiche meccaniche o chimiche (urea topica 10-50%, acido salicilico 3-6%) (Lacouture Mario 2014). I calli si sviluppano a causa della pressione, gli infermieri dovrebbero istruire i pazienti sull’importanza di proteggere i punti di pressione o aree irritate sui mani-piedi. Per quanto concerne l’igiene di mani e piedi, è importante evitare trattamenti cosmetici aggressivi e l’uso di sostanze allergizzanti e irritanti. Inoltre, si consiglia di valutare e correggere la presenza di qualsiasi alterazione posturale, attraverso l’utilizzo di presidi medici, quali calzature adeguate e solette ortopediche. In ultimo, sarebbe opportuno non indossare calzature troppo strette o eccessivamente rigide, al fine di evitare inutili traumatismi. Tale approccio preventivo dovrebbe essere supportato da figure professionali specializzate, come il podologo, al fine di effettuare una corretta gestione delle unghie e di ridurre tutti i fattori predisponenti ad eventuali complicanze (Mitchell, et al. 2014). Il paziente dovrebbe essere istruito sulla corretta detersione cutanea con olii detergenti, i quali, attraverso la detersione per affinità, non alterano il film idrolipidico cutaneo; inoltre, è auspicabile evitare un contatto prolungato con acqua o con ambienti caldo-umidi, al fine di non favorire l’insorgenza di processi infettivi cutanei.
Tra l’altre raccomandazioni e le cure quotidiane da seguire nel controllo e nella prevenzione della sindrome mani-piedi durante i quattro a sette giorni dopo l’inizio della PLD sono: immergere mani e/o piedi in contenitori con acqua fredda quando possibile, asciugare bene la pelle, tenere mani e piedi nudi (senza guanti, calzi), resta in luoghi freschi; evita l’esercizio fisico intenso che può causare trauma ai piedi (ad es. jogging), non esporre la pelle ad acqua molto calda (ad es. vasche idromassaggio, saune…), evitare attività che producono forza o attrito non necessario nelle mani o nei piedi durante le prime sei settimane di trattamento, non mettere in contatto sostanze chimiche abrasivi (The European Agency for the Evaluation of Medicinal Products (EMEA). È importante sottolineare che tali misure proattive strategiche e la educazione del paziente dovrebbero essere mantenute prima dell’inizio e per tutta la durata del trattamento e modulate con controlli periodici, sulla base della risposta individuale di ciascun paziente (Mitchell et al. 2014).

 

TRATTAMENTO

In caso di comparsa della sindrome mani-piedi, è importante intervenire tempestivamente attraverso un approccio terapeutico idoneo, al fine di ridurre l’impatto sulla qualità di vita del paziente, migliorare l’aderenza alla chemioterapia ed evitare una completa sospensione del trattamento. Ad oggi, mancano linee guida e algoritmi terapeutici univoci che possano aiutare ad orientare il medico nella scelta del trattamento idoneo, nel paziente che presenta la sindrome mani-piedi. Le uniche misure terapeutiche proposte Lacouture M. (2014) si basano sul diverso grado di severità, secondo la classificazione CTCAE v.4.
Nelle manifestazioni lievi (grado 1) la sindrome mani-piedi può essere trattato con creme e lozioni idratanti, agenti cheratolitici, quali urea 10-40% e/o acido salicilico 1-10%, e steroidi topici a media potenza. Possono essere impiegate suole in gel o schiuma, al fine di ammortizzare il traumatismo indotto dalla deambulazione. Il trattamento chemioterapico può essere proseguito allo stesso dosaggio.
Nelle forme moderate (grado 2), in aggiunta al trattamento comune del grado 1, si impiegano steroidi topici ad elevata potenza (come il clobetasolo propionato 0.05%) (Manchen et al. 2011). Il dolore può essere gestito con antiinfiammatori non steroidei e con agonisti dell’acido gamma- amino-butirrico. È importante valutare una eventuale riduzione della dose di chemioterapico fino al 50%, fintanto che non si raggiunge la riduzione della severità della tossicità al grado 0 o 1. Se la regressione non avviene, è necessario sospendere la terapia per almeno 7 giorni e, quando questa viene ripresa, è fondamentale partire da dosaggi più bassi.
Nelle forme gravi (grado 3), oltre al trattamento comune al grado 2, è consigliato associare un trattamento antisettico e medicazioni idrocolloidi per la gestione delle lesioni bollose e delle erosioni. I chemioterapici devono essere interrotti per almeno 7 giorni, fintanto che la tossicità si riduce al grado 0 o 1. Quando si riprende il trattamento chemioterapico, esso deve essere somministrato ad una dose più bassa.
Nelle forme gravi da taxani e doxorubicina è consigliabile l’uso di corticosteroidi sistemici (desametasone per 7 giorni con dose a scalare), anche se tali forme sono difficilmente controllabili e spesso richiedono la completa sospensione della terapia chemioterapica.

 

LE MOLECOLE NELLA PREVENZIONE SINDROME MANI PIEDI

1. Jung et al (2017) descrivono un trattamento antiossidante per la prevenzione dell’eritrodisestesia palmoplantare. In questo studio è stata studiata una strategia preventiva usando un unguento applicato localmente con una elevata dose di fattore di protezione. L’unguento contenente antiossidante è stato confrontato con un unguento con placebo. Sono state valutate la comparsa di EPP di grado 3, la comparsa complessiva di EPP di 1-3 e la gravità dell’EPP nei pazienti con PLD. L’unguento e il placebo è stata applicata localmente per un periodo di 16 settimane, a partire da 3 giorni prima del primo ciclo di chemioterapia. Le valutazioni cliniche sono state eseguite da un dermatologo prima del primo ciclo di chemioterapia e ogni 4 settimane per la durata di 16 settimane.
Risultati: In totale sono stati arruolati 32 pazienti, di cui 17(66%) hanno completato lo studio. Non si è sviluppata alcuna EPP di 3 grado nel gruppo trattato con antiossidanti, mentre cinque pazienti su sette (71%) hanno sviluppato EPP di grado 3 (p=0,003), nel gruppo trattato con placebo. La presenza generale di EPP di tutti i gradi era del 60% nel gruppo trattato con l’unguento a base di antiossidanti e dell’86% sotto il trattamento con placebo.
L’applicazione preventiva di un unguento contenente antiossidante si è dimostrata significativamente più efficace nella prevenzione di EPP di grado 3 rispetto al trattamento con placebo.

2. Templeton et al. (2014) hanno studiato un trattamento antitraspirante nella prevenzione dell’eritrodisestesia palmo-plantare in pazienti con carcinoma mammario trattati con doxorubicina liposomiale pegilata.
È stato applicato un antitraspirante contenente cloridrato di allumini sulla mano sinistra o destra e sul piede, mentre il trattamento placebo è stato applicato controlateralmente. Lo studio è stato condotto in doppio cieco con randomizzazione intra-paziente. L’endpoint primario era il tasso di eritrodisestesia palmo-plantare di 2 o 3 grado. Un endpoint secondario era l’onere dei sintomi riportato dal paziente (formicolio, intorpidimento, dolore o problemi della pelle). L’EPP di 2 o 3 grado si sono verificati in 30 (58%) su 52 pazienti valutabili; in sei pazienti gli effetti avversi si sono verificati sul lato placebo ma non sul lato del trattamento, mentre un paziente ha sviluppato EPP solo sul lato del trattamento (P = 0,07). Quattro pazienti hanno sviluppato eritrodisestesia palmo-plantare di 2 o 3 grado sul piede dal lato placebo ma non dal lato del trattamento (P = 0,05). Nel gruppo con eritrodisestesia palmo-plantare di 2 o 3 grado c’era una tendenza verso un minor numero di sintomatologie dermatologiche con il trattamento attivo (P = 0,05) e nessuna differenza per altri eventi avversi.
L’uso topico di cloridrato di alluminio come antitraspirante sembra ridurre l’incidenza dell’eritrodisestesia palmo-plantare di 2 o 3 grado.

3. ZhenGang et al. (2015) hanno studiato l’effetto profilattico della crema a base di urea sulle reazioni cutanee mano-piede associate a sorafenib in pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato.
In questo studio randomizzato e in aperto, 871 pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato in tutta la Cina sono stati trattati con UBC al 10% tre volte al giorno associata alla migliore terapia di supporto (Best Support Care BSC) n = 439, o BSC da sola escludendo tutte le altre creme (n = 432), a partire dal giorno 1 del trattamento con sorafenib, fino a 12 settimane. La comparsa di HFSR è stata valutata ogni 2 settimane e a 14 settimane per i pazienti che hanno completato lo studio. Una volta che si è verificato l’HFSR, ai pazienti è stata concessa qualsiasi crema, incluso un UBC. L’incidenza della HFSR di qualsiasi grado in 12 settimane è stata significativamente più bassa nel gruppo UBC rispetto al gruppo solo BSC (56,0% vs 73,6%, rispettivamente; odds ratio [OR], 0,457; IC 95%, 0,344-0,018; P <.001), così come l’incidenza dell’HFSR di grado ≥ 2 (20,7% v 29,2%, rispettivamente; OR, 0,635; IC al 95%, da 0,466 a 0,866; P = 0,004). Il tempo mediano alla prima insorgenza di HFSR era significativamente più lungo nel gruppo UBC rispetto al gruppo solo BSC (rispettivamente 84 v 34 giorni; hazard ratio, 0,658; IC al 95%, da 0,541 a 0,799; P <.001). L’AST elevato era associato ad un aumentato rischio di HFSR ma non alterava l’effetto del trattamento dell’UBC. UBC più BSC, rispetto al solo BSC, non ha influenzato la riduzione della dose di sorafenib o il tasso di interruzione (9,1% v 11,8%, rispettivamente; P = .1937), tasso di risposta (11,1% v 10,1%, rispettivamente; P = .6674) o tasso di controllo della malattia (98,8% v 98,2%, rispettivamente; P = .5350) alla settimana 12.
L’utilizzo di creme a base di urea ha ridotto le manifestazioni palmo-plantari nei pazienti con HCC avanzato in terapia con sorafenib, ritardando la prima insorgenza e migliorando la qualità della vita dei pazienti.

4. Lademann et al. (2014) hanno studiato una strategia di prevenzione contro lo sviluppo di una EPP in pazienti trattati con PLD
Sono stati osservati venti pazienti affetti da carcinoma ovarico e trattati con PLD.
Risultati: il 60% dei pazienti ha tollerato l’applicazione regolare della crema e non ha sviluppato nessun EPP. Il restante 40% ha interrotto l’applicazione. Sei di loro hanno sviluppato EPP e hanno ripreso l’applicazione dell’unguento in seguito. In questi casi i sintomi dell’EPP sono scomparsi o sono stati fortemente ridotti.
I risultati dell’osservazione dimostrano chiaramente che l’applicazione topica dell’unguento contenente antiossidante è una strategia efficace contro lo sviluppo dell’EPP durante la chemioterapia con PLD.

5. Deng e Sun (2018) hanno condotto una revisione sistematica della letteratura sulla fitoterapia nella prevenzione della sindrome mani-piedi indotta dalle fluoropirimidine.
Gli obiettivi di questo studio erano di valutare l’efficacia della fitoterapia nella prevenzione e la gestione della HFS indotta dalle fluoropirimidine, per identificare le erbe associate alla riduzione della HFS per ulteriori ricerche. La meta-analisi di 35 studi ha dimostrato che l’aggiunta della fitoterapia ha ridotto significativamente l’incidenza della HFS di grado elevato. Il tasso effettivo totale e il tasso di remissione completa dei pazienti con HFS sono aumentati significativamente con l’utilizzo della fitoterapia. Ulteriori analisi di sensibilità hanno identificato quattro erbe: Paeoniae Radix Alba, Carthami Flos, Cin-namomi Ramulus e Glycyrrhizae Radix et Rhizoma sono stati associati a riduzioni significative dell’incidenza di HFS, con effetti cheratinocita-protettivi, antinfiammatori, antinocicettivi, neurotrofici, antiossidanti ed antitumorali. Tuttavia, la mancanza di mascheramento nella maggior parte degli studi potrebbe aver portato a sopravvalutare questi effetti.

6. Elyasi et al. (2017) hanno valutato l’efficacia della somministrazione topica di Silimarina nella prevenzione della Sindrome mani-piedi indotta da Capecitabina: si tratta di una sperimentazione clinica randomizzata, in doppio cieco, controllata con placebo. La silimarina è un flavonoide polifenolico estratto dal silybum marianum che esibisce forti attività antiossidanti e antinfiammatorie. In questo studio clinico pilota, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, è stato valutato l’effetto del gel di silimarina all’1%, che viene applicato sui palmi delle mani e sulla pianta del piede due volte al giorno a partire dal primo giorno di chemioterapia per 9 settimane. Quaranta pazienti hanno soddisfatto i criteri di inclusione. I punteggi della scala di classificazione HFS dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono stati registrati al basale e ogni 3 settimane durante le 9 settimane di applicazione del trattamento. I punteggi mediani dell’HFS erano significativamente più bassi nel gruppo della silimarina alla fine della nona settimana (p<0,05). I punteggi sono aumentati significativamente nei gruppi placebo e silimarina durante la chemioterapia, ma c’è stato un ritardo per lo sviluppo e la progressione dell’HFS nel gruppo silimarina. La somministrazione profilattica della formulazione topica di silimarina potrebbe ridurre significativamente la gravità dell’HFS indotta da capecitabina e ritardarne l’insorgenza.

 

CONCLUSIONI

L’incidenza degli effetti collaterali durante l’oncoterapia è sottostimata, in quanto in letteratura sono riportate solamente le manifestazioni cliniche più eclatanti e severe. Lo scopo del management dermatologico del paziente oncologico prevede prevenzione ed educazione al paziente, ma anche una corretta analisi di segni e sintomi precoci di alterazione cutanea ed il tempestivo trattamento. Le figure dell’onco-dermatologo e l’infermiera in dermatologia clinica rivestono un ruolo chiave.
Il management prosegue anche una volta che i trattamenti oncologici sono terminati, è importante ripristinare l’integrità cutanea e la sua fisiologica omeostasi. Servirebbero formulazioni topiche galeniche personalizzate. Dopo un’analisi mirata della cute, le formulazioni galeniche potrebbero contenere antiossidanti, antitraspiranti, cheratolitici, flavonoidi. Un accurato management cutaneo aiuterebbe il paziente ad affrontare al meglio il trattamento antiblastico.

 

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Soledad Còndor Arredondo

Infermiera, Unità Operativa Ginecologia Oncologica, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano
RN, Department of Gynecological Oncology, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milan (Italy)
s_condor_a@hotmail.com