02 Apr Lo Spazio Etico come possibilità di manutenzione emotiva dei professionisti della cura
Ethical Space as a possibility for emotional maintenance of care professionals
Descrizione
Lavorare in contesti di sofferenza comporta che il personale sia in grado di gestire le relazioni con attenzione e sensibilità in quanto le competenze comunicative ed emotive sono indispensabili per svolgere una professione sanitaria. I professionisti della cura sono soggetti a situazioni potenzialmente stressanti pertanto si rende necessario investire su di loro garantendo una manutenzione emotiva permanente affinché possano svolgere con equilibrio il proprio compito.
Da questo bisogno nasce il progetto “Spazio Etico” per Opi MiLoMB, per offrire agli infermieri un luogo di condivisione, ascolto e cura dove lavorare allo sviluppo della consapevolezza e allenarsi all’utilizzo di strumenti per gestire lo stress.
Frequente è la resistenza delle istituzioni a ritenere necessario offrire spazi e tempi di formazione basata sulla manutenzione emotiva a coloro che svolgono il delicato e difficile lavoro di cura.Anche gli stessi operatori non sempre sono disponibili a mettersi in gioco, poiché il lavoro su se stessi come persone e poi come professionisti é sì importante, ma al tempo stesso anche il più difficile da fare.
Il virus dell’anima
Sappiamo dagli anni ’70 che le professioni ad alta componente relazionale sono esposte al rischio burnout e che curare logora: molteplici sono le variabili (relazione, organizzazioni, mancanza di competenze emotive e relazionali) che possono divenire fattore di stress per questi lavoratori. Eppure, ancora oggi si stenta a riconoscere quanto lavorare al miglioramento di sé sia fondamentale per essere all’altezza di svolgere adeguatamente una simile professione e prevenirne i rischi connessi.
Non raramente si assiste ad una cronicizzazione dello stress dovuto, per esempio, al carico emotivo che si genera durante lo svolgimento del lavoro e che non sempre termina con il timbro del cartellino alla fine del turno, ma segue l’operatore trasferendosi a casa sua, si insinua e si espande nella sua vita proprio come un virus inizialmente silente e via via sempre più ingravescente.
La credenza massicciamente radicata nella nostra cultura riconosce il corpo come oggetto possibile di allenamento, addestramento e riabilitazione, mentre non attribuisce alla mente un’uguale esigenza come se dovesse procedere arrabattandosi alla meglio da sola.
Il titolo di studio non basta
La formazione accademica prevede una robusta preparazione su tematiche di tipo tecnico-sanitario, ma non attribuisce ancora oggi la necessaria importanza a quella riguardante il difficile e delicato compito di trovare gli atteggiamenti e le parole giuste per governare la relazione di cura, che comporta saper gestire la sofferenza di chi si trova in una condizione di fragilità, perdita di autonomia, paura, malattia e fine vita. Viene quindi disconosciuto il valore terapeutico della parola.
Il percorso universitario e i successivi corsi di formazione continua previsti dall’ordinamento assolvono al compito di ottenere un titolo e una base di conoscenze soprattutto tecniche e cliniche ritenendole sufficienti a svolgere bene le funzioni di cura previste.
Una logica siffatta non ritiene indispensabile la conoscenza e l’applicazione delle competenze emotive, comunicative e relazionali, utili invece ad acquisire consapevolezza di sé e sensibilità nei confronti dei pazienti e dei loro familiari e capacità nel gestire in modo appropriato le complesse dinamiche che si sviluppano nei contesti di cura.
Sono molti gli ambiti in cui si continua a preferire l’expertise, la prestazione in senso stretto, come unico indice di qualità, mentre ciò che fa veramente la differenza nelle professioni di cura è come vengono svolte le prestazioni, il modo in cui viene condotta l’interazione con il paziente, la gestione dello stress, la continua capacità di automotivarsi, lo sviluppo delle abilità sociali e dell’autocontrollo.
È dunque di fondamentale importanza e si fa sempre più urgente arricchire l’assistenza sanitaria con l’intelligenza emotiva, per portare consapevolezza nella relazione e prestare attenzione a quanto accade tra il professionista e il paziente, saper leggere il suo linguaggio del corpo e saper vedere e sentire le sue reazioni a ciò che l’operatore dice e fa.
Troppo spesso l’assistenza sanitaria risulta carente o addirittura sprovvista di questa intelligenza. Ne deriva un deficit di cura.
Le conseguenze dello stress
Martin Seligman (2013) ha definito lo stress il modo con cui lo stressor (agente stressante o fonte di stress) viene percepito e interpretato dal soggetto, e la reazione che da esso è determinata.
Pensiamo per esempio come un avvenimento a volte possa scatenare una reazione sproporzionata; è quanto può accadere ad un operatore esausto che metta in atto una risposta disfunzionale quando è esposto agli effetti prolungati di molteplici tipi di stressor quali stimoli fisici (per esempio la fatica per turni massacranti), mentali (affollamento di pensieri negativi, assillanti), sociali o ambientali (obblighi, richieste, …) che determinano l’insorgere di una condizione patologica, all’inizio asintomatica, ma in progressivo sviluppo fino alla completa insorgenza di un quadro pluripatologico.
Molti operatori sono costantemente ansiosi e soffrono di stati tensivi cronici a livello muscolare in varie zone del corpo: ognuno ha poi la propria zona somatica “di elezione” in cui vanno ad accumularsi affanni e malinconie. I disturbi più frequenti sono palpitazioni e aritmie cardiache, insonnia, emicrania, acufeni, orticaria; reazioni soprattutto sollecitate da circostanze di stress quotidiano alle quali il corpo risponde automaticamente quando le registra come minaccia o pericolo. Ma anche la psiche non sfugge alle sollecitazioni negative che costantemente riceve e produce, che si fanno evidenti con demotivazione, stanchezza cronica, attacchi di panico, senso di impotenza, di vuoto, rabbia, angoscia che possono arrivare a sfociare in quadri depressivi, fino al suicidio nei casi peggiori.
Durante il periodo pandemico sono venute molto più in evidenza le reazioni da stress incontrollate che una volta consolidate provocano gravi conseguenze sulla salute, come lo sviluppo di patologie croniche.
La prima forma di tutela è diventare consapevoli di queste reazioni, di questi pericoli: la consapevolezza è la risorsa per eccellenza per cambiare le cose.
La via della consapevolezza
Abbiamo la possibilità di esercitare un controllo maggiore di quanto normalmente crediamo sulle cause del nostro stress, proprio attivando il sentiero della consapevolezza per migliorare la capacità e la qualità dell’attenzione, per vedere con maggiore chiarezza, per stabilizzarci e centrarci e da qui procedere a sentire, ascoltare e riconoscere gli aspetti fisiologici dell’emozione in modo da percepirli vivamente grazie a questa attenzione focalizzata.
La consapevolezza è infatti la base dell’Intelligenza Emotiva: il punto di partenza per sviluppare tutte le competenze che tale intelligenza include.
Nei percorsi formativi sviluppati all’interno del progetto “Spazio Etico” per cominciare ad esercitare i corsisti a riconoscere le emozioni, sono proposte esperienze ed esercitazioni per favorire l’alfabetizzazione emotiva, per diventare più sensibili alle emozioni con l’intento di nutrire la propria consapevolezza e sviluppare una consistente attenzione nei confronti degli altri attraverso la lettura della loro mimica, delle sfumature percepibili nel tono della voce, delle posture, dei loro atteggiamenti.
Quando lavoriamo in formazione con le emozioni, innanzi tutto si va ad affinare la capacità di riconoscerle proprio nel momento in cui bussano al corpo (è così che sorgono), prima cioè che alimentino un susseguirsi di pensieri ed azioni, in modo da poter essere in grado di scegliere cosa fare con esse avendone consapevolezza.
La trascuratezza e il dirottamento emotivo: come evitarli?
La sofferenza e la frustrazione favoriscono stati emotivi che possono condurre su chine comportamentali quali l’indifferenza, la durezza, l’ostilità come forme difensive agite da quei professionisti che non hanno la formazione adeguata per gestire la relazione di cura.
E allora non resta loro altra scelta che arroccarsi in sé stessi e man mano inaridirsi nel tentativo di non farsi toccare dalla morte, dalla malattia, dalla demenza, dal declino fisico e psichico con cui vengono giornalmente in contatto. É un modo semplificato e brutale di prendere le distanze per proteggersi dalla paura di tutte queste possibili tragedie.
C’è poi chi corre invece un rischio opposto: si invischia in un massiccio coinvolgimento fino a sentirsi inglobato dai vissuti dei pazienti e risucchiato nel mare emotivo dell’altro. Questo appesantisce pericolosamente e inutilmente lo stato emotivo di chi aiuta.
Occorre tenere la giusta distanza, ma è difficile da definire, in quanto soggettiva e fortemente connessa alla capacità di interrogarsi, di mettersi in ascolto, soprattutto di sé stessi.
Per individuarla è necessario, anche in questo caso, allenare la consapevolezza e l’intelligenza emotiva al fine di abitare la complessità della vicinanza con l’altro, individuando limiti e confini, rimodellando in maniera costante mappe di senso e posture che ci permettano di ad-sistere, stare accanto in maniera autentica, nel rispetto della dignità dell’Altro e di sé stessi.
Diversi le possibilità per compiere questo lavoro di disamina e di arricchimento delle proprie competenze emotive e relazionali, diversi gli strumenti e le metodologie che è possibile utilizzare.
Strumenti di supporto e cambiamento:
Ricordiamo tra questi la supervisione, la medicina narrativa, la Mindfulness, l’utilizzo delle medical humanities e delle scienze umane per offrire corsi formativi per i professionisti in grado di lavorare sui temi sopracitati.
Per iniziare il lavoro infatti è necessario partire dalla coscienza che lo stesso “curare logora a tal punto da rischiare un calo del rendimento professionale con conseguenza relazionali e psicologiche anche gravi”.
A tal fine la commissione “Spazio Etico” di Opi MiLoMb ha strutturato un’ampia offerta formativa per iniziare a lavorare al tema della consapevolezza come capacità di esplorazione e conoscenza di sé.
Al momento sono previsti per questa prima parte dell’anno diversi eventi in cui saranno utilizzati la medicina narrativa, il teatro, la filosofia, il coaching gestaltico, il tocco, la meditazione, il gruppo come luogo di cura e ascolto.
Ricchezza o Povertà?
Occorre constatare infine che l’intelligenza emotiva varia a seconda delle organizzazioni: quelle non intelligenti non mettono in grado i lavoratori di trasformare la propria intelligenza in competenza emotiva ed organizzativa e quindi non potranno perseguire massimi livelli di sviluppo personale e professionale. Tali organizzazioni risultano essere un territorio privilegiato di azioni negative, di mobbing e di stress.
Quelle sanitarie, per esempio, hanno una struttura fortemente proceduralizzata, legata a schemi di funzionamento necessari a mantenere l’accreditamento. Un simile modello non tiene in considerazione la salute dei dipendenti, la qualità della vita professionale, le loro emozioni, il loro benessere producendo assenteismo, demotivazione, insoddisfazione e disagio psicologico nei lavoratori.
Utilizzare strumenti e modalità di comprensione e supporto a livello più profondo rispetto alle dinamiche razionali trasformerebbe l’aridità emozionale in linfa vitale e ricchezza.
Il patrimonio aziendale si rafforzerebbe nel conservare umanità ed equilibrio, nel trarre piacere dal lavoro grazie all’innalzamento del morale e della motivazione nel personale curante, potrebbe inoltre contare su una maggiore cooperazione e disponibilità al cambiamento oltre ad offrire modalità di comunicazione efficaci, gentili, empatiche, oneste e trasparenti a pazienti e familiari per essere sì professionali, ma restando umani.
Tra i benefici di questa modalità di gestione delle risorse ricordiamo la capacità dei lavoratori stessi di gestire lo stress attraverso la consapevolezza emotiva e lo sviluppo di valide modalità comunicative e relazionali.
Come “Spazio Etico” auspichiamo questo cambiamento e la creazione di un luogo di condivisione, confronto e supporto per tutti i professionisti che si impegnano quotidianamente a fianco dell’Altro.
Abbiamo quindi iniziato un percorso per lo sviluppo dell’intelligenza emotiva con un corso in cui introdurre il concetto di IE e la sua applicazione con il lavoro di cura il 1 marzo (con riedizione il 28 maggio).
BIBLIOGRAFIA
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Susanna Baldi
Psicologa- Psicoterapeuta, Senior Trainer- Istruttore di Mindfulness Based Stress Reduction- Supervisore e Consulente in contesti socio-sanitari
Titti De Simone