L’impatto della pandemia da COVID-19 sulla Workplace Violence in Pronto Soccorso: focus in area Triage

COVID-19 pandemic’s impact on Workplace Violence in the Emergency Department: focus on Triage

 

Workplace Violence: un fenomeno pericoloso
Modalità di approccio aggressive e violente nei confronti degli operatori sanitari (Health Care Worker/ HCW) risultano essere particolarmente frequenti e di forte rilevanza in tutto il mondo (Escribano et al., 2019) con episodi segnalati in molti contesti internazionali (Firenze et al., 2020; Groenewold et al., 2018; Muzembo et al., 2015; Shi et al., 2020). La violenza contro gli operatori sanitari (HCW), in alcuni paesi, si presenta con un indice di prevalenza superiore all’87% (Elhadi, 2020). La World Medical Association (WMA) ha recentemente affermato come la violenza contro il personale sanitario rappresenti un’emergenza internazionale (WMA, 2020). Il National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH), organo del Centers for Disease Control and Prevention (CDC), definisce la violenza sul posto di lavoro (Workplace Violence/WPV) come: “atti violenti, comprensivi di aggressioni fisiche e minacce di aggressione, diretti a persone al lavoro o in servizio” (Jenkins, 1996, p. 1). È stimato che quasi un quarto dei casi di WPV nel mondo si verifica nel settore sanitario (Azodo, et al., 2011); nonostante ciò, la valutazione dell’incidenza di tali episodi risulta essere inserita in una grande complessità, poiché eventi di questo genere tendono ad essere sottostimati, in particolar modo quando non vi è un infortunio (Morphet et al., 2018). Le statistiche della World Health Organization (WHO) osservano, però, come dall’8% al 38% circa del personale sanitario subisca violenza fisica ad un certo punto della propria vita professionale (WHO, 2018). Tali atti, difatti, rappresentano un fattore di rischio in grado di minare profondamente la sicurezza ed il benessere degli HCW e dei pazienti (D’Ettorre et al., 2019; Vento, et al., 2020). La diffusione e il peso che questi eventi hanno all’interno delle strutture sanitarie italiane sono stati ampiamente descritti e documentati negli studi di Civilotti et al. (2021) e Ferri et al. (2016). Per tentare di arginare questo fenomeno, il Ministero della Salute italiano si è espresso in materia, nel 2007, producendo la raccomandazione n° 8 “Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari” (Ministero della Salute, 2007); successivamente, il Parlamento, nel 2020, ha legiferato ulteriormente per combattere il dilagare del fenomeno, producendo il testo “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni” (L. 113/2020).

Workplace Violence in area Triage del Pronto Soccorso
La WPV è presente in tutti i contesti lavorativi sanitari, ma uno dei setting assistenziali a più alta incidenza di aggressioni nei confronti degli HCW risulta essere il Dipartimento di Emergenza (DEA), dove fino al 98% del personale è vittima di aggressioni (Cabilan et al., 2020). A conferma di ciò, Yoon & Sok (2016) affermano che gli infermieri di Pronto Soccorso (PS) hanno un rischio 16 volte maggiore di incorrere in episodi di violenza rispetto a quelli impiegati in altri servizi. La stessa International Council of Nurses (ICN) afferma come gli operatori sanitari siano coloro che possono subire maggiormente episodi di WPV rispetto ad ogni altro lavoratore, compresi agenti di polizia e guardie penitenziarie (Taylor & Rew, 2011).
Nel considerare il contesto italiano, ad esempio, Becattini et al. (2007) osservano, attraverso un’indagine condotta in 10 strutture di PS, come il fenomeno sia ampiamente diffuso e stia assumendo dimensioni pericolose; difatti il 90% degli infermieri ha riferito di essere stato aggredito verbalmente, mentre il 35% ha dichiarato di aver subito un’aggressione fisica.
La letteratura evidenzia come l’area di triage del Pronto Soccorso risulti essere il setting in cui si verifica maggiormente WPV nei confronti degli infermieri (Angland, et al., 2014; Crilly, et al., 2004; Morphet et al., 2014; Pich, et al., 2017; Ramacciati, 2019), dove gli stessi hanno una probabilità 3 volte maggiore di subirla dai pazienti (Pich, et al., 2017). Quest’affermazione è ulteriormente confermata sia dallo studio di Ramacciati et al. (2019), sia da Ferri et al. (2020) dove, esplorando le esperienze degli infermieri di triage italiani in questo tema, si è osservato che un’alta percentuale, rispettivamente del 86% e il 96%, degli intervistati era stato vittima di WPV.
L’area di triage è vista come il luogo con maggiore incremento di episodi violenti, in quanto essa rappresenta il primo punto di riferimento per la valutazione del paziente, fornendo, probabilmente, agli stessi utenti e ai loro accompagnatori l’opportunità di sfogare la loro frustrazione e aggressività sulla prima persona che incontrano (Angland, et al., 2014). L’attività di triage risulta essere l’epicentro di numerosi eventi innescati sia dai pazienti sia da coloro che li accompagnano, potenzialmente causa di successivi comportamenti violenti. Molteplici studi hanno osservato una serie di fattori legati a criticità di tipo logistico-strutturali, propri del PS, in grado di incrementare le WPV, quali staffing inadeguato (ALBashtawy et al., 2015; Gates, et al., 2005; Morphet et al., 2014), gravosi tempi di attesa (Crilly, et al., 2004; Gates, et al., 2005; Morphet et al., 2014; Pich et al., 2011), limitate misure di sicurezza (Landau & Bendalak, 2008) e il fenomeno dell’overcrowding (ALBashtawy et al., 2015; Morphet et al., 2014; Wand & Coulson, 2006).
Focalizzandosi sulla sola area di triage, si è osservato che essa viene vista e vissuta, da coloro che usufruiscono dei servizi di Pronto Soccorso, come un “imbuto”, ovvero un ostacolo che li separa dalle cure richieste (Spelten et al., 2020); in aggiunta, la sola presenza di un singolo infermiere a presidiare tale ambiente rende ancora più facile l’innesco di WPV (Ferri et al., 2020). Il personale giovane e inesperto è considerato inoltre più vulnerabile e più esposto a divenire vittima di aggressioni (Pich, et al., 2017; Wei et al., 2016), forse perché il professionista esperto è maggiormente in grado di identificare tutti quei segnali predittivi di un’imminente aggressione (Zhang et al., 2017). Un ulteriore fattore innescante è rappresentato dalla mancanza di comunicazione ed interazione interpersonale tra gli HCW e l’utenza (Angland, et al., 2014). Morphet et al. (2014) hanno osservato una generale consapevolezza, da parte degli infermieri impegnati nell’attività di triage, nell’essere stati parte in causa nel generare atti di violenza, mettendo in pratica una scarsa comunicazione verbale e non verbale, unita ad atteggiamenti scarsamente empatici verso i pazienti. L’insorgenza di gesti e comportamenti aggressivi, infatti, può essere correlata alle modalità di comunicazione messe in atto dal professionista verso i pazienti, come il tono della voce, un approccio negativo, o la sfiducia nei confronti delle motivazioni che hanno spinto il paziente a presentarsi in Pronto Soccorso (Morphet et al., 2014). Le conseguenze che gli HCW di PS subiscono a seguito delle WPV permeano in diverse sfere personali degli infermieri, toccandoli non solo nella propria fisicità, ma anche in aspetti profondi più emotivi e psicologici (Cannavò et al., 2019). Subire atti di violenza può portare ad un cambiamento nella quotidianità di chi la vive: una maggiore fruizione di tabacco o alimenti, disturbi del sonno, rigidità e difficoltà nelle relazioni sociali giungendo, talvolta, a casi di allontanamento da persone o da determinati luoghi (Cannavò et al., 2019). Dal punto di vista psicologico, tali eventi possono portare gli HCW a sperimentare mancanza di motivazione, una riduzione del livello di qualità del proprio lavoro, assenteismo (Cannavò et al., 2019), fino a casi di depressione (Tong et al., 2019) o disturbo da stress post-traumatico (PTSD) (Zafar et al., 2016). Nonostante tutte le problematiche derivanti, molti infermieri dei servizi di Pronto Soccorso accettano l’episodio di violenza come un inevitabile aspetto professionale (Ashton et al., 2018; Spelten et al., 2020; Yoon & Sok, 2016), ma dichiarano la propria volontà nell’essere trasferiti in altri setting assistenziali (Lee et al., 2020).
Nonostante la letteratura confermi che il triage rappresenti un’attività infermieristica ad alto rischio di violenza, ad oggi non esistono studi che identificano le criticità organizzative e ambientali di questo setting, nel quale gli infermieri, oltre ad essere i primi erogatori di assistenza, devono far fonte alle enormi pressioni causate dal sovraffollamento e dalle lunghe attese (Ferri et al., 2020).

Workplace Violence in Pronto Soccorso nello scenario pandemico da COVID-19
Durante la Pandemia da COVID-19 i sistemi sanitari di tutto il mondo e i relativi professionisti sono stati messi a dura prova (El Bcheraoui, 2020), colpendo inevitabilmente anche i pazienti e le loro famiglie (Luttik et al., 2020).
In generale, gli effetti della Pandemia da COVID-19 hanno prodotto stress e paura, sia nel personale sanitario, sia nei pazienti ricoverati (Parchani et al., 2021). Gli operatori sanitari hanno identificato come fonte di stress la paura di essere esposti al virus e di ammalarsi, la preoccupazione di affrontare l’infezione, la malattia e la morte di altri (es. pazienti, colleghi o persone care), sentimenti di inadeguatezza e impotenza verso le condizioni e il trattamento dei loro pazienti, l’assenza di una adeguata fornitura di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) e una scarsa formazione (Arnetz et al., 2020). A loro volta, i pazienti ricoverati hanno riferito di provare paura circa l’incertezza della diagnosi ed il trattamento della malattia, riguardo allo sviluppo di sindromi gravi dovute a comorbilità, senso di colpa per il rischio potenziale della trasmissione del virus ai propri cari, nonché ansia per la conseguente discriminazione sociale (Li et al., 2021). La concomitanza di questi eventi, in una situazione di vulnerabilità già presente tra sistema e pazienti, può aggravare il già alto tasso di WPV e la sua sottostima (Byon et al., 2021).
Con il dilagare e il diffondersi del virus SARS-CoV-2 in tutto il mondo, sebbene nel primo periodo fosse emersa una visione degli operatori sanitari come eroi (McKay et al., 2020), successivamente si è osservato un aumento esponenziale degli episodi di maltrattamento contro gli HCW (WMA, 2020). Fin dagli albori di questa pandemia, i titoli dei mass media hanno catturato storie di personale sanitario vittima di atti di violenza e aggressione sul posto di lavoro. I rapporti descrivono, in taluni casi, HCW picchiati, lapidati, sputati, minacciati e sfrattati dalle loro case perché consideranti untori (McKay et al., 2020).
I motivi secondo i quali le persone aggrediscono gli HCW durante le emergenze sanitarie sono di varia natura e correlati al contesto culturale in cui avvengono. Le principali cause, riconosciute dalla letteratura come fonti di amplificazione del fenomeno della WPV durante la pandemia da COVID-19, risultano essere la paura e le errate informazioni circolanti sulla diffusione del virus (McKay et al., 2020). Un’ulteriore possibile ragione alla base di questi attacchi, è da ricercare anche nell’alto tasso di infezione da COVID-19 tra gli operatori stessi (Dye et al., 2020). Ciò ha portato intere comunità a percepire gli HCW come un forte rischio per il benessere della salute pubblica (Taylor et al., 2020).
Ad oggi, in linea con studi precedenti (Shafran-Tikva et al., 2017) condotti nel periodo non pandemico in tema WPV, una delle aree cliniche maggiormente colpite da episodi di violenza sul luogo di lavoro, rimane il servizio di Pronto Soccorso (Basis et al., 2021). Lo studio condotto da McGuire et al. (2021) presso un PS statunitense dimostra, infatti, come nel periodo pandemico il personale sanitario abbia subito un maggior numero di episodi di violenza da parte dell’utenza (2,53 incidenti per 1000 visite di pazienti), rispetto all’anno precedente (1,24 incidenti per 1000 visite di pazienti). Gli stessi intervistati hanno dichiarato un aumento delle aggressioni fisiche, in particolare, attraverso fluidi corporei. Il motivo di ciò potrebbe essere facilmente intuibile, in quanto è noto come il gesto di sputare e tossire direttamente verso una terza persona, in particolare nel periodo storico che si sta vivendo, rappresenti un atto molto forte, con lo scopo di causare un danno al personale.
Alti tassi di WPV si sono osservati anche nello studio condotto da Muñoz Del Carpio-Toia et al. (2021), che ha coinvolto numerose strutture sanitarie in Perù, dove circa l’85% del campione che ha partecipato ha dichiarato di aver subito un qualche tipo di WPV mentre assisteva pazienti affetti da COVID-19, di cui oltre il 75% ha subito violenza in più occasioni. La forma di WPV che ha maggiormente colpito il personale sanitario è risultato essere, però, l’aggressione verbale. Lo stesso studio individua come setting a più alta frequenza di WPV l’area di triage. Il dato risulta essere in linea con quanto osservato da studi precedenti (Angland, et al., 2014; Crilly, et al., 2004; Morphet et al., 2014; Pich, et al., 2017; Ramacciati, 2019) condotti prima della diffusione di SARS-CoV-2, dove l’area di triage risultava essere il luogo in cui il personale sanitario è stato maggiormente esposto ad atti di violenza e aggressione.
Al contrario di quanto documentato da McGuire et al. (2021) e Muñoz Del Carpio-Toia et al. (2021), Basis et al. (2021) osservarono, durante la loro esperienza avvenuta presso un ospedale israeliano, un calo del 71,4% nei casi di violenza (6 vs 21) in Pronto Soccorso contro il personale medico nel periodo COVID-19 rispetto all’anno precedente. Secondo lo stesso studio però, il PS rimane il dipartimento con il più alto tasso di WPV rispetto ad altri reparti ospedalieri.
Le esperienze sopra descritte dimostrano come, in contesti precari come una pandemia, i servizi di PS rappresentino luoghi con elevati livelli di WPV. Una possibile soluzione per ridurre o eliminare questi episodi di violenza nell’ambiente di un Pronto Soccorso può consistere, come dimostrato da Lau et al. (2012), nell’instaurazione di un’efficace comunicazione empatica con i pazienti. L’International Committee of the Red Cross per prevenire il problema delle WPV nei confronti degli HCW impegnati a fronteggiare COVID-19 ha difatti elaborato una checklist di raccomandazioni per la buona comunicazione e la collaborazione (International Committee of the Red Cross, 2020).
L’Italia, in modo evidente, è stata vittima delle conseguenze della pandemia che ha vessato gravemente l’intero Servizio Sanitario Nazionale (SSN), causando un sovraccarico dei normali processi di erogazione delle cure. In particolar modo, i Pronto Soccorsi italiani sono risultati essere tra le aree maggiormente colpite (Di Saverio et al., 2020), probabilmente a causa di un significativo aumento del tasso di ricovero dal 17% al 35% (Bellan et al., 2021), nonostante nella prima ondata pandemica si fosse osservata una generale riduzione degli accessi in PS rispetto all’anno precedente (-46%), sia per patologie traumatiche, che non traumatiche (Bellan et al., 2021).
Ad oggi, non sono stati rilevati in letteratura studi italiani volti ad analizzare il fenomeno della WPV correlata alla pandemia da COVID-19 nei confronti degli operatori sanitari italiani
Nonostante la panoramica internazionale riportata, le esperienze italiane volte ad analizzare il fenomeno della WPV correlato alla pandemia da COVID-19 nei confronti degli operatori sanitari sono estremamente esigue; benché meno riguardanti la violenza nei confronti degli infermieri triagisti, che ricordiamo essere un’attività infermieristica ad alto rischio di violenza (Ferri et al., 2020). Medesime osservazioni, sono apprezzabili anche dalla stessa letteratura internazionale, la quale risulta povera in tale ambito. Dalle informazioni che è stato possibile reperire, il fenomeno delle WPV contro gli HCW è un fenomeno in continua crescita in tutto il mondo nel periodo esaminato, e pertanto è possibile dedurre come gli stessi episodi di violenza e aggressività nei confronti degli infermieri di triage siano di conseguenza aumentati esponenzialmente.
L’articolo mette in luce la necessità di sviluppare progetti di studio in grado di indagare l’esperienza del personale sanitario, in contesti di emergenza, durante il periodo pandemico, tenendo in particolare considerazione la sopraffazione subita durante il turno lavorativo nell’area di triage. Studi di questo genere potrebbero diventare uno strumento fondamentale sia per cogliere il “costo” emotivo che la violenza sul posto di lavoro ha per gli operatori sanitari, sia per applicare un tentativo di riduzione dei suddetti episodi.

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Walter De Luca

Emergency Nurse, Dipartimento di Emergenza Territoriale, 118, Ausl della Romagna, Ravenna. Comitato Scientifico SIIET
delucawalter92@gmail.com

Fabio Baldini

Emergency Nurse Specialist, Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Pronto Soccorso, Ausl della Romagna, Ravenna

Marcello D’Alterio

Emergency Nurse, Blocco Operatorio Multidisciplinare, Ausl della Romagna, Ravenna