L’esperienza di vita della persona in trattamento chemioterapico con catetere venoso centrale ad inserzione periferica (PICC). Indagine osservazionale-trasversale

The life experience of the patient undergoing chemotherapy with a peripherally inserted central venous catheter (PICC).
Observational-cross-sectional investigation

 

ABSTRACT

Introduzione. L’incidenza a livello mondiale delle patologie tumorali sta aumentando e un numero maggiore di assistiti riceve trattamenti chemioterapici attraverso dispositivi quali ad esempio il PICC. La maggior parte degli studi pubblicati si concentrano su fattori economici. Un numero esiguo di studi è disponibile circa le esperienze di vita e le aspettative del paziente. Obiettivo. Descrivere l’esperienza di vita degli assistiti con diagnosi di malattia oncologica in trattamento chemioterapico che vivono con il PICC. Metodi. È stata condotta un’indagine osservazionale-trasversale, tramite interviste semi-strutturate. Il pool di quesiti è stato tratto dallo studio di Oakley, Wright e Ream (2000). L’analisi dei dati è avvenuta con metodo Van Kaam. Risultati. Il campione ha incluso 12 soggetti. L’analisi delle interviste ha permesso di evidenziare cinque temi principali. Le aspettative sono state caratterizzate da ansia e paura che non si sono poi dimostrate in linea con la realtà. Le voci degli infermieri durante l’impianto hanno influenzato l’esperienza sensoriale delle persone. L’educazione è essenziale per favorire l’indipendenza del soggetto nella vita quotidiana. La maggior parte degli assistiti si è adattata positivamente alla vita con il PICC. Infine, la percezione di sé divide gli assistiti in coloro che non si sentono diversi e coloro che affermano di vedersi malati. Conclusioni. Dallo studio condotto emerge che gli aspetti critici della convivenza con il PICC siano principalmente l’impatto sulla vita quotidiana e sull’immagine corporea. Il PICC rappresenta sia un simbolo della malattia che un alleato che consente di sconfiggere un nemico più grande, quale il cancro. Parole chiave. Neoplasia, catetere venoso centrale periferico, qualità di vita, indagini e questionari.

 

ABSTRACT

Background. The global incidence of cancer continues to rise, and a significant number of patients receive their chemotherapy via devices such as the PICC. Published studies mostly focus on economic factors, while a limited number of research studies focus on patients’ life experiences and expectations.
Objective. To describe the life experiences of oncology patients receiving chemotherapy and living with PICC. Methods. Semi-structured interviews were used to conduct an observational cross-sectional survey. The pool of questions was taken from the study performed by Oakley, Wright and Ream (2000). The data were analyzed by using the Van Kaam method. Results. The sampling comprised 12 individuals. Analysis of the interviews revealed five main themes. i) The patients’ expectations were characterized by anxiety and fear, which did not reflect what they experienced. ii) The voices of the nurses during the implantation were found to have positively influenced people’s sensory experience. iii) To promote independence in daily life, education is essential. iv) The majority of clients have made a positive adjustment to living with the PICC. v) Finally, the self-perception of the patients divides them into those who do not feel any different and those who say that they see themselves as sick. Conclusions. The study shows that the critical aspects of life with a PICC are mainly the impact on daily life and body image. The PICC is at once a symbol of the disease as well as an ally that can be used in the effort to overcome a greater enemy, such as cancer. Key Words. Neoplasms, catheterization peripheral, survey and questionnaire and quality of life.

 

INTRODUZIONE

Il “The Cancer Atlas” afferma che il cancro è destinato a diventare il principale ostacolo all’aumento dell’aspettativa di vita nel secolo corrente (si stimano 29.4 milioni di nuovi casi nel 2040), poiché il numero di decessi per causa cardiovascolare è in diminuzione grazie alla prevenzione e ai trattamenti (American Cancer Society, 2018).
A livello mondiale si è stimato che nel 2018 siano stati diagnosticati 18.1 milioni di nuovi casi e si siano verificati 9.6 milioni di decessi per cancro. Rapportando tale dato in termini di proporzioni si evince che una donna su cinque e un uomo su quattro abbiano sviluppato la malattia ed una donna su undici e un uomo su otto siano morti a causa di questa (American Cancer Society, 2018).
L’Europa presenta un quarto di tutti i nuovi casi a livello globale (4.2 milioni) e un quinto dei decessi (1.9 milioni) pur avendo meno di un decimo della popolazione mondiale (American Cancer Society, 2018).
Facendo riferimento alla popolazione italiana, i nuovi casi di tumore stimati (ad eccezione dei tumori della cute diversi dal melanoma) nel 2022 sono stati 390.700. Nel documento emanato dal Ministero della Salute, “I numeri del cancro in Italia” (2022), viene riportato che la stima dei nuovi casi di tumore nella popolazione maschile e nella popolazione femminile sia rispettivamente di 205.000 (a fronte dei 199.500 casi diagnosticati nel 2020, con un aumento dell’1,4%) e di 185.700 (a fronte dei 183.200 casi diagnosticati nel 2020, con un aumento stimato dello 0,7%).
Il trattamento della patologia neoplastica si basa su obiettivi definiti dalla tipologia e dallo stadio del tumore. Il miglioramento della qualità di vita, l’alleviamento dei sintomi, il prolungamento della sopravvivenza, il contenimento della proliferazione delle cellule neoplastiche e la totale eradicazione della neoplasia sono i principali obiettivi del trattamento (Hinkle & Cheever 2017).
La terapia antitumorale può essere classificata in due gruppi: la terapia locoregionale e la terapia sistemica. La terapia locoregionale comprende:

  • Il trattamento chirurgico;
  • Il trattamento radioterapico;
  • Il trattamento mediante chemioterapia locoregionale.
  • La terapia sistemica, invece, comprende:
  • Il trattamento chemioterapico mediante somministrazione orale oppure parenterale (endovenosa, intramuscolare e intratecale);
  • Il trattamento mediante ormonoterapia;
  • La terapia a bersaglio molecolare:
  • Il trattamento mediante immunoterapia.

Il trattamento chemioterapico mediante somministrazione endovenosa rappresenta attualmente l’opzione terapeutica più diffusa per il trattamento antitumorale. Il trattamento chemioterapico endovenoso viene strutturato secondo un approccio personalizzato in base alle caratteristiche del tumore, tenendo conto dello stato dei recettori, dell’espressione dell’RNA, delle mutazioni sottostanti del DNA e delle risposte immunologiche (American Cancer Society, 2018).
La chemioterapia endovenosa permette di enfatizzare il trattamento sistemico, andando a colpire le cellule tumorali in qualunque regione dell’organismo esse si trovino (Xu et al. 2021). Tale terapia richiede il posizionamento di un catetere venoso ad accesso centrale, tra cui il PICC.
Con il termine PICC (Peripherally Inserted Central Catheters, cateteri venosi centrali ad inserzione periferica) si fa riferimento ad un dispositivo per l’accesso venoso costituito materiale biocompatibile (poliuretano), il quale, mediante il posizionamento in una vena periferica dell’arto superiore (tipicamente vene brachiali o vena basilica), permette il raggiungimento di una regione definita centrale del corpo umano, ovvero la zona di transizione tra la cava superiore e l’atrio, definita zona atrio-cavale. Quest’ultima è ritenuta la sede ottimale per garantire un’infusione sicura di soluzioni con qualsiasi pH e osmolarità. Dato l’elevato flusso ematico della vena cava superiore (circa 2 L/min nel paziente adulto), si verifica la diluizione di farmaci vescicanti e flebolesivi, andando così a ridurre la potenziale lesività dell’endotelio. In aggiunta, il posizionamento del catetere a tale livello previene che il dispositivo vada a contatto con la parete venosa, permettendo allo stesso di porsi sul livello del medesimo flusso ematico. In media i PICC presentano una lunghezza pari a 40-60 cm (la misura del catetere viene scelta in relazione alle misure antropometriche della persona) e un calibro tra i 2 e i 5 Fr (Pitturi & Scoppettuolo 2023).

Il PICC è indicato in tutti i casi vi sia la necessità di:

  • Infondere farmaci con pH < 5 o > 9 o vescicanti o flebolesivi;
  • Somministrare la nutrizione parenterale (con la possibile eccezione di brevi trattamenti con nutrizione parenterale a base lipidica o comunque con osmolarità < 800 mOsm/L);
  • Effettuare ripetuti prelievi ematici;
  • Monitoraggio emodinamico (misurazione pressione venosa centrale e la misurazione della saturazione di ossigeno nel sangue venoso misto).
  • Frequente indicazione all’accesso venoso di tipo PICC è la previsione di una lunga durata della terapia farmacologica, soprattutto in ambito extraospedaliero (Pitturi & Scoppettuolo 2023).

 

L’esperienza di vita dell’assistito oncologico portatore di PICC
Come riportano i dati del “The Cancer Atlas”, la popolazione affetta da una malattia tumorale sta aumentando. Tale incremento sta portando ad un utilizzo sempre maggiore dei cateteri venosi ad accesso centrale (CVAD) per la somministrazione della terapia chemioterapica e per la frequente necessità di effettuare prelievi venosi (Ivziku et al. 2022).
Gli studi pubblicati sull’uso degli accessi venosi centrali nell’ambito del trattamento antitumorale si concentrano principalmente sui fattori economici, quali i costi di gestione sanitaria, le infezioni e altre complicazioni. In generale è possibile affermare, dato il numero di studi presenti, che venga prestata poca attenzione alle esperienze di vita del paziente portatore di accesso venoso centrale e alle sue prospettive (Ryan et al. 2018).
Ivziku et al. (2022) hanno condotto una revisione sistematica della letteratura, consultando PubMed, Medline, Scopus, Cochrane e Web of Science, al fine di comprendere le esperienze e i sentimenti che i pazienti oncologici provano nel vivere con un catetere venoso centrale. La revisione presa in analisi è stata aggiornata in un primo momento il 27 novembre 2020 e, successivamente, il 25 maggio 2021. I ricercatori non hanno posto alcuna limitazione riguardo al tipo di dispositivo venoso preso in analisi, al tumore del paziente e al contesto di arruolamento dei pazienti. Ivziku et al. (2022) hanno presentato come fenomeno di interesse l’esperienza di vita del paziente oncologico portatore di CVAD partendo dall’analisi di 9 studi pubblicati tra il 2008 e il 2019 (3 in Regno Unito, i rimanenti in Spagna, Italia, Danimarca, Svezia, Australia e Brasile). La raccolta dei dati di tali studi è avvenuta mediante focus group o interviste semi-strutturate nei setting ambulatoriali o day-hospital. Dall’analisi degli studi presi in considerazione, Ivziku et al. (2022) affermano che il posizionamento del catetere venoso centrale presenta un assetto dicotomico: da un lato la riluttanza e dall’altro l’apprezzamento e l’accettazione.
I ricercatori affermano dunque il fatto che sia necessario analizzare e comprendere le preoccupazioni, le paure, i desideri, le difficoltà sia fisiche che psicologiche che l’assistito oncologico portatore di CVAD manifesta, andando ad analizzare l’impatto che ogni singolo dispositivo ha sulla vita delle persone stesse. Inoltre, secondo la revisione sopra citata, sono necessari studi riguardo gli interventi da effettuare per migliorare l’autogestione e l’autocura dei pazienti oncologici portatori di accesso centrale (Ivziku et al. 2022).

Scopo dello studio
Lo scopo dell’elaborato è quello di descrivere l’esperienza di vita degli assistiti con diagnosi di malattia oncologica in trattamento chemioterapico che vivono con il PICC.

 

METODI

Disegno dello studio e strategie di ricerca
Lo studio condotto è di tipo osservazionale-trasversale. Per rispondere al quesito di ricerca, sono state condotte delle interviste strutturate ad un campione di assistiti. Per individuare le migliori strategie di indagine, è stata consultata la letteratura attraverso le banche dati MEDLINE (mediante Pubmed) e Cumulative Index of Nursing and Allied Health Literature (CINHAL). Lo scopo della consultazione è stato quello di individuare gli strumenti maggiormente efficaci al fine di conoscere e indagare l’esperienza dell’assistito oncologico portatore di PICC (Tabella I).

 

 

 

Le principali parole chiave sono state, neoplasms (MeSH), catheterization peripheral (MeSH), surveys and questionnaires (MeSH), life (MeSH), PICC, experience, questionnaires, interviews, oncology patient. Sono state poi combinate tra loro utilizzando l’operatore booleano AND.
L’età del campione, al di sopra dei 18 anni, è stato l’unico limite posto alla ricerca.
Sono stati inoltre applicati dei criteri di selezione degli articoli, quali:

  • Pertinenza alla casistica (paziente oncologico portatore di PICC);
  • Risposta al quesito di ricerca.

I record ottenuti dalla ricerca condotta (n = 17) sono stati sottoposti a screening mediante lettura del titolo e dell’abstract. Di questi, 7 record sono stati selezionati ed analizzati in full text. Il più rilevante ai fini della ricerca è stato lo studio condotto da Oakley, Wright, e Ream (2000) dal titolo “The experience of patients and nurses with a nurse-led peripherally inserted central venous catheter line service”. I ricercatori mediante interviste semi-strutturate si sono posti come obiettivo quello di descrivere l’esperienza di vita delle persone con diagnosi di malattia oncologica portatori di PICC, soffermandosi anche ad analizzare il posizionamento del PICC. Il pool di domande utilizzate dai ricercatori è stato sottoposto a face and content validity e somministrato al campione (Tabella II).

 

Tabella II. Domande intervista semi-strutturata

Il campionamento è stato di convenienza e ha incluso 12 soggetti, di entrambi i sessi, con diagnosi di malattia oncologica, in trattamento chemioterapico, e portatori di catetere venoso centrale ad inserzione periferica (PICC).
Per la selezione del campione è stato chiesto al coordinatore infermieristico dell’unità operativa dell’Ambulatorio Sezione Cure Oncologiche dell’Istituto Oncologico Veneto-IOV dell’ospedale di Castelfranco Veneto di identificare gli assistiti ai quali sottoporre l’intervista, ovvero:

  • Età superiore ai 18 anni;
  • Diagnosi di malattia oncologica;
  • Assenza di diagnosi di salute mentale;
  • Portatori di PICC da almeno 3 mesi e non più di 12 mesi.
  • Da questi sono stati esclusi i pazienti che hanno rifiutato di partecipare allo studio.

 

Analisi dei dati
Le interviste sono avvenute e sono state registrate dal 15 al 31 maggio 2023, previo consenso firmato da parte del soggetto dell’autorizzazione e della liberatoria all’utilizzo dei dati registrati e successivamente riascoltate e trascritte dall’intervistatore. È stata mantenuta la divisione delle domande nelle tre categorie utilizzate dai ricercatori e cioè l’esperienza relativa al posizionamento del PICC, il supporto e l’informazione e, infine, il vivere con il PICC (Oakley, Wright & Ream 2000).
Le interviste trascritte sono state analizzate mediante il metodo Van Kaam, con l’aggregazione di concetti simili e ricorrenti, rimuovendo le espressioni vaghe e ripetibili (Doody, Slevin & Targgart 2013; Oakley, Wright & Ream 2000; Streubert & Carpenter 2005).

 

RISULTATI

Descrizione del Campione
Il campione intervistato è di n. 12 soggetti, i quali hanno soddisfatto i criteri di inclusione stabiliti all’inizio dello studio ed hanno dato il consenso affermativo all’intervista.
Le principali caratteristiche del campione sono (Tabella III):

 

Sesso: n. 8 di genere femminile (66,7%) e n. 4 di genere maschile (33,3%);
Età: i soggetti reclutati hanno per la maggior parte un’età superiore ai 60 anni (58,3%). Il range di età degli intervistati varia da un minimo di 35 a un massimo di 81 anni (mediana= 62,5);
Tempo di permanenza PICC: nei soggetti reclutati la maggior parte convive con il dispositivo da 4 mesi (mediana= 4,5).
A tutti i soggetti intervistati è stato posizionato un solo PICC.

Risultati ottenuti dalle interviste realizzate
I risultati vengono esposti mantenendo le 3 macroaree prese in considerazione dallo studio di Oakley et al. (2000), ovvero (Figura 1):

  1. L’esperienza relativa al posizionamento del PICC;
  2. L’informazione e il supporto forniti;
  3. L’esperienza di vita con il PICC (Oakley, Wright & Ream 2000).

 

Figura 1. Analisi dei risultati

 

Esperienza relativa al posizionamento della PICC line
Le domande sottoposte alle persone da parte dell’intervistatore in quest’area sono state sei.
Per quanto concerne dunque la prima domanda, riguardante il tempo di attesa del posizionamento del PICC, la metà del campione riferisce di aver aspettato una settimana. L’intervistato n° 8 afferma: “Mi hanno posizionato il PICC lo stesso giorno in cui mi hanno comunicato che sarebbe stato necessario continuare le cure, questo perché ero un caso urgente. Non ho avuto nessun tempo per poter realizzare… nonostante la mia età mi è caduto il mondo addosso”.
Nella domanda successiva relativa a come i soggetti stessi si sentissero prima del posizionamento del dispositivo, la maggior parte degli intervistati riferisce di aver provato ansia e paura come sentimenti prevalenti. Tra questi un soggetto (intervistato n°11) afferma: “L’ansia mi pervadeva, nessuno mi aveva chiesto che cosa ne pensassi né tanto meno come mi sentissi”. Il resto del campione afferma di essersi sentito tranquillo, un’altra ancora agitato oppure titubante. L’intervistato n° 10 ha dichiarato: “Ero titubante, non avevo capito ben capito cosa fosse, non mi aspettavo mi proponessero questa cosa. Inoltre, non ero entusiasta del fatto che poi sarei dovuta andare a casa con questo catetere […]”. Altri stati d’animo emersi sono stati di serenità, stanchezza e sfinimento e la sensazione di essere spiazzati dall’evento.
È stato poi chiesto ai soggetti che cosa avessero notato durante l’inserimento del PICC come per esempio, sensazioni cutanee, suoni, odori o se avessero visto o sentito qualcosa di particolare. La maggior parte del campione riferisce di aver impresso nella loro mente le voci del personale sanitario presente che ha effettuato l’impianto. Un numero minore di soggetti riferisce di aver provato una sensazione di fastidio “come di un qualcosa che preme e si fa spazio per entrare”. Nel complesso, dunque, per la maggior parte del campione intervistato il posizionamento non è stato un momento traumatico, bensì l’occasione per poter comprendere meglio che cosa fosse il PICC e per rendersi conto di che cosa effettivamente si parlasse durante le visite.
Andando a verificare successivamente se il posizionamento del PICC fosse stato come il soggetto stesso se lo immaginava, più della metà delle persone afferma di no: la maggioranza riferisce “pensavo di provare dolore”, mentre un’esigua parte pensava che il PICC venisse messo in un altro punto del braccio, mentre la parte rimanente di dover andare in sala operatoria. Al contrario una frazione minore del campione conferma che quanto ha immaginato è accaduto. A tal proposito l’intervistato n°9 dice: “Sì, me lo immaginavo proprio così, anche perché sono andata a vedere dei video su YouTube per capire meglio”. Una persona (intervistato n°1), in aggiunta, afferma: “Non ho trovato fastidioso il posizionamento in quanto ero concentrato sul fatto che dopo averlo messo non mi avrebbero più bucato e le vene non mi si sarebbero più rotte […]”.

Informazione e supporto
Come prima domanda posta, è stato chiesto al campione quali fossero le informazioni fornite prima dell’inserimento del PICC, come ad esempio: possibili complicanze, indicazioni sul tipo di attività da non svolgere, abbigliamento da preferire e strumenti da utilizzare. Molti hanno riferito di aver ricevuto indicazioni riguardo l’esecuzione della doccia, “[…] mi hanno detto che non lo posso bagnare e in rianimazione mi hanno proposto un manicotto in silicone che non c’è da nessuna parte se non su Amazon” (intervistato n°9). Vengono inoltre riferite, da più della metà del campione, indicazioni inerenti all’attività fisica da svolgere. I soggetti affermano che il personale sanitario ha consigliato loro di evitare di sollevare pesi, di fare sforzi eccessivi e di evitare di tenere per lungo tempo il braccio alzato. Nell’intervista n°7 la persona afferma: “[…] Mi hanno detto di non fare sforzi eccessivi in quanto avrei avuto un compagno per un po’ di mesi e avrei dovuto prendermene cura”. Un intervistato afferma che gli infermieri e i medici gli hanno consigliato di evitare i luoghi sporchi e pieni di polvere. Per quanto concerne l’abbigliamento, un solo soggetto (intervistato n°3) ha riferito: “[…] Mi hanno detto di non indossare abiti troppo stretti […]”.
In seguito, è stato chiesto alle persone se le informazioni fornite sono state sufficienti. Più della metà del campione afferma che le indicazioni ricevute “Sono state sufficienti per poter gestire il catetere a casa”. Tuttavia, alcuni intervistati riferiscono di non essere stati del tutto soddisfatti in quanto avrebbero voluto essere maggiormente informati sulle possibili complicanze dell’uso del PICC. Infine, solamente una persona si pone nella posizione centrale dicendo: “A livello di informazioni non penso che queste siano mai abbastanza” (intervistato n°12).
La successiva domanda aveva come obiettivo quella di comprendere come la persona si sentisse nello stare al di fuori dell’ambiente ospedaliero con il PICC. La maggioranza ha affermato di non voler essere guardato dalle persone: a tal proposito l’intervistato n° 3 dice: “Il problema me lo sto ponendo adesso che sta arrivando la bella stagione, non voglio che la gente mi guardi […]!”. In un’altra intervista emerge come essere oggetto di sguardi porti le persone a fare domande che pongono il malato in difficoltà. “[…] Non voglio che la gente mi chieda del PICC e per questo lo nascondo” (intervistato n°7). Buona parte del campione fa emergere come sentimento prevalente la paura, nella maggior parte dei casi legata al rischio infettivo o di dislocazione del catetere. L’intervistato n°2 afferma: “Mi sento fortemente a disagio, lo percepisco come un corpo estraneo e faccio ancora molta fatica ad accettarlo […]”. Solamente due persone riferiscono di sentirsi insicure; uno di loro, infatti, (intervistato n°10) dice: “[…] Mi sento insicura, è come se stessi andando via con qualcosa in più, come se stessi portando a spasso un cane che però non mi sta molto simpatico”.
Relativamente ad un possibile aiuto da parte di conoscenti siano essi familiari o amici, in caso di bisogno nella gestione del PICC, metà del campione riferisce di ricevere supporto da parte di un famigliare, in specifico marito, moglie e figli. Per più della metà di tali persone la richiesta di aiuto si verifica nel momento della doccia; e per la parte residuale invece durante la vestizione e svestizione. Con tale domanda emerge la difficoltà che i malati stessi hanno nel ricevere aiuto per un’attività quotidiana e normale come la doccia. Una persona (intervistato n°5) afferma: “Sì, mio figlio più piccolo, che vive con me, mi aiuta soprattutto quando devo togliermi i vestiti o lavarmi. Farmi aiutare da lui mi pesa molto, dovrei essere io la sua spalla, non il contrario”. L’altra metà del campione, invece, afferma di non avere/voler ricevere aiuto da nessuno per la gestione del PICC. Uno di essi dice (intervistato n°6): “Non sono molto disposto a farmi aiutare, preferisco fare da solo; anche per venire a fare le terapie, mi arrangio. La mia autonomia è fondamentale, devo sapere che posso ancora fare da solo, che ci riesco”.
Riguardo la domanda successiva, ovvero quante volte hanno dovuto telefonare per ricevere aiuto con il PICC, solamente 3 soggetti riferiscono di aver chiamato. Di questi:

  • due hanno chiamato più di una volta, in quanto a causa del sudore il cerotto della medicazione si era staccato,
  • uno ha chiamato solo una volta, perché mentre si stava facendo la doccia la medicazione si è bagnata.

Tutti hanno fatto riferimento all’Ambulatorio Sezione Cure Oncologiche IOV della sede di Castelfranco Veneto e sono stati assistiti dal personale sanitario presente. Ogni soggetto è stato soddisfatto del servizio, uno di essi (intervistato n°2) afferma: “[…] Sono tutti dei professionisti splendidi”. L’intervistato n°2 al termine di tali domande, dice: “[…] Ma mi sono sempre chiesta se mi dovesse succedere qualcosa di sera o di notte, sono costretta ad andare in pronto soccorso? Lì saprebbero aiutarmi?”.

Vivere con il PICC
Infine, è stata indagata l’esperienza di vita con il PICC, ponendo al campione come primo interrogativo da parte dell’intervistatore la seguente domanda: “L’esperienza di vivere con il PICC è come se la aspettava?”. Metà del campione riferisce che l’esperienza di vita con il PICC sia stata diversa rispetto alle aspettative. Per alcune persone è stato più invadente e traumatico, per altre meno invadente e limitante. L’intervistato n°11 riporta: “Mi sto facendo mangiare dal PICC”, un altro soggetto dice: “La mia vita è condizionata dal PICC. Qualsiasi cosa io voglia fare devo fare i conti con lui e sono io che mi devo adattare a lui e non il contrario […]” (intervistato n°12). Solo un quarto degli intervistati, invece, conferma che l’esperienza di vita coincida con le aspettative. Uno di essi (intervistato n°3), riporta: “Sì, la mia vita non è cambiata poi così tanto, ma ripeto sono una di quelle persone che affronta la vita a muso duro […]”. Solamente due soggetti affermano: “Non mi aspettavo nulla, ho deciso di vivere minuto per minuto senza pensare al dopo” (intervistato n°4). Una persona confessa (intervistato n°7): “Oddio, penso sia difficile immaginarsi una vita con il PICC anche perché è stato tutto troppo veloce e non ho avuto il tempo di pensarci”.
In seguito, si è indagata la sfera lavorativa, chiedendo agli intervistati “come il PICC ha influito sulla vita lavorativa”. La maggioranza afferma che il dispositivo continua ad interferire con la loro vita lavorativa: vi rientrano all’interno di questa percentuale persone che svolgono lavori pressoché manuali, che richiedono nella maggior parte dei casi un impegno fisico notevole. L’intervistato n°1 riporta: “Il PICC non mi permette di andare sotto il sole o di fare lavori dove devo sudare particolarmente tanto. […]”. Un’altra persona (intervistato n°7) dice: “Il PICC ha influito sulla mia vita lavorativa, quando sono in cantiere non posso sollevare pesi. A volte è il PICC a ricordarmi di essere malato perché mi impedisce di fare quello che prima era abitudine. […]”. Per la parte residuale del campione il PICC non ha interferito nella loro attività lavorativa in parte perché svolgono lavori sedentari, in altri casi invece è la terapia chemioterapica stessa che richiede loro di sospendere l’attività lavorativa. L’intervistato n°6 confessa: “[…] Comunque la terapia mi stanca molto non solo a livello fisico ma anche mentale; dunque, faccio fatica a concentrarmi per tutta la giornata”. In un’intervista precedente il soggetto (intervistato n°3) riferisce: “Sinceramente non noto differenze. Ormai sono in pensione da molti anni e dunque il mio lavoro è diventato prendersi cura della casa e delle amicizie. […]”.
La terza domanda posta al campione ha riguardato l’influenza del PICC sul sonno. Anche in questo caso è possibile suddividere i soggetti intervistati in 3 gruppi:

  • Il primo concorda nel dire che il PICC non abbia inficiato la qualità del sonno. L’intervistato n°3 dice: “Non mi dà nessun fastidio quando dormo”;
  • Il secondo, composto dalla metà del campione, afferma invece che il PICC abbia influenzato la loro qualità del sonno. Le motivazioni riguardano principalmente, la paura di dormire sul fianco dove è stato posizionato il dispositivo piuttosto che la medicazione. L’intervistato n°5 riporta: “Quando dormo ho l’ansia di schiacciarlo e di rovinarlo quindi dormo sul lato opposto anche se non sono molto comoda […]”. Un’altra persona dice: “[…] Quando il PICC è medicato e chiuso per bene è un po’ tanto ingombrante; dunque, quando mi giro di notte lo sento e non riesco proprio a dormire sul fianco dove è posizionato”;
  • Nella terza ed ultima suddivisione, vi è un solo soggetto, che afferma: “Di notte a volte mi dà fastidio e altre volte no, dipende da come mi viene medicato il PICC” (intervistato n°8).

La successiva sfera della vita che è stata indagata ha riguardato l’abbigliamento. La metà del campione ha affermato di aver smesso di indossare abiti stretti. Le motivazioni che sottostanno a tale scelta riguardano, in parte l’aderenza alle indicazioni date dal personale sanitario, in parte per il desiderio del paziente di non rendere visibile il dispositivo agli occhi degli altri ed infine il fatto che vestiti più larghi rendono meno difficoltoso il momento della vestizione/svestizione. L’intervistato n°10 riporta: “Prima indossavo cose un po’ più aderenti, nonostante io non sia magra, ma da quando ho il PICC indosso sempre cose larghe così lo nascondo e perché evito l’effetto laccio. Poi i vestiti larghi fanno in modo che ci sia meno rischio di tirarlo quando mi svesto”. Alcuni degli intervistati dice di aver cominciato ad indossare magliette a tre quarti al posto delle magliette a maniche corte. La paura di essere guardati è ciò che spinge queste persone ad aver compiuto tale decisione. Nell’intervista n°8 il soggetto riporta: “[…] per colpa del PICC non posso più indossare delle magliette a maniche corte, indosso solo cose a tre quarti”. Quasi la metà dei soggetti intervistati riferisce di aver dovuto cominciare a prestare particolare attenzione nell’indossare e nel togliere i vestiti, in quanto “le maglie si incastrano sul bordo perché il PICC è voluminoso” (intervistato n°2).
Un ulteriore quesito posto al campione è stato quello relativo ai cambiamenti apportati sull’igiene personale (come la doccia) in seguito alla presenza del PICC. La maggior parte ha riferito di utilizzare il manicotto nel momento della doccia. Una parte di loro si sente tranquilla nell’utilizzo di tale strumento, l’altra parte invece ha esposto la costante paura di bagnare il PICC. Un’altra problematica che emerge per alcune di queste persone riguarda la difficoltà nel posizionamento di tale strumento. A tal proposito l’intervistato n°3 dice: “Un grosso disagio è lavarmi perché ho paura di bagnarlo. Ho comprato il manicotto ma faccio fatica a mettermelo da sola”. Altri invece affermano che è un’ottima invenzione soprattutto grazie alla praticità nel posizionarlo. Durante la dodicesima intervista, la persona riferisce: “[…] Utilizzo per lavarmi la pellicola trasparente, ma mettermela da sola è difficile. […]”. Due soggetti oltre ad utilizzare rispettivamente il manicotto e la pellicola trasparente, riferiscono di non sentirsi sicuri di bagnare completamente il braccio ponendolo sotto il getto dell’acqua, ma preferiscono lavarlo con una spugna. L’intervistato n°1 ha affermato: “[…] Comunque ho paura di lavarmi tutto il braccio, di metterlo sotto l’acqua. Preferisco lavarmelo con una spugna […]”. Un assistito riporta: “Fino a quando non lo rimuovo non mi fido a lavarmi, infatti continuo a lavarmi a pezzi. Lo so che può sembrare una cosa strana, ma non mi sento sicura ad entrare in doccia”. Tutti i soggetti intervistati concordano sul fatto di percepire il momento del bagno come un “tasto dolente” e “un grosso problema”.
Il penultimo quesito posto dall’intervistatore è stato: “Come ha influito il PICC su come lei percepisce sé stesso e su come gli altri La vedono?”. Quasi la metà del campione afferma di non sentirsi diverso rispetto a prima del PICC e di non preoccuparsi del parere altrui. L’intervistato n°3 afferma: “Non mi sento diversa e di quello che pensano gli altri non me ne importa nulla […]”. Sullo stesso filone di pensiero vi è l’intervistato n°8 che riporta: “Non mi vedo diversa, non mi piace che gli altri mi guardino ma quando il PICC è chiuso nella medicazione non si vede […]”. Un quarto degli intervistati, invece, ha fatto emergere come la presenza del PICC li faccia sentire diversi: il “vedersi malati” è una sensazione riportata da buona parte delle persone, tra cui l’intervistata n°11 che confessa: “[…] Posso dire che il PICC è l’impatto più forte con la malattia, io non ho avuto e non ho sintomi e vedere il PICC allo specchio o guardarlo mi ricorda il fatto di dipendere da questa malattia e di non avere potere su di lei […]”. Sempre riguardo tale tematica, 2 persone riferiscono di non riuscire a guardarsi allo specchio. L’intervistato n°6 afferma di sentirsi a disagio: “[…] anche con la retina non mi fido ad uscire perché mi sento osservato e la cosa mi crea disagio […]”. Due persone riportano la percezione dei famigliari facendo emergere la paura che quest’ultimi hanno nell’abbracciarli. Un intervistato, infatti, afferma: “[…] Mia moglie dopo averlo posizionato aveva paura ad abbracciarmi perché aveva il timore di farmi male e di rovinare il catetere” (intervista n°1).
Infine, è stato chiesto al campione se avessero piacere di aggiungere qualcosa d’altro rispetto a quanto chiesto e detto in precedenza. La metà degli intervistati ha riferito essere impegnativo recarsi settimanalmente presso il Day Hospital Oncologico IOV di Castelfranco Veneto, per eseguire la medicazione e il lavaggio del PICC. Questo perché molte volte sono costretti ad interrompere le attività e in aggiunta molti sono obbligati a chiedere un passaggio da parte di un famigliare o conoscente per recarsi in ospedale. L’intervistato n°8 afferma: “Mi dà molto fastidio il fatto di essere legata ogni settimana al discorso della medicazione perché se dovessi fare un progetto non potrebbe andare oltre ad un certo numero di giorni”. L’intervistato n°5 afferma: “Non vedo l’ora di venire in reparto a farmi fare la medicazione perché ho il terrore che il PICC abbia qualcosa che non va […]”.
La medesima percentuale di intervistati aggiunge di aver bisogno di parlare del rapporto che essi stessi hanno con il PICC, confessando però che è difficile farlo con i famigliari o con gli amici stretti. Esprimono infatti la necessità di parlare di tale tematica al fine di giungere ad una accettazione maggiore del device. Significative in questo senso le parole dell’intervistato n°7, che afferma: “[…] Parlarne richiede fatica, però mi aiuta a prenderne consapevolezza […]”.
Parte dei soggetti riferisce di aver paura del contatto fisico (abbraccio) con altre persone e che in seguito al posizionamento del PICC il rapporto con i relativi partner sia cambiato. Uno degli intervistati, a tal proposito, dice: “[…] Faccio fatica a volte ad avvicinarmi a mia moglie, ho paura che a lei faccia senso o che si faccia remore nel toccarmi e a volte sono io stesso ad avere paura”. Nella maggior parte dei casi tale paura è causata dal timore che i soggetti stessi hanno riguardo una possibile complicanza del PICC, prima fra tutte l’infezione. Viene ribadita la difficoltà nel fare la doccia, affermando che: “Non potermi lavare del tutto lo vedo molto come una limitazione […]”. Solamente una persona riporta come dato negativo il fatto che tutti i prodotti da utilizzare per la protezione del PICC, come il manicotto per la doccia e le fasce elastiche da indossare al posto della retina, siano acquistabili solamente su Amazon. In conclusione, però la maggior parte dei soggetti riferisce che nel complesso il PICC sia una cosa molto utile, pratica e che non essere più ripetutamente punti per i prelievi e per reperire accessi venosi sia maggiore di qualsiasi lato negativo del PICC. La maggior parte degli intervistati che rientrano all’interno di quest’ultima percentuale definisce il PICC “una bella invenzione”.

 

DISCUSSIONE

Lo scopo del presente elaborato è stato quello di descrivere ed analizzare l’esperienza di vita degli assistiti con diagnosi di malattia oncologica in trattamento chemioterapico che vivono con il PICC. I risultati ottenuti sono stati poi confrontati con la letteratura disponibile e con lo studio da cui è stato ricavato lo strumento di indagine utilizzato (Oakley, Wright & Ream 2000).
In questo elaborato è stato discusso di come, per il trattamento chemioterapico della patologia tumorale, il PICC sia uno strumento valido e consolidato (Sundriyal et al. 2014). In particolare, confrontando i risultati ottenuti con il quesito di ricerca formulato emergono alcuni punti rilevanti di discussione.
In primo luogo, ponendo l’attenzione sul timing di posizionamento del PICC dall’analisi delle interviste svolte è emerso come questo non sia il medesimo per l’intero campione. Dall’indagine di letteratura condotta, è possibile evincere che non sia presente alcuna evidenza scientifica riguardo il momento più adeguato rispetto all’impianto del PICC. Tuttavia, nello studio qualitativo condotto, Paràs-Bravo et al. (2017) affermano che l’impianto del PICC è secondario alla diagnosi di tumore e alla tipologia del trattamento medico prescritto. Gli autori riportano inoltre che in alcune situazioni, a causa della necessità di avere un inizio immediato del trattamento chemioterapico, alla persona viene posizionato il PICC senza avere il tempo necessario per poter comprendere ed elaborare quanto gli è stato detto (Paràs-Bravo et al. 2017). Inoltre, la letteratura reperita puntualizza che la decisione affrettata di effettuare l’impianto del PICC, associata all’assenza di conoscenze adeguate riguardo la tipologia di device e di impianto fanno scaturire nella persona paura ed apprensione, rendendo il posizionamento un momento caratterizzato da dolore e angoscia (Schiffer et al. 2013; Ivziku et al. 2022). Le ultime linee guida dell’AIOM rispetto alla “Gestione infermieristica degli accessi vascolari centrali a medio e lungo termine nel paziente oncologico”, dichiarano l’importanza di porre attenzione all’interno del percorso clinico assistenziale alla scelta dell’accesso venoso e che il gruppo di sanitari, costituito da infermieri e medici, debba mantenere un atteggiamento proattivo coinvolgendo la persona nella scelta del dispositivo al fine di renderla parte attiva del processo decisionale (AIOM, 2019).
Dalle interviste condotte l’impianto del PICC viene spesso percepito dai soggetti come una scelta imposta in parte dalla malattia in sé e in parte dai professionisti. Tale momento viene identificato dalle persone stesse come l’istante in cui sono obbligati a riconoscersi “malati” (Ivziku et al. 2022). L’impianto del dispositivo, dunque, riveste un ruolo fondamentale nel processo di realizzazione ed accettazione della condizione di “non salute” che la persona si trova a vivere (Nicholson & Davies 2013). In uno studio condotto nel 2013 in Inghilterra, i ricercatori hanno sottolineato che ad avere un peso notevole nella procedura di impianto del PICC è la relazione che si viene ad instaurare tra infermieri e paziente (Nicholson & Davies 2013). Le capacità di spiegazione, comprensione ed empatia che l’infermiere mette in atto permettono la nascita di un rapporto di fiducia, con conseguente riduzione dell’ansia e della diffidenza che nella maggior parte casi i soggetti riferiscono di provare (Nicholson & Davies 2013; Edstrom et al. 2016; Alpenberg et al. 2015). Inoltre, si afferma che durante l’impianto la relazione tra infermiere e persona è maggiormente agevolata nel momento in cui il sanitario mette in atto delle tecniche di rilassamento non farmacologiche quali ad esempio il massaggio e la musica (Nicholson & Davies 2013). A conferma di ciò, la maggior parte del campione intervistato riferisce di avere ancora impresso le voci del personale sanitario che ha effettuato l’impianto. Durante il colloquio, infatti, l’intervistato n°5 afferma: “[…] L’infermiere è stato bravo, mi ha tranquillizzato e mi ha messo a mio agio, mi ha spiegato tutto passo passo. Non che abbia capito molto, però sentire qualcuno che mi parlava mi ha aiutato a non pensare alla paura.
Comprendere il significato che ogni persona dà al concetto di salute è il requisito fondamentale per erogare servizi sanitari efficaci che sappiano rispondere ai bisogni di ogni singolo individuo (Sharp et al. 2014). Le informazioni che il personale sanitario fornisce sono influenzate da molteplici fattori riguardanti la persona, quali ad esempio: l’età, il livello di istruzione, il contesto socio-familiare e il grado di ansia e agitazione (Wang et al. 2021). Alla domanda: “Quali informazioni le sono state date prima dell’inserimento del PICC? (possibili complicanze, indicazioni sul tipo di attività da non svolgere, abbigliamento da preferire, strumenti da utilizzare)”, i soggetti intervistati non hanno riferito le medesime informazioni, come ad esempio la doccia, l’abbigliamento e l’attività fisica, deducendo così una non piena comprensione dell’educazione ricevuta. È necessario, dunque, che l’infermiere ricerchi strategie efficaci per permettere un’informazione adeguata da fornire alla persona riguardo la vita con il PICC. A tal proposito è significativa la revisione sistematica e meta-sintesi condotta da Ivziku et al., nel 2022. Nell’articolo gli autori hanno individuato i principali problemi di informazione riguardo l’impianto e la successiva gestione del catetere a domicilio, affermando che il modo in cui i pazienti percepiscono le informazioni dipende:

  • Dal modo in cui queste vengono fornite;
  • Dal linguaggio utilizzato dagli operatori;
  • Dal tempo dedicato a tale momento;
  • Dal tipo di informazioni (Ivziku et al. 2022).

Gli autori al termine della revisione, concludono affermando che sulla base delle direttive fornite dall’Institute of Medicine, è necessario che gli operatori sanitari adattino il tipo e la tempistica delle informazioni alle esigenze specifiche del soggetto, considerando il grado di comprensione (Ivziku et al. 2022). Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, uno studio condotto in Cina nel 2018, ha evidenziato come l’utilizzo combinato di spiegazioni verbali mediante disegni e brochure con la proiezione di video, abbia permesso di raggiungere un alto livello di soddisfazione riguardo le informazioni fornite (Li et al. 2020). I risultati dello studio mostrano come la video-educazione abbia ridotto il tempo di lavoro degli infermieri e come abbia migliorato il grado di soddisfazione dei soggetti sottoposti all’impianto. La video-educazione, infatti, ha il vantaggio di fornire informazioni complete, standardizzate e di facile assimilazione grazie l’utilizzo di immagini, voci e suoni in grado di attirare l’attenzione della persona. Questo metodo è stato definito dagli autori come uno strumento a supporto dell’informazione verbale e non a sostituzione della stessa, in quanto alla base vi è la relazione di fiducia tra infermiere-assistito (Li et al. 2020). Un altro fattore citato precedentemente che condiziona la comprensione delle informazioni che gli infermieri e i medici forniscono è il tempo, sia esso inteso in termini quantitativi, che qualitativi, ovvero di scelta del momento più opportuno. La letteratura presente è concorde nell’affermare che le informazioni debbano essere fornite prima dell’inserimento del PICC (Ivziku et al. 2022; Sharp et al. 2014; Moller & Adamsen 2010). Non è indicato, però, quanto tempo prima deve avvenire il momento informativo rispetto all’impianto, se questo deve essere svolto da parte di un team di infermieri esperti e qualificati sugli accessi vascolari, se il setting più appropriato sia il domicilio dell’assistito o un ambulatorio e se sia necessario un programma con più incontri per poter verificare il grado di comprensione della persona stessa e della famiglia.
Secondo quando riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): “[…] l’educazione terapeutica consiste nell’aiutare il paziente e la sua famiglia a comprendere la malattia e il trattamento, a collaborare alle cure, a farsi carico del proprio stato di salute ed a conservare e migliorare la propria qualità di vita.” Questo richiede, “[…] un vero e proprio trasferimento pianificato ed organizzato di competenze terapeutiche dai curanti ai pazienti, grazie al quale la dipendenza lascia progressivamente il posto alla responsabilizzazione ed alla collaborazione attiva.” (Marcolongo & Rigoli 1999). Dalle interviste condotte, la metà del campione ha riportato la difficoltà di recarsi settimanalmente al Day Hospital oncologico per eseguire la medicazione e il lavaggio del PICC. Dunque, in relazione con quanto affermato in precedenza risulta necessario prendere in considerazione le alternative possibili per ridurre tale disagio. La letteratura concorda nell’affermare che l’assistenza domiciliare per i pazienti oncologici sia una scelta valida, in quanto permette di:

  • Erogare un’assistenza personalizzata;
  • Ridurre il rischio di infezioni nosocomiali;
  • Migliorare l’aderenza al trattamento;
  • Ridurre lo sforzo fisico e la perdita di tempo per recarsi in ospedale;
  • Implementare il sostegno e il supporto della famiglia e della rete sociale (Della Fiore et al. 2022).

A titolo esemplificativo, a Roma nel 2014, il Vascular Access Team (VAT), composto da infermieri e medici specializzati, ha dato avvio ad un progetto intitolato “Home PICC Home”, che aveva come obiettivo, dopo apposita formazione del caregiver da parte del personale sanitario, l’esecuzione della medicazione e del lavaggio del PICC a domicilio ad opera del caregiver stesso. Al termine dello studio, i professionisti hanno potuto affermare che non si sono verificate complicanze ritenute gravi nell’assistito gestito a domicilio rispetto all’assistito trattato in ambulatorio (Basili, Carnaghi & Elisei 2021). Sempre a Roma nel 2019 l’Istituto Nazionale Regina Elena ha condotto uno studio su 170 assistiti oncologici portatori di PICC al fine di valutare la sicurezza e l’efficacia dell’esecuzione da parte di un caregiver, volontario o soggetto scelto dall’assistito e adeguatamente formato mediante corsi di formazione e schede tecniche dai professionisti sanitari, alla medicazione del dispositivo a domicilio. Lo studio ha confrontato due gruppi di assistiti: uno di controllo che ha eseguito la medicazione in ambulatorio, ed uno di intervento in cui il caregiver ha eseguito la medicazione. Al termine, il progetto ha dimostrato che tra i due gruppi non si sono verificate differenze significative circa l’insorgenza di complicanze e che in aggiunta, si sia verificato un incremento della qualità di vita dell’assistito oncologico (Oncologia: l’Istituto Regina Elena affida ai caregiver la gestione del PICC, 2019).
Una modalità attraverso cui è possibile giungere all’educazione del caregiver e dell’assistito stesso alla cura del PICC è stata verificata in uno studio condotto da Petroulias (2017): lo scopo dello studio è stato quello di esaminare l’efficacia dell’uso dei dispositivi elettronici (tablet, computer e smartphone) per fornire al caregiver e al paziente un’educazione ottimale al lavaggio del PICC. L’intervento educativo per tale progetto consisteva in un momento formativo tra infermiere, caregiver ed assistito a casa del paziente, seguito da coaching online tramite l’utilizzo dei vari strumenti elettronici. Al termine dello studio, nei PICC delle 10 persone che avevano accettato di aderire al progetto non sì è verificata nessuna occlusione del device (Petroulias, 2017).
Questi risultati permettono alla persona assistita di evitare di recarsi presso i centri ospedalieri per la medicazione o il lavaggio del PICC, consentendogli dunque di non interrompere le proprie attività, di risparmiare tempo e di non cercare famigliari e amici per farsi accompagnare. Vi è inoltre da prendere in considerazione che l’aumento di persone che necessitano di cure assistenziali a domicilio non è spesso supportato da un altrettanto aumento di professionisti sanitari disponibili e, per tale ragione, risulta utile pensare ad un progetto educativo riguardante gli assistiti ed in particolar modo i caregiver per aumentare la partnership con i sistemi sanitari e al contempo mantenere la qualità di vita (QOL) di entrambi.
L’assistito oncologico portatore di PICC può andare inoltre incontro a problemi psicosociali, tra cui la stigmatizzazione, l’alterazione della percezione corporea, l’evitare il contatto fisico e l’attività sessuale (Paràs-Bravo et al. 2018; Moller & Adamsen 2010). Sia dalle interviste condotte da Ivziku et al., (2022), da Moller e Adamsen (2010), che dal presente studio, emerge che una parte dei soggetti intervistati descrivono il PICC come “un segno visibile della malattia”, “un promemoria della condizione di non salute” e “un’anomalia corporea”. La presenza del PICC può portare ad una mancata accettazione del proprio corpo da parte della persona con l’incapacità della stessa di guardarsi perfino allo specchio; anche la sfera sessuale viene alterata dalla presenza del PICC, al punto tale da rendere difficile anche il contatto con il partner. Gli studi presi in considerazione evidenziano l’importanza di trattare tale tematica in quanto parte fondamentale della qualità di vita di ognuno.
Significativo in tale senso è lo studio condotto da Xu et al. (2021) che ha verificato l’efficacia del nursing narrativo per l’assistenza al paziente oncologico portatore di PICC in trattamento chemioterapico. Rita Charon e Rachel Naomi Remen negli anni ’90 introdussero il concetto di medicina narrativa con la finalità di sensibilizzare il personale sanitario a adottare un’assistenza non meramente incentrata sulla storia della persona dal punto di vista clinico-assistenziale, ma anche umano. Si tratta dunque di un modello basato sull’empatia che permette al professionista sanitario di approfondire il vissuto di salute e di malattia della persona, comprendendone le più piccole sfumature. Considerare l’uomo in maniera olistica permette il transito da un’idea di assistenza infermieristica basata sul concetto di malattia a quella di “esperienza vissuta di malattia”. Sulla scia di questo impulso si sviluppa il nursing narrativo che utilizza come strumenti principali: il counseling, la story telling, il tempo di cura e la parallel chart – “cartella parallela” (Chiarelli, Traini & Marcelli 2019).
Xu et al., (2021) hanno evidenziato al termine dello studio, che il nursing narrativo, mediante gli strumenti del counseling e dello storytelling, ha avuto esiti positivi sugli assistiti, migliorando il loro stato psicologico e le relazioni sociali. In conclusione, dunque hanno potuto affermare che tale strumento infermieristico può migliorare la qualità di vita dell’assistito oncologico portatore di PICC in trattamento chemioterapico (Xu et al. 2021).
Questa riflessione trova supporto nel diciassettesimo articolo del Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche (FNOPI, 2019) che afferma: “Nel percorso di cura l’infermiere valorizza e accoglie il contributo della persona, il suo punto di vista e le sue emozioni e facilita l’espressione della sofferenza. L’infermiere informa, coinvolge, educa e supporta l’interessato e con il suo libero consenso, le persone di riferimento, per favorire l’adesione al percorso di cura e per valutare e attivare le risorse disponibili.” I professionisti sanitari non devono sminuire e dimenticare gli aspetti estetici e le ripercussioni che l’impianto di un device come il PICC possono avere sulla persona, in quanto essi sono parte fondamentale del meccanismo di percezione che ognuno ha di sé nel mondo, nonché parte fondamentale dello stato di benessere.
Come riportato nei paragrafi precedenti, il questionario utilizzato per la stesura del presente elaborato è stato tratto dallo studio condotto da Oakley, Wright e Ream nel 2000. Dopo aver analizzato e discusso i risultati ottenuti è interessante identificare le principali differenze ed uguaglianze tra i due studi, tenendo in considerazione che le interviste sono state condotte in due stati differenti con sistemi sanitari diversi in cui la formazione e le attività degli infermieri non sono le medesime. Quattro dei cinque temi che Oakley et al. (2000) evidenziano sono i medesimi rispetto al presente elaborato e riguardano: le aspettative, l’esperienza sensoriale, l’educazione e l’adattamento. Lo studio anglosassone pone come quinto tema la fiducia, mentre dall’indagine condotta il tema identificato è la percezione di sé.
Prendendo in esame il primo tema, ovvero le aspettative, dalle interviste condotte da Oakley et al. (2000) più della metà del campione non sapeva cosa aspettarsi, alcuni di essi riferiscono inoltre che le loro aspettative sono state influenzate dai racconti di altre persone, per una piccola parte del totale le aspettative sono state diverse dai fatti reali, in quanto si aspettavano una procedura dolorosa. Tali dati sono differenti rispetto quanto emerge dagli assistiti del day hospital oncologico IOV, in cui la maggior parte del campione si immaginava una procedura dolorosa e in cui solamente una persona ha riferito di essersi fatta influenzare dall’esperienza di un altro.
Rispetto alla componente sensoriale, 3 assistiti inglesi hanno menzionato di aver provato un accenno di movimento e una leggera pressione, mentre 4 hanno riferito di aver sentito la puntura dell’anestetico, 8 persone inoltre dichiarano di aver trovato la procedura poco fastidiosa ed indolore. Anche per questo tema i malati dello studio italiano presentano delle diversità rispetto gli intervistati da Oakley et al., in quanto la maggior parte riferisce di ricordare le voci dei sanitari.
Il terzo tema riguarda l’educazione che gli assistiti hanno ricevuto da parte degli infermieri e il loro grado di soddisfazione. L’intero campione italiano riferisce di aver ricevuto indicazioni sia dall’equipe medica che da quella infermieristica. La prima si è incentrata nella spiegazione del PICC in termini di singolo dispositivo e di utilità per la prosecuzione della cura, mentre la seconda si è concentrata maggiormente sulla vita con il dispositivo. Dallo studio condotto da Oakley et al., invece gli assistiti sono stati educati solamente dal personale infermieristico sia prima che dopo il posizionamento. Per entrambi gli studi è possibile affermare che la maggior parte della popolazione intervistata riferisce di aver avuto una riduzione dell’ansia e della paura grazie alle informazioni ricevute e che queste si sono rivelate sufficienti per poter condurre una vita normale. Sia l’indagine italiana che quella anglosassone hanno evidenziato che, sebbene i rispettivi assistiti avessero avuto le medesime informazioni scritte e verbali, questi hanno fatto riferimento ad aspetti differenti. Ciò fa porre l’attenzione sulla singolarità delle esigenze educative e degli stili di apprendimento; infatti, Oakley et al., affermano: “[…] le informazioni dovrebbero essere fornite al ritmo dei pazienti”. L’ultima tematica comune riguarda l’adattamento: in linea generale è possibile affermare che tutti i malati oncologici portatori di PICC si siano adattati in maniera ottimale alla convivenza con il device. Gli assistiti inglesi si sono adattati bene alla vita con il PICC grazie al supporto costante delle famiglie, del team oncologico ospedaliero e dell’infermiere di comunità. Gli assistiti italiani invece evidenziano alcune difficoltà nell’adattare la propria vita al PICC, come l’impossibilità di:

  • Eseguire la doccia in modo completo e senza la paura che il dispositivo si bagni;
  • Indossare abiti attillati e smanicati;
  • Eseguire la propria attività lavorativa perché intensa dal punto di vista fisico;
  • Fare programmi a lungo termine, come organizzare viaggi, in quanto condizionati dalla medicazione e dal lavaggio settimanale presso l’ambulatorio.

L’identificazione del PICC come un segno evidente della malattia viene riportato solo da alcune delle persone intervistate nel presente studio, che in relazione a ciò riferiscono di sentirsi diversi e a disagio con sé stessi e con gli altri. L’alterazione dell’immagine corporea associata alla presenza del PICC non risulta essere un problema per il campione britannico.
In conclusione, dunque è possibile affermare che da entrambi gli studi emerge come l’esperienza di vita dell’assistito oncologico portatore di PICC sia nel complesso positiva, ma di come al contempo sia necessario istituire un progetto educativo incentrato sul singolo mediante l’utilizzo di tecniche classiche e innovative, come la video-educazione. È importante inoltre promuovere ed incentivare l’assistenza domiciliare al fine di garantire il continuum della presa in carico della persona. Le difficoltà nell’accettare la propria immagine corporea, il bisogno di nascondere il PICC, il timore di guardarsi allo specchio e di farsi guardare e la paura del contatto fisico manifestate solamente dagli assistiti italiani, fa comprendere come la componente estetica sia fortemente cambiata dopo 23 anni, arrivando a condizionare il benessere mentale, le relazioni e la salute fisica.

Limiti dello studio
I principali limiti dello studio riguardano il campione intervistato, lo strumento di indagine e le caratteristiche degli oggetti da indagare. Lo studio condotto permette di comprendere l’esperienza di un numero limitato (n°12) di assistiti oncologici in trattamento chemioterapico portatori di PICC; pertanto, non risulta essere generalizzabile ad una popolazione più ampia. Sarebbe auspicabile la replicazione del medesimo studio con un campione di maggiori dimensioni, coinvolgendo Unità Operative di diverse Aziende sanitarie, per permettere un’analisi più consistente degli elementi che compongono il fenomeno di interesse.
Un ulteriore limite dello studio è rappresentato dalla mancata validazione dello strumento utilizzato in lingua italiana.
Sarebbe stato utile indagare, inoltre, in maniera più approfondita e analitica i bisogni educativi degli assistiti e dei caregiver, per identificare in modo ottimale il grado di alfabetizzazione sanitaria, considerando maggiormente le variabili influenzanti come ad esempio il grado di istruzione. Ricerche future, infatti, potrebbero indagare l’esperienza di vita dei caregiver degli assistiti oncologici in trattamento chemioterapico portatori di PICC, ricercando ad esempio le loro aspettative e quali siano per loro le attività della vita quotidiana sulle quali temono di avere maggiori limitazioni.
Poiché lo studio si è svolto in un arco temporale limitato (dal 15 al 31 maggio), ulteriori indagini dovrebbero svilupparsi in un periodo di tempo più ampio, prendendo in analisi i mesi estivi, invernali ed autunnali. Le variazioni stagionali possono avere un notevole impatto sull’immagine corporea percepita dagli assistiti e sulle attività da svolgere, come ad esempio la difficoltà di prenotare le vacanze per la necessità di eseguire la medicazione e il lavaggio settimanale (Oakley, Wright & Ream 2000).
Studi a venire potrebbero valutare l’efficacia di un percorso educativo gestito da infermieri specializzati sugli accessi vascolari, mediante l’utilizzo del coaching online, per permettere la gestione del PICC a domicilio da parte dell’assistito e del caregiver.

 

CONCLUSIONI

Dallo studio emerge che gli aspetti critici della vita con un PICC sono principalmente l’impatto sulla vita quotidiana e sull’immagine corporea: in particolar modo, quest’ultima sembra influenzata anche da una componente sociale e culturale che potrebbe essere ulteriormente indagata in futuri studi. Il PICC è stato percepito dagli assistiti allo stesso tempo un simbolo della malattia e un alleato che può essere utilizzato nello sforzo di sconfiggere un nemico più grande, come il cancro. Lo studio condotto ha permesso di evidenziare il punto di vista degli assistiti in terapia oncologica che convivono con questo device. Nonostante i limiti presentati dallo studio, i risultati ottenuti possono contribuire allo sviluppo del concetto di personalizzazione dell’assistenza nel percorso di cura della persona affetta da malattia oncologica.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Alpenberg, S., Joelsson, G., & Rosengren, K. (2015) Feeling Confident in Using PICC Lines: Patients’ Experiences of Living With a PICC Line During Chemotherapy Treatment. Home Health Care Management & Practice, 27(3), 119–125.
  • AIOM (2019) Working Group Nursing, Gestione infermieristica degli accessi vascolari centrali a medio e lungo termine nel paziente oncologico (05/06/2019, N.revisione 01). Disponibile online: https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2019/10/2019_AiomWGN_LineeIndirizzoGestioneAvc.pdf [Data di accesso: 10/08/2023].
  • American Cancer Society (2018) The Cancer Atlas (Third Edition), Atlanta: American Cancer Society. Disponibile online: https://canceratlas.cancer.org/wp-content/uploads/2019/10/ACS_CA3_Book.pdf [Data di accesso 10/08/2023].
  • Basili, P., Carnaghi, C. & Elisei, D. (2021). L’importanza dell’accesso vascolare nel percorso di cura del paziente oncologico. In: 13° Rapporto FAVO sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, 13 maggio 2021, Roma. Disponibile online da: https://osservatorio.favo.it/tredicesimo-rapporto/ [Data di accesso: 10/08/2023].
  • Chiarelli F., Traini T., & Marcelli S. (2019) Narrative Based Nursing: Elementi essenziali per un percorso di cura basato sulla relazione. Tesi di laurea. Università politecnica delle Marche. Disponibile online: https://tesi.univpm.it/retrieve/b7fa228f-276b-4b23-818f-8a5966bdcc22/TESI%20DEFINITIVA%20PDFA%20.pdf [Data di accesso 19/08/2023].
  • Dellafiore, F., Caruso, R., Cossu, M., Russo, S., Baroni, I., Barello, S., Vangone, I., Acampora, M., Conte, G., Magon, A., Stievano, A., & Arrigoni, C. (2022) The State of the Evidence about the Family and Community Nurse: A Systematic Review. International journal of environmental research and public health, 19(7), 4382.
  • Doody, O., Slevin, E., & Taggart, L. (2013) Focus group interviews part 3: analysis. British journal of nursing (Mark Allen Publishing), 22(5), 266–269.
  • FNOPI (2019) Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche. Italia: FNOPI.
  • Hinkle, J. H., & Cheever, K. H. (2017) Infermieristica medico-chirurgica. Milano: Casa Editrice Ambrosiana.
  • Il Sole 24 Ore (2019) Oncologia: l’Istituto Regina Elena affida ai caregiver la gestione del PICC. Sanità24, 12 novembre [Online]. Disponibile a: https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/medicina-e-ricerca/2019-11-12/oncologia-istituto-regina-elena-affida-caregiver-gestione-picc-160507.php?uuid=ACkHxRy [Data di accesso 19/08/2023].
  • Ivziku, D., Gualandi, R., Pesce, F., De Benedictis, A., & Tartaglini, D. (2022) Adult oncology patients’ experiences of living with a central venous catheter: a systematic review and meta-synthesis. Supportive care in cancer: official journal of the Multinational Association of Supportive Care in Cancer, 30(5), 3773–3791.
  • Li, J., Huang, X. F., Luo, J. L., Zhang, J. Y., Liang, X. L., Huang, C. L., & Qin, H. Y. (2020) Effect of video-assisted education on informed consent and patient education for peripherally inserted central catheters: a randomized controlled trial. The Journal of international medical research, 48(9), 300060520947915.
  • Marcolongo, R., Rigoli A. (1999) Educazione Terapeutica per i Pazienti. Icaro, 28. Disponibile online: https://www.lupus-italy.org/documenti/icaro/pag_icaro.html [Data di accesso 10/08/2023].
  • Ministero della Salute (2022). I numeri del Cancro in Italia (22/12/2022). Disponibile online: https://www.iss.it/-/tumori-nel-2022-in-italia-stimati-390.700-nuovi-casi-circa-14-mila-in-più-in-2-anni [Data di accesso 10/08/2023].
  • Møller, T. & Adamsen, L. (2010) Hematologic Patients’ Clinical and Psychosocial Experiences With Implanted Long-term Central Venous Catheter. Cancer Nursing, 33 (6), 426-435.
  • Nicholson, J., & Davies, L. (2013) Patients’ experiences of the PICC insertion procedure. British journal of nursing (Mark Allen Publishing), 22(14), S16–S23.
  • Oakley, C., Wright, E., & Ream, E. (2000) The experiences of patients and nurses with a nurse-led peripherally inserted central venous catheter line service. European journal of oncology nursing: the official journal of European Oncology Nursing Society, 4(4), 207–218.
  • Parás-Bravo, P., Paz-Zulueta, M., Santibañez, M., Fernández-de-Las-Peñas, C., Herrero-Montes, M., Caso-Álvarez, V., & Palacios-Ceña, D. (2018) Living with a peripherally inserted central catheter: the perspective of cancer outpatients-a qualitative study. Supportive care in cancer: official journal of the Multinational Association of Supportive Care in Cancer, 26(2), 441–449.
  • Petroulias P. L. (2017) Use of Electronic Tablets for Patient Education on Flushing Peripherally Inserted Central Catheters. Journal of infusion nursing: the official publication of the Infusion Nurses Society, 40(5), 298–304.
  • Pittiruti, M., & Scoppettuolo, G. (2023) Manuale GAVeCELT dei PICC e dei Midline. Milano: EDRA S.p.A.
  • Ryan, C., Hesselgreaves, H., Wu, O., Paul, J., Dixon-Hughes, J., & Moss, J. G. (2018) Protocol for a systematic review and thematic synthesis of patient experiences of central venous access devices in anti-cancer treatment. Systematic reviews, 7(1), 61.
  • Schiffer, C. A., Mangu, P. B., Wade, J. C., Camp-Sorrell, D., Cope, D. G., El-Rayes, B. F., Gorman, M., Ligibel, J., Mansfield, P., & Levine, M. (2013) Central venous catheter care for the patient with cancer: American Society of Clinical Oncology clinical practice guideline. Journal of clinical oncology: official journal of the American Society of Clinical Oncology, 31(10), 1357–1370.
  • Sharp, R., Grech, C., Fielder, A., Mikocka-Walus, A., Cummings, M., & Esterman, A. (2014) The patient experience of a peripherally inserted central catheter (PICC): A qualitative descriptive study. Contemporary nurse, 48(1), 26–35.
  • Streubert, H., & Carpenter, D. (2005) La ricerca qualitativa: un imperativo umanistico. Edizione italiana a cura di Matarese M. Napoli: Idelson – Gnocchi.
  • Sundriyal, D., Shirsi, N., Kapoor, R., Jain, S., Mittal, G., Khivasara, J., Manjunath, S., & Parthasarthy, K. M. (2014) “Peripherally inserted central catheters: our experience from a cancer research centre”. Indian journal of surgical oncology, 5(4), 274–277.
  • Wang, Y., Li, J., Wang, Y., Wang, L., Xiang, Y., Huang, M., Wang, D., & He, L. (2021) The influential factors and intervention strategies that engage malignant cancer patients in health-promoting behaviors during PICC line maintenance. American journal of translational research, 13(5), 5208–5215.
  • Xu, H., Yang, W., Liu, Y., Mu, X., Liu, Y., & Hu, H. (2021) Analysis of Nursing Effect and Impact of Narrative Nursing Model on Anxiety of Tumor Patients with PICC under Chemotherapy. Evidence-based complementary and alternative medicine: eCAM, 2021, 3698845.

Alice Bernardi

Infermiere clinico, Centro Residenziale per Anziani di Cittadella

Elisa Mazzariol

Coordinatore Infermieristico UOC Cardiologia, Ospedale di Conegliano, Azienda ULSS2 Marca Trevigiana

Paola Tiatto

Coordinatore Infermieristico PICC Team, Istituto Oncologico Veneto-IOV IRCCS, Padova

Andrea Rostirolla

Infermiere PICC Team, Istituto Oncologico Veneto-IOV IRCCS, Padova

Martina Berto

Infermiere PICC Team, Istituto Oncologico Veneto-IOV IRCCS, Padova

Matteo Bernardi

Referente Area Organizzativa Gestionale, UOSD Direzione delle Professioni Sanitarie, Istituto Oncologico Veneto-IOV IRCCS, Padova

Andrea Bianchin

Direttore UOC Anestesia e Rianimazione, Ospedale di Montebelluna, Azienda ULSS2 Marca Trevigiana