Le conoscenze e le credenze degli infermieri sulle emocolture: uno studio multicentrico

Nurses’ belief and knowledge about blood culture: a multicenter study

 

ABSTRACT

Introduzione. L’emocoltura rappresenta il gold standard nella diagnosi microbiologica di sepsi e/o febbre di origine sconosciuta. Se fatto correttamente, è lo strumento migliore per gestire il “fenomeno della sepsi” in tutte le possibili manifestazioni. Scopo dello studio è quello di valutare le conoscenze degli Infermieri sulla pratica dell’esame dell’emocoltura. Materiali e metodi. Lo studio seguirà un disegno descrittivo osservazionale multicentrico, eseguendo la raccolta dati in 2 ospedali del centro/sud, attraverso la somministrazione di un questionario già validato. Risultati. Lo studio ha evidenziato una conoscenza uniforme per età e anzianità di servizio degli infermieri interpellati per l’indagine evidenziando una discrepanza tra il percepito e l’osservato. Parole chiave. emocoltura, sicurezza delle cure, “aderenza alle linee guida”, “bundle assistenziali”.

 

ABSTRACT ENG

Introduction. Blood culture represents the gold standard in the microbiological diagnosis of sepsis and/or fever of unknown origin. If done correctly, it is the best tool to manage the “sepsis phenomenon” in all possible manifestations. The purpose of the study is to evaluate the knowledge of Nurses on the practice of blood culture examination. Methods. The study will follow a multicenter observational descriptive design, performing data collection in 2 hospitals in the center/south, through the administration of a questionnaire already validated. Results. The study revealed a uniform knowledge by age and length of service of the nurses surveyed for the survey, highlighting discrepancies between the perceived and the observed. Keywords. “blood culture”, “safety of care”, “adherence to guidelines”, “care bundle”.

 

INTRODUZIONE

L’emocoltura rappresenta il gold standard nella diagnosi microbiologica della sepsi e/o di febbre di origine ignota. Se eseguita correttamente è lo strumento migliore per gestire il “fenomeno sepsi” in tutte le possibili manifestazioni (APSI-SIMPIOS, 2019). Il target nazionale per la contaminazione di emocoltura è del 2% – 3% (Hall KK et al, 2006) Questo tasso, è tendenzialmente in aumento con una drammatica influenza sulla durata della degenza ospedaliera, sull’uso insensibile di antibiotici e di conseguenza, con un notevole aumento dei costi in ospedale (Van der Heijden YF et al, 2011). Sfortunatamente, non esiste un test “gold standard” che possa in qualche modo differenziare una contaminazione da una vera infezione.
Da una revisione della letteratura, è emerso quanto alcuni atteggiamenti nella pratica dell’emocoltura, siano validi a diminuire il numero di contaminanti e quindi avere un esame diagnostico valido ai fini terapeutici. È infatti emerso quanto sia importante scegliere l’accesso venoso più idoneo al prelievo infatti, si è visto che scegliere una venipuntura recente piuttosto che una inserita da più tempo, riduce i contaminanti (Miguel Cervero et al, 2018; Robert A. Garcia BS et al, 2018; Qamruddin A et al, 2008; Pavese et al, 2014) e sempre per ridurre i contaminanti si sottolinea la necessità di prelevare da un accesso venoso periferico piuttosto che da un accesso vascolare centrale (Pavese et al, 2014). Anche l’adozione di personale esperto influisce sull’esito dell’esame infatti, laddove ad eseguire l’emocoltura è un personale esperto, si è rilevata una diminuzione di esami contaminati (Cervero M. et al, 2018; Bae M. et al, 2019 e Nair A. et al, 2017) alcuni studi di questi addirittura, consigliano l’utilizzo di un team di flebotomisti. Anche la decontaminazione della cute e la scelta dell’antisettico idoneo fa in modo che si riducano i campioni contaminati (Keri K, 2006) come quando si utilizza clorexidina su base alcolica per l’antisepsi della cute (Cervero M. et al, 2018; Maldonado N. et al, 2017; Qamruddin A. et al, 2008).
Altro dato da non sottovalutare risulta essere il volume di sangue da raccogliere nei flaconi, esso infatti può compromettere l’esito del campione se non sufficiente o se in esubero (Brown JD et al 2016; Nair A. et al, 2017). Molto importante e da non sottovalutare è poi anche il fatto che il personale frequenti costantemente dei corsi di aggiornamento sulle ultime evidenze relative alla corretta esecuzione dell’emocoltura, come si evidenzia nei contributi di Nair e colleghi (2017) e Pavese e colleghi (2014) dimostrando che audit e corsi per promuovere le raccomandazioni, siano utili a migliorare il numero delle emocolture appropriate ottenendo dei campionamenti adeguati. In alcuni stati del nord Europa, esistono le figure dei flebotomisti come valida proposta per ridurre il tasso dei contaminanti, questo perché risultano esperti nella particolare procedura (Cervero M. et al, 2018; Nair A. et al, 2017). Alcune realtà hanno evidenziato che l’utilizzo dei Kit per eseguire l’emocoltura che permettono di vedere il materiale utile alla procedura, sembrerebbero diminuire il rischio di errore (Nair A. et al, 2017; Garcia RA et al, 2018). Dalla revisione della letteratura è emerso inoltre che non esiste omogeneità nel processo di raccolta delle emocolturemettendo in evidenza la diversità dei protocolli aziendali con differenze importanti nella parte pre-analitica e post-analitica (Maldonado N. et al, 2017; Qamruddin A et al, 2008). Tuttavia,si è anche evidenziato che quando i protocolli aziendali vengono seguiti, si ha una diminuzione dei contaminanti. Sulla base degli elementi emersi, come per esempio la disomogeneità dei protocolli aziendali per la corretta esecuzione dell’emocoltura, la presenza o assenza di un team di flebotomisti, hanno motivato una ricerca relativa alle conoscenze e all’effettiva esecuzione della pratica dell’emocoltura partendo dall’assunto che una mappatura delle conoscenze del personale infermieristico in materia di emocoltura potrebbe risultare strategica. L’obiettivo del presente studio è pertanto quello di valutare le conoscenze degli Infermieri sulla pratica dell’esame dell’emocoltura.

MATERIALI E METODI

Disegno dello studio
Studio descrittivo osservazionale multicentrico. I dati sono stati raccolti in 2 ospedali del centro/sud Italia. Un referente dello studio si è recato presso le unità operative scelte, con lo scopo di presentare lo studio mettendo in risalto l’obiettivo principale e assicurando l’anonimato di tutti i partecipanti che, previo consenso, hanno potuto dare liberamente il loro contributo. Per raccogliere i dati si è utilizzato il questionario “Quanto secondo te queste attività devono far parte di una procedura per l’Emocoltura?” già validato (allegato 1), distribuito in formato cartaceo. I questionari sono stati raccolti in un’urna chiusa, custodita dal coordinatore infermieristico e sono stati ritirati dai responsabili dello studio per la valutazione dei dati.
I dati raccolti sono stati inseriti in un database Microsoft Excel per l’analisi descrittiva.

Campionamento
Nel campionamento sono stati inclusi tutti gli infermieri senza distinzione di preparazione di base (scuola regionale, diploma di laurea, laurea triennale o laurea magistrale) o limiti temporali di assunzione o di servizio presso l’azienda. I ricercatori hanno scelto di somministrare il questionario agli infermieri che lavorano presso: le terapie intensive, UOC di medicina e UOC di chirurgia.

Procedura e setting di arruolamento
In seguito alla spiegazione agli infermieri di reparto delle finalità dello studio e aver ottenuto il loro consenso, il ricercatore ha provveduto a lasciare le copie dei questionari all’interno di ogni unità operativa, con una lettera di presentazione dello studio. Il questionario somministrato è costituito da 2 pagine. La prima pagina ha come scopo la valutazione dell’aderenza alle buone pratiche dell’emocoltura. Sono presenti 21 domande divise in due tabelle, la prima (Sezione A) ha come scopo quella di valutare la valutazione delle conoscenze e l’aderenza personale agli standard tramite una scala likert a 4 passi (da per niente d’accordo a molto d’accordo); la seconda tabella (Sezione B) invece ha come scopo quello di valutare la frequenza della messa in pratica degli stessi item presentati nella prima tabella all’interno del proprio reparto. Nella seconda pagina, invece, sono presenti 19 item che hanno come scopo quello di indagare la componente socio/demografica e organizzativa della persona intervistata e del reparto di appartenenza. In allegato si riporta il questionario utilizzato nello studio. I questionari sono stati somministrati tra Gennaio e Febbraio 2020.

Considerazioni etiche
Lo studio è stato condotto in accordo con i principi della dichiarazione di Helsinki e alle Good Clinical Practice, nel rispetto della normativa vigente. La confidenzialità e la anonimità è stata garantita attraverso l’assegnazione di un codice numerico per singolo infermiere a partire dalla compilazione della scheda socio anagrafica. Inoltre, per procedere allo studio è stata richiesta l’autorizzazione al Dirigente delle professioni sanitarie della struttura sede della raccolta dati, attraverso la presentazione del protocollo e della lettera di accompagnamento.

RISULTATI

87 infermieri sono stati arruolati per lo studio e di questi 63 erano donne, 21 erano uomini e 3 non hanno risposto. In media avevano 44,9 anni, lavorano da 15,9 anni per almeno 7 ore al giorno ed eseguono almeno un’emocoltura al mese (Tabella 1).

Il diploma di Maturità lo avevano 66 infermieri di quelli intervistati mentre la sintesi del titolo professionale è rappresentata dal grafico 1.

Gli infermieri erano suddivisi nelle aree di degenza come rappresentate dalla tabella 2.

Il 52,9% (46) dei rispondenti ha dichiarato che a livello aziendale è presente un protocollo, mentre nel 40,2% (35) non è presente ed il 6,9% (6) non ha risposto a tale domanda. Degli infermieri che hanno dichiarato l’esistenza di unprotocollo solo il 4.6% (4) sostiene di conoscerlo molto bene, il 39.1% (34) sostiene di conoscere abbastanza, il 16.1% (14) lo conosce poco, il 5.7% (5) non lo conosce per niente. Gli infermieri che hanno dichiarato di avere il protocollo in azienda, hanno comunicato che gli è stato presentato attraverso una riunione di reparto 35% (30), il 13% (11) ha dichiarato di averlo conosciuto per un interesse personale, l’8% (7) ha ricevuto comunicazione del protocollo attraverso una mail il 5% (4) durante un corso di aggiornamento aziendale e il restante 39% (35) comprende il personale che non ha il protocollo o non ha risposto alla domanda.
Il questionario era formato da due parti, una prima che chiedeva le conoscenze che gli infermieri avevano sulla esecuzione dell’emocolture (sezione A) ed una seconda che richiedeva cosa effettivamente si faceva nella pratica quotidiana (sezione B). Da un’analisi di media generale delle risposte ottenute della sezione A e della sezione B, si riscontra, in linea di massima, una sovrapposizione nelle risposte delle due sezioni (Tabella 3).

Nell’analisi effettuata si è andati anche ad analizzare ogni singola risposta sulla base delle emocolture svolte durante l’orario di lavoro e sulla base degli anni di lavoro, che potrebbero essere indice di conoscenza e di buone pratiche. Nella tabella 4 si evidenzia come una risposta media di 3 nella sezione A (che evidenzia l’aderenza personale), sussista sia per coloro che lavorano da più di 10 anni che per gli altri ma che di fatto non corrisponde pienamente alle risposte della sezione B (che evidenzia l’aderenza dell’equipe), quindi ciò che sarebbe giusto fare non sempre viene fatto. (Tabella 4)

Nella tabella 5 si mette in correlazione la sezione A e la sezione B sulla base di quante emocolture vengono fatte durante l’orario lavorativo e i dati sono pressoché corrispondenti. (Tabella 5)

 

 

DISCUSSIONE

In questo studio, realizzato nella sola popolazione italiana e di Infermieri di alcune strutture del centro sud, abbiamo avuto il 100% dell’adesione sui questionari presentati. Il numero di emocolture mensili eseguite dagli infermieri va da 0 a 10, con una media di 1.3 emocolture per infermiere, osservandoi dati si evidenzia che 22 infermieri hanno dichiarato di non aver fatto emocolture nell’ultimo mese o di averne fatte soltanto 1; rientrando tra le competenze dell’Infermiere anche quella dei prelievi di sangue e di terapie endovenose non abbiamo in Italia la figura del flebotomista, figura specifica e dedicata solo a questa mansione (Cervero M., et al. 2018, Bae M. et al. 2019), in alcuni paesi anglosassoni, sembrerebbe comunque dai dati raccolti che pur essendo tutti gli infermieri a conoscenza della tecnica corretta di emocoltura, alcuni ne facciano più di altri, probabilmente avere una persona dedicata a questa pratica risulta essere un aiuto all’organizzazione del reparto, simulando di fatto il flebotomista. Per l’esecuzione corretta dell’emocoltura in letteratura vengono riconosciute alcune pratiche come la tecnica sterile, l’utilizzo dei guanti sterili, il lavaggio delle mani, l’utilizzo di clorexidina al 2% (Cervero M. 2018, Maldonado N 2017, e Qamruddin A. 2008) e dallo studio che abbiamo eseguito si è evidenziato che tutte queste pratiche, non solo sono conosciute ma poi di fatto vengono anche messe in pratica. Il protocollo aziendale che rappresenta un ulteriore punto di forza per la corretta esecuzione della procedura (Maldonado N. 2017, Qamruddin A et al, 2008), era presente soltanto nel 52% delle strutture indagate e questo sicuramente deve essere motivo di lavoro e di implementazione, per quanto riguarda la conoscenza del protocollo solo il 5% ha sostenuto di conoscerlo molto bene e, per la maggior parte degli intervistati ha ricevuto l’informazione del protocollo attraverso una riunione di reparto questo, dalla analisi dei risultati, ci fa presupporre che probabilmente non è la metodica più corretta per presentare un protocollo aziendale. Anche relativamente all’esperienza lavorativa, che si è rivelata strettamente legata alla buona pratica dell’emocoltura (Cervero M. et al, 2018; Pavese et al 2014, Nair A. MD et al 2017), di fatto non abbiamo riscontrato dai dati raccolti, grandi diversità di conoscenze tra i neo assunti e il personale con più anni di esperienza, ma probabilmente il campione analizzato non era molto ampio, si è riscontrato invece che alcune procedure (se pur conosciute, come il consegnare nel breve tempo possibile i campioni prelevati in laboratorio), di fatto nella pratica non sempre vengono rispettate; il motivo non è stato indagato direttamente dal questionario, ma sapendo che alcuni laboratori non sono ubicati nella sede di prelievo e vista la necessità di usufruire di un autista per il trasporto, probabilmente non sempre questi fattori permettono la consegna in tempi ottimali. Di difficile interpretazione risulta la risposta al punto 7 dove si chiedeva se il sito di venipuntura si dovesse disinfettare con un antisettico e, alla prima risposta positiva riferita all’adesione del singolo operatore (sezione A) non c’è stata poi la stessa percentuale di risposte positive, riferite alla effettiva pratica sul campo (sezione B). Cosi come la domanda numero 17, dove il questionario chiedeva se i flaconi raccolti, potessero essere conservati a temperatura ambiente; pur avendo una buona percentuale di infermieri consapevoli del fatto che si debbano effettivamente conservare a temperatura ambiente di fatto poi, non vi era riscontro nella pratica di tutta l’equipe. Anche la tracciabilità dell’esecuzione dell’emocoltura in cartella infermieristica se pur accettata non sempre è stata garantita.

Limiti
Il principale limite di questo studio è costituito dalla numerosità limitata del campione e dalla mancata adesione di alcune strutture del nord Italia.

CONCLUSIONI

Il presente studio ha permesso di valutare le reali conoscenze degli infermieri circa la corretta esecuzione dell’emocoltura, nonché  la presenza di un protocollo specifico nelle proprie aziende. Dall’analisi dei dati, raccolti attraverso la somministrazione di questionari che andavano a saggiare la reale conoscenza della tecnica di esecuzione del prelievo per emocoltura, è emerso che quest’ultima viene allo stato attuale eseguita secondo quelle che sono le conoscenze personali degli operatori sanitari, spesso in assenza di protocolli aziendali standardizzati. Dal presente studio si evince, che non ci sono delle strategie comuni ma una serie di procedure messe in campo per limitare al meglio le contaminazioni del campione da inviare alla analisi. Confrontando i dati circa le conoscenze personali con quelli sulla pratica effettiva del personale di reparto, si è riscontrata una discrepanza in alcune pratiche, il questionario utilizzato non ha permesso di valutare la motivazione di questa diversità, ma di fatto ci ha dato la possibilità di evidenziare in quali punti sia necessario lavorare per capire meglio il perché di questa diversità, come ad esempio la consegna dei campioni in laboratorio nel breve tempo possibile e la mancata conservazione del campione a temperatura ambiente. Avendo avuto a disposizione un campione limitato da indagare, sarebbe interessante ripetere lo studio su più strutture e di diverse regioni. Dal confronto tra, le peculiarità emerse dalla revisione della letteratura da noi condotta e i dati rinvenuti attraverso i questionari somministrati, è emersa, a nostro avviso, la necessità di redigere un protocollo univoco tale da ottenere una standardizzazione delle procedure per permettere una diminuzione della probabilità di contaminazione del campione di emocoltura da analizzare, ed ottenere un risultato più  preciso e sicuro. Sulla base di questi risultati, sembrano necessari interventi multimodali e che coinvolgano più professionisti per migliorare la diagnostica dell’emocoltura.

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Sonia Bustreo

Infermiera Specialista Rischio Infettivo, ASST-Ovestmi Ospedale di Magenta
RN, “ASST-Ovestmi” Magenta Hospital, Italy
sonia.bustreo@gmail.com

Silvia Camelo

Infermiera Strumentista, Sala Operatoria, Ospedale Sant’Omero, Teramo
RN, Operating Room, Sant’Omero Hospital, Teramo, Italy

Serena Tucci

Infermiera Pediatrica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
RN, Bambino Gesù Children’s Hospital, Rome, Italy

Giovanna Cocco

Coordinatore Infermieristico, Dipartimento delle Dipendenze Patologiche Ser.D Anzio/Pomezia, ASL Roma
RN, “Dipartimento delle Dipendenze Patologiche Ser.D”, Anzio/Pomezia, “ASL” of Rome 6, Italy

Silvia Zenobi

Infermiera Strumentista, Sala Operatoria, Ospedale Sant’Omero, Teramo
RN, Operating Room, Sant’Omero Hospital, Teramo, Italy

Jacopo Fiorini

Dipartimento delle Professioni Sanitarie, Policlinico Universitario di Roma Tor Vergata
RN, Management for Healthcare Professionals, “Policlinico Universitario” of Rome Tor Vergata, Rome, Italy