28 Set L’assistenza infermieristica nella prevenzione degli eventi avversi alla donazione di sangue intero: una revisione della letteratura
Nursing care in the prevention of adverse events to whole blood donation: a literature review
RIASSUNTO
Introduzione. Gli eventi avversi alla donazione di sangue intero sono sempre da considerare un evento negativo per il donatore, indipendentemente dalla loro gravità, in quanto generano in quest’ultimo dolore e disagio. Ai fini dell’assistenza è interessante capire se esiste oggettivamente una precisa modalità per prevenire o comunque per ridurre l’insorgenza di questi eventi avversi. Obiettivo. Rintracciare nella letteratura scientifica evidenze che supportino l’assistenza infermieristica nella prevenzione degli eventi avversi alla donazione di sangue, creando degli spunti di miglioramento della stessa, cercando di identificare una modalità per standardizzare alcune parti del processo. Materiali e metodi. Per raggiungere tale scopo sono state consultate le principali banche dati elettroniche Pubmed e CINAHL, attraverso le quali è stata realizzata una revisione della letteratura utilizzando le seguenti parole chiave: “Blood donors”, “Nursing”, “Adverse effects” e “Adverse reactions”. Risultati. Sono stati reperiti diciassette articoli di cui quattro revisioni sistematiche, quattro studi osservazionali, cinque studi trasversali, uno studio di coorte, uno studio caso-controllo e due editoriali. Discussione. I risultati trovati indicano una riduzione statisticamente significativa degli eventi avversi qualora si mettano in pratica specifiche strategie preventive, in particolare sulla popolazione di donatori maggiormente suscettibile selezionata attraverso l’individuazione di fattori di rischio. Conclusioni. È auspicabile lavorare per una standardizzazione delle cure e per una continua educazione del personale affinché gli eventi avversi possano essere ridotti al minimo. Parole chiave. Donatori di sangue; assistenza infermieristica; eventi avversi; reazioni avverse.
ABSTRACT
Introduction. Adverse events to whole blood donation are always to be considered a negative event for the donor, regardless of their severity, as they generate pain and discomfort. For the purposes of nursing care, it is interesting to understand if there is a precise way to prevent or otherwise reduce the onset of these adverse events. Objective. Finding the most updated scientific evidence about nursing care in the prevention of adverse events in relation to blood donation. This in order improve the nursing care and identify a way to standardize some parts of the process. Materials and methods. In order to achieve this goal, it was made a literature research on the main online databases Pubmed and CINAHL using the following keywords: “Blood donors”, “Nursing”, “Adverse effects” and “Adverse reactions”. Results. Seventheen articles including four systematic reviews, four observational studies, five cross-sectional studies, one cohort study, one case-control study and two editorials. Discussion. Results indicate a statistically significant reduction in adverse events if specific preventive strategies are put into practice, in particular on the most susceptible donor population selected through the identification of risk factors. Conclusions. It is desirable to work for a standardization of care and for a continuous education of the staff so that adverse events can be minimized. Keywords. Blood donors; nursing; adverse effects; adverse reaction.
INTRODUZIONE
Per donazione di sangue intero si intende il prelievo di sangue effettuato da un donatore utilizzando apposite sacche di raccolta sterili contenenti una soluzione anticoagulante. La procedura ha usualmente una durata inferiore a dieci minuti mentre il volume di sangue prelevato è di circa 450 ml a cui è possibile aggiungere un massimo di 30 ml per i test di laboratorio (Esplendori, 2017).
Affinché si abbia un apporto di sangue in quantità sufficiente e che questo possa essere considerato sicuro, è necessario che il bacino di utenza delle donazioni sia composto esclusivamente da donatori volontari, non remunerati e selezionati dopo un’attenta consulenza tra donatore e professionista sanitario (World Health Organization (WHO), 2014). I donatori, infatti, devono soddisfare precisi criteri per poter essere considerati idonei alla donazione, questo sia per proteggere il ricevente, sia a vantaggio dello stesso donatore che per avere accesso alla donazione deve avere un’età compresa tra i 18 e i 65 anni, deve pesare almeno 50 Kg e deve essere in buona salute (Associazione Volontari Italiani del Sangue (AVIS), n.d.). Quest’ultima caratteristica viene valutata preventivamente attraverso screening periodici.
Sebbene l’atto della donazione sia considerato di norma una procedura sicura, è tuttavia descritto che una percentuale di donatori, che si aggira intorno al 2,5%, sviluppa una reazione avversa. Quest’ultima può a tutti gli effetti essere considerata come l’alterazione di uno dei bisogni assistenziali, il cui soddisfacimento tramite azioni e atti, è uno dei cardini dell’assistenza infermieristica (Agnihotri et al., 2012).
Gli infermieri svolgono quindi un ruolo cruciale nel contesto della donazione di sangue in quanto sono responsabili dell’intero processo della donazione e, come da Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche, hanno responsabilità educative e di sostegno verso le persone coinvolte nel ricevere come nel donare (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI), 2019). Ciò è ancor più vero nel caso in cui si verifichi un evento avverso.
Considerando che i donatori di sangue forniscono un bene unico e prezioso attraverso un atto che costituisce uno dei più bei gesti di solidarietà, è chiara l’importanza e il dovere di garantire a questi ultimi una procedura il più possibile sicura vista l’importanza di un gesto che permette di salvare milioni di vite ogni anno e migliorare l’aspettativa e la qualità della vita a molte persone affette da patologie altrimenti potenzialmente letali (World Health Organization (WHO), 2014). Obiettivo dello studio è quindi quello di cercare, nella letteratura scientifica, evidenze che supportino l’assistenza infermieristica nella gestione degli eventi avversi alla donazione di sangue, individuando spunti di miglioramento della stessa e cercando di identificare una modalità per standardizzare alcune parti del processo che ad oggi sono spesso affidate alla discrezionalità e all’esperienza del personale.
MATERIALI E METODI
Per raggiungere l’obbiettivo prefissato, nel mese di giugno 2020 sono state consultate le principali banche dati online PubMed (Medline) e CINAHL, senza porre alcuna limitazione né temporale né linguistica nella ricerca degli articoli. Nella stringa di ricerca, le parole chiave “Blood donors”, “Adverse effects”, “Adverse reactions” e “Nursing” sono state combinate tra loro attraverso l’utilizzo dell’operatore booleano “AND”. È stata inoltre effettuata una ricerca bibliografica su altre due banche dati quali Embase ed ILISI, che non ha però portato alla luce nessun nuovo articolo utile al raggiungimento dell’obiettivo.
L’attinenza di tutti gli articoli trovati è stata verificata tramite la lettura del titolo, successivamente dell’abstract e in alcuni casi del testo completo, in modo da includere tutti i documenti utili al raggiungimento dello scopo.
Selezione degli articoli
Criteri di inclusione:
– Articoli che trattano in maniera esaustiva l’argomento dell’assistenza infermieristica nelle reazioni avverse alla donazione di sangue e che apportano almeno una prospettiva in merito a:
- Assistenza infermieristica nella donazione di sangue intero e in risposta ad un evento avverso a quest’ultima;
- Classificazione degli eventi avversi alla donazione di sangue intero;
- Probabilità o frequenza di insorgenza degli eventi avversi alla donazione di sangue intero;
- Fattori di rischio per l’insorgenza di eventi avversi alla donazione di sangue intero;
- Prevenzione dell’insorgenza di eventi avversi alla donazione di sangue intero;
- Impatto degli eventi avversi sul ritorno dei donatori.
Criteri di esclusione:
– Articoli di cui non era possibile reperire il full text;
– Articoli il cui focus principale è la donazione intesa come plasmaferesi.
In seguito, è stata eseguita una seconda ricerca bibliografica utilizzando le stesse stringhe di ricerca, che aggiorna la revisione a dicembre 2020 e dalla quale è emerso un ulteriore articolo di recente pubblicazione concernente il tema trattato.
RISULTATI
Al termine della ricerca sono risultati idonei 17 articoli: quindici sono studi di cui quattro revisioni sistematiche, quattro studi osservazionali, cinque studi trasversali, uno studio di coorte, uno studio caso-controllo, mentre due sono editoriali.
Tra gli studi, quelli che hanno utilizzato l’osservazione diretta come strumento di raccolta dati sono risultati essere undici, tre hanno utilizzato la metodologia dell’intervista, uno ha invece optato per un questionario (tabella 1).
Gli studi sono stati generalmente condotti nei centri di raccolta del sangue, in parte situati in strutture ospedaliere, in parte situati sul territorio e utilizzano campioni di popolazione aventi caratteristiche simili dal momento che i donatori di sangue devono necessariamente rispondere a determinati requisiti, ovvero un’età compresa tra i 18 e i 65 anni e godere di buona salute.
Eventi avversi più frequenti
Nella maggior parte degli studi esaminati l’evento avverso che si riscontra con maggiore frequenza (63,5%) è sicuramente la reazione vasovagale che si può manifestare attraverso un ampio spettro di segni e sintomi che non necessariamente si verificano simultaneamente. Quest’ultima si può classificare come lieve (84,2%), i cui sintomi includono: cefalea, pallore, vertigini, sudorazione, stanchezza, offuscamento della vista, ipoacusia, palpitazioni, nausea e/o vomito; oppure severa (15,8%), nella quale si verifica la perdita di coscienza. (Agnihotri et al., 2012; A. Thijsen & Masser, 2019).
Per quanto riguarda gli eventi avversi localizzati, quello più comune risulta essere l’ematoma che è anche il secondo evento avverso più frequente sul totale di questi ultimi (22,7%) (Newman & Roth, 2005).
Profilo del donatore che presenta eventi avversi
Diversi studi hanno focalizzato l’attenzione sull’individuazione di possibili fattori di rischio per l’insorgenza di reazioni avverse alla donazione di sangue. Alcuni di questi si sono concentrati sull’individuazione di bio marcatori, come l’età e il peso, altri invece sulle caratteristiche sociodemografiche dei donatori, come il genere o il numero di donazioni effettuate, tutti con il fine di tracciare un profilo, il più possibile accurato, del donatore maggiormente suscettibile. Altri fattori di rischio non sono stati approfonditi in quanto non statisticamente significativi.
Il donatore che presenta con più frequenza eventi avversi sembra essere di genere femminile, di giovane età, di basso peso e alla prima donazione. Tali caratteristiche possono presentarsi insieme o singolarmente, anche se è stato provato come la combinazione di due o tre fattori provochi un’associazione con un evento avverso più alta di qualsiasi fattore preso singolarmente. È provato inoltre come fattori psicologici e ambientali siano anch’essi da considerare come importanti fattori di rischio (Agnihotri et al., 2012; Locks et al., 2019; Newman, 1997; Newman et al., 2003; Newman, 2004; Newman & Roth, 2005; A. Thijsen & Masser, 2019; Wang et al., 2019; Wiersum-Osselton et al., 2014).
Strategie preventive
Sulla base di quanto appena detto, è quindi chiara l’importanza di indagare due tipi diversi di strategie di prevenzione degli eventi avversi, dal momento che la rilevanza dei fattori di rischio psicologici non è inferiore a quella dei fattori di rischio fisici e demografici. Queste strategie si possono classificare come fisiologiche e psicologiche.
Parlando ora delle strategie fisiologiche, l’obbiettivo di queste ultime è quello di prevenire l’improvviso calo della pressione sanguigna che porta conseguentemente all’evento avverso. La maggior parte degli studi analizzati si trova concorde nell’affermare che le strategie preventive che si sono rivelate più efficaci e praticabili sono l’assunzione di un volume prestabilito di acqua (500 ml) prima della donazione e l’AMT (Applied Muscle Tension), che consiste nella contrazione ciclica dei muscoli dell’addome e degli arti inferiori per aumentare la pressione sanguigna. Applicando questi accorgimenti, è stato riscontrato un decremento delle reazioni vasovagali che va dal 12% al 22% (Masser, 2012; Newman, 2004; Newman & Siegfried, 2011; Amanda Thijsen et al., 2020).
Per quanto concerne invece le strategie psicologiche, gli studi a riguardo si sono concentrati principalmente sulla riduzione dello stress e dell’ansia attraverso tecniche di distrazione (Masser, 2012; Newman & Siegfried, 2011; Amanda Thijsen et al., 2020; Wang et al., 2019).
DISCUSSIONE
Quello che emerge dai risultati è dunque il profilo del donatore suscettibile, ovvero colui che con più probabilità incorrerà in un evento avverso. Questo donatore è, come dichiarato poc’anzi, di genere femminile, di basso peso, di giovane età e alle prime esperienze di donazione.
Per quanto riguarda il genere femminile, la maggior parte degli studi a riguardo evidenzia come quest’ultimo sia spesso associato alla reazione vasovagale (Agnihotri et al., 2012; Locks et al., 2019; Newman, 2004; Newman et al., 2003; Newman & Roth, 2005; A. Thijsen & Masser, 2019; Wiersum-Osselton et al., 2014). Secondo uno studio condotto a Taiwan, le cause di questo sono da ricercarsi nei differenti valori di pressione arteriosa tra i due generi e nei diversi meccanismi fisiologici di regolazione di questa; in particolare, abbiamo differenze di genere nel sistema renina – angiotensina e negli effetti dell’ Angiotensina II sulla resistenza vascolare a livello del rene. Nei soggetti di genere femminile, l’attività nervosa simpatica renale è infatti il principale meccanismo di controllo della pressione arteriosa (Wang et al., 2019). Un altro studio pone l’accento in particolare su come la fatigue post – donazione sia maggiormente ricorrente nelle donne e come questa sia inversamente proporzionale all’aumentare del peso corporeo. Le donne inoltre hanno mediamente livelli di emoglobina più bassi e un volume sanguigno ridotto rispetto agli uomini e questo comporta sicuramente una maggiore perdita di volume e di Hb durante la donazione (Newman & Roth, 2005). Infine, questo evidente squilibrio tra generi può essere stato incrementato dal fatto che le donne siano più inclini a riferire una sintomatologia vasovagale, anche se lieve, in quanto comunemente più suscettibili a questo tipo di episodi, mentre per quanto riguarda gli uomini, questi ultimi potrebbero aver segnalato solo i sintomi più severi (Veldhuizen et al., 2012).
Tutti gli studi a riguardo sono inoltre concordi nell’affermare che la giovane età e il basso peso siano due dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di una reazione vasovagale, dove per giovane età si intende generalmente al di sotto dei trentacinque anni, mentre per basso peso di intende al di sotto dei 70 Kg. Considerando la giovane età, questo può essere spiegato dal fatto che la sensibilità dei barocettori decresce con l’avanzare dell’età e di conseguenza i donatori più anziani hanno una maggiore stabilità emodinamica rispetto ai donatori giovani; questi ultimi hanno inoltre un livello di apprensione maggiore e questo li rende sicuramente più predisposti ad una reazione vasovagale (Wang et al., 2019). Si ritiene, infatti, che le vie attraverso cui l’ipotalamo, da cui scaturisce la reazione vasovagale, viene stimolato, possano avere due diverse origini. Nella prima via, quella centrale, le emozioni, il dolore e lo stress influenzano direttamente il cervello che stimola l’ipotalamo; questo spiega il perché un donatore può avere una reazione vasovagale anche prima di donare. Il secondo percorso, quello periferico, si riferisce agli effetti che i barocettori periferici hanno sull’ipotalamo. I barocettori periferici situati nel ventricolo sinistro, quando stimolati da una forte distensione del muscolo cardiaco, danno vita a quello che viene chiamato “Bezold-Jarisch reflex”, ovvero un’aumentata risposta parasimpatica e quindi un decremento del tono simpatico che provoca appunto ipotensione e bradicardia fino alla reazione vasovagale (Newman, 1997).
Rispetto invece al basso peso, uno studio di Newman B.H. e Roth A.J. mostra come l’incidenza di una reazione avversa risulta essere inversamente proporzionale al peso corporeo del donatore. In un altro articolo, il primo dei due autori citati precedentemente sottolinea come, sebbene alcuni studi conferiscano la magrezza costituzionale del donatore come possibile fattore di rischio per un evento avverso, in realtà questo dato isolato sembra essere poco rilevante se non messo in relazione al peso corporeo (Newman, 1997; Newman & Roth, 2005).
Parlando infine dello status di nuovo donatore, Agnihotri, et al. affermano come la percentuale di reazione vasovagale nei nuovi donatori maschi è dell’1,84%, che scende allo 0,79% nei donatori regolari (ρ < 0,001); stessa cosa si può osservare nelle donne dove la percentuale da 4,33% si abbassa a 1,41% (ρ < 0,0001) (Agnihotri et al., 2012). La differenza tra i due generi non risulta statisticamente significativa. I nuovi donatori potrebbero infatti essere più ansiosi e timorosi rispetto agli altri donatori poiché non hanno nessuna esperienza sulla donazione di sangue che risulta quindi essere per loro una situazione nuova, dalla quale non sanno ancora cosa aspettarsi. La paura e l’ansia, come detto prima, hanno conseguenze emotive dirette che possono portare alla reazione vasovagale.
Come affermato in precedenza, oltre alle caratteristiche fisiche e demografiche, non si possono escludere fattori psicologici e ambientali che pongono il donatore in uno stato di suscettibilità ad aventi avversi. Da uno studio si evince infatti come l’84,6% dei donatori intervistati dopo aver avuto un evento avverso, affermino di aver provato una o più delle seguenti condizioni: preoccupazione riguardo la sicurezza della donazione, venipuntura dolorosa, essere a conoscenza di un evento avverso avvenuto ad un conoscente e paura dell’ago/sangue. L’ansia infatti porta spesso ad iperventilazione, che a sua volta comporta un’eliminazione eccessiva di anidride carbonica ed un conseguente incremento del pH. Il risultato che ne scaturisce è una costrizione cerebrovascolare che diminuisce l’afflusso di sangue al cervello e può portare ad una reazione vasovagale (Agnihotri et al., 2012; Newman, 1997).
Come riporta Newman B.H., questa considerazione è stata fatta anche da Ruetz P. dopo aver condotto uno studio in cui venivano analizzate le differenze tra due gruppi di donatori, dove il primo era composto da donatori che avevano avuto almeno due eventi avversi, mentre il secondo da donatori che non avevano mai avuto complicazioni. Esaminando i test di laboratorio eseguiti prima e dopo la donazione, è infatti apparso come i livelli di anidride carbonica alveolare erano più bassi nel primo gruppo di donatori, il che suggerisce un’iperventilazione che potrebbe essere scaturita da uno stato di ansia o comunque di apprensione (Newman, 1997).
Tra i fattori di rischio psicologici/ambientali, rilevante è sicuramente il cosiddetto “Epidemic fainting”, ovvero una reazione vasovagale suscitata dalla vista di altri donatori con la stessa reazione.
Interessante è apprendere come sia tuttavia possibile ridurre significativamente tali eventi avversi adottando specifiche strategie preventive che si possono classificare come fisiologiche e psicologiche.
Per quanto riguarda la prima tecnica citata, ovvero l’assunzione di un volume prestabilito di acqua, la spiegazione della sua apparente efficacia può essere data dal fatto che l’assunzione di un consistente volume di acqua in un tempo limitato causi l’espansione dello stomaco, che a sua volta genera l’attivazione del sistema nervoso simpatico e quindi vasocostrizione. In questo caso, dovrebbe essere approfondito l’aspetto della tempistica con la quale assumere l’acqua, dal momento che la metà di quest’ultima lascia lo stomaco nell’arco di venti minuti. È stato anche suggerito che la risposta simpatica sia data dalla stimolazione degli osmocettori presenti nel fegato e nella vena porta all’assunzione di una bevanda ipotonica, come appunto l’acqua. Secondo questa ipotesi, fluidi con una maggiore osmolarità come succhi di frutta, bibite o bevande energetiche non apporterebbero nessun beneficio (Newman & Siegfried, 2011). Un problema secondario all’assunzione di acqua è la leggera diminuzione della concentrazione dell’emoglobina, che avviene in circa il 70% dei soggetti. Il test di screening dell’emoglobina dunque dovrebbe idealmente essere fatto, almeno nelle donatrici, prima dell’assunzione dell’acqua (Newman, 2004).
Riguardo alle tensione muscolare, Newman B.H. e Siegfried B.A. ritengono che le tecniche utilizzate nei diversi trial, nonostante la loro apparente efficacia, risultino poco pratiche e dovrebbero essere quindi semplificate (Newman & Siegfried, 2011).
Spostando invece l’attenzione alle strategie psicologiche, gli interventi che si sono dimostrati efficaci e che quindi hanno determinato una riduzione statisticamente significativa delle reazioni vasovagali o dei sintomi ad essa riferiti sono: la distrazione audiovisiva, l’affiancamento di una figura di supporto adeguatamente formata, che essa sia un infermiere dotato di “social skills” o una terza persona impiegata nel supporto dei donatori, evitare un contatto visivo diretto tra chi si accinge a donare e coloro che stanno donando che quindi potrebbero andare incontro ad un evento avverso e infine il rafforzamento della fiducia dei donatori in merito alle proprie capacità di successo. Tale fiducia, o per meglio dire autoefficacia, si costruisce attraverso ripetute donazioni portate a termine senza complicazioni (non a caso è una caratteristica tipica dei donatori regolari), oppure attraverso l’educazione degli stessi donatori riguardo alle proprie abilità. Quest’ultima tecnica si può realizzare ad esempio distribuendo degli opuscoli informativi prima della donazione che includano informazioni riguardo la continua necessità di sangue, dettagli sulle preoccupazioni più comunemente presenti nei donatori, accompagnati magari alle diverse strategie utili a prevenire un evento avverso che è sicuramente uno dei principali timori, oppure per mezzo di un poster esposto nella sala di attesa che esponga lo spettro di fattori che possono influenzare l’insorgenza di un evento avverso, in modo tale che i donatori possano identificare in autonomia i fattori di rischio ed eventualmente le strategie per evitarli. Queste informazioni dovrebbero essere inoltre veicolate con una valenza positiva, ad esempio: “Checklist per una migliore esperienza di donazione”. Tutto questo aiuterebbe sicuramente a “normalizzare” le reazioni avverse, anche tra i donatori esperti, mentre la capacità di attribuire una possibile causa all’evento avverso consentirebbe loro di incrementare la propria autoefficacia (Masser, 2012; Newman & Siegfried, 2011; Amanda Thijsen et al., 2020).
Se però riconoscere i fattori di rischio fisici o demografici è relativamente semplice, come riconoscere invece quelli ambientali e psicologici? Sempre Masser B. riporta come uno studio abbia riscontrato un’associazione statisticamente significativa tra le risposte affermativa a due domande che valutavano la paura del sangue/ago e i sintomi vasovagali. Questo suggerisce come l’apporto di piccole modifiche al colloquio pre – donazione, come ad esempio l’inclusione di domande incentrate su aspetti psicologici e ambientali, potrebbe essere utile nell’individuazione dei donatori “vulnerabili” ai quali prestare maggiore attenzione o affiancare figure di supporto (Masser, 2012). In tal senso un suggerimento viene dato da Hsuan-Hui Wang, M.S, et al. in conclusione del suo studio condotto in un centro di raccolta sangue di Taiwan: l’idea consiste nel fornire a tutti i nuovi donatori un braccialetto da indossare prima della donazione, così che tale segno distintivo ricordi ai membri dello staff di prestare loro maggiore attenzione. Essi infatti si impegnano a spiegare l’intero processo e a conversare con il donatore, distogliendone l’attenzione e riducendo quindi lo stress psicologico (Wang et al., 2019).
Un possibile limite di questa revisione potrebbe essere stato la decisione di utilizzare un numero ristretto di parole chiave (“Blood donors”, “Nursing”, “Adverse effects” e “Adverse reactions”), che può avere precluso l’identificazione di articoli potenzialmente pertinenti; non è inoltre stata considerata la letteratura in fase di pubblicazione o non pubblicata.
CONCLUSIONI
Benché per la maggior parte dei donatori la donazione di sangue intero sia una procedura sicura e priva di complicazioni, è pur vero che una porzione di questi sviluppa un evento avverso. Quest’ultimo, quando si verifica, è sempre da considerarsi un evento negativo sia nei confronti del donatore, perché genera in lui dolore e disagio, sia in una visione più generale, in quanto il verificarsi di tale evento ha un forte impatto sulla decisione di quel donatore nel tornare a donare e quindi sulla quantità totale di unità di sangue raccolte.
Nonostante sia impossibile stabilire con certezza il verificarsi di un evento avverso, la letteratura scientifica offre diversi suggerimenti che indicano una riduzione statisticamente significativa di questi qualora si mettano in pratica specifiche strategie preventive, in particolare sulla popolazione di donatori maggiormente suscettibile, che può essere facilmente identificata attraverso l’individuazione dei fattori di rischio.
Si può quindi ragionevolmente concludere che l’assistenza infermieristica ha un ruolo di primo piano nel processo di donazione di sangue poiché l’infermiere è una delle figure professionali direttamente implicate nell’assistenza diretta al donatore. Detto ciò, è dunque auspicabile lavorare per una standardizzazione dei processi assistenziali e per una continua manutenzione delle conoscenze del personale affinché gli eventi avversi possano essere prevenuti, ridotti al minimo e l’attività di donazione risulti efficace in termini qualitativi e quantitativi.
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Silvia Magistrelli
Infermiera, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
RN, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milan (Italy)
silviamagistrelli98@gmail.com
Ivana Maria Rosi
Direzione Professioni Sanitarie, Corso di Laurea in Infermieristica, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Directorate of Nursing Profession, BSc in Nursing, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milan (Italy)
Roberto Milos