La violenza sull’operatore sanitario: studio retrospettivo condotto presso le unità operative del presidio ospedaliero “V. Fazzi” di Lecce

Violence against healthcare workers: a retrospective study

ABSTRACT
Introduzione. Le aggressioni a danno degli infermieri sono un problema molto diffuso e in costante crescita. In Italia, tale fenomeno, viene introdotto tra gli eventi sentinella dal Ministero della Salute. Richiede quindi una particolare attenzione e merita di essere approfondito e non sottovalutato, come ancora spesso accade. Metodi. Revisione della letteratura, consultazione di riviste infermieristiche e fonti multimediali, articoli di cronaca, la rilevazione dei dati relativi all’esperienza dell’infermiere con questionario, il tirocinio formativo nei reparti di Pronto Soccorso, Rianimazione, Chirurgia, Medicina e Psichiatria. Risultati. È stato raggiunto l’obiettivo di evidenziare l’incidenza e le caratteristiche del fenomeno, al fine di introdurre delle strategie (piani di lavoro) per contenere la diffusione dello stesso. Conclusioni. Formare l’infermiere per la gestione del paziente aggressivo, garantire figure e sistemi di sicurezza in ogni reparto, aumentare la tutela per le vittime. Parole chiave. Violenza sull’infermiere, formazione, sicurezza sul lavoro, tutela dell’operatore.

ABSTRACT EN
Introduction. Violence against nurses represent a widespread and constantly growing problem. In Italy, this phenomenon is introduced among the “sentinel events” by the Ministry of Health. Those acts require special attention and deserve to be deepened in their meaning. Methods. We conducted a retrospective study using a questionnaire used in the Departments of First Aid, Resuscitation, Surgery, Medicine and Psychiatry. Results. The incidence and the characteristics of the phenomenon has been highlighted, in order to introduce strategies (work plans) to contain its spread. Conclusions. It is pivotal to train nurses for the management of aggressive patient, guarantee figures and safety systems in each ward, increase protection for the victims. Keywords. Violence against the nurses, training, occupational safety, operator protection.

 

INTRODUZIONE

Il personale sanitario è spesso tristemente protagonista di atti di violenza da parte della popolazione. Gli infermieri rappresentano la categoria maggiormente coinvolta in fenomeni di violenza perché a diretto contatto con i pazienti e soprattutto con i familiari, i quali si trovano spesso a dover vivere situazioni complesse e prendere decisioni difficili che li potrebbero rendere vulnerabili, non coscienti di sé e privi di basilari forme di controllo, tanto da non riuscire a gestire le proprie emozioni (1). Questo non giustifica però l’aggressività nei confronti del personale che è sempre presente in prima linea per il benessere dei propri assistiti. Il rispetto del prossimo, il rispetto della dignità umana devono essere alla base di ogni rapporto per poter essere definito sano e costruttivo. Con l’utilizzo di qualsiasi forma di violenza questo presupposto viene meno rendendo complicata, se non impossibile, l’interazione infermiere-paziente. Ogni giorno troppi operatori sanitari vengono maltrattati, aggrediti, umiliati. Le conseguenze di questo fenomeno sugli infermieri diverse e di grande portata: shock, incredulità, senso di colpa, aumento dei livelli di stress, sono solo alcuni degli effetti che ciascun episodio può avere su ogni operatore coinvolto. Questi aspetti, oltre ad avere un impatto negativo sui costi della sanità pubblica e sull’efficienza organizzativa, interferiscono con l’erogazione di cure di qualità. Per fronteggiare questo problema bisogna prevenirlo a diversi livelli ed essere consapevoli che il fenomeno è in costante aumento e danneggia tutti gli infermieri (2). Stando alle stime dell’OMS il 50% degli operatori ha subito almeno un atto di violenza sul luogo di lavoro. In particolar modo, da un’ulteriore indagine sulle aggressioni al personale sanitario, eseguita dal NURSIND è emerso che su 1712 rispondenti, tra infermieri medici, ausiliari, oss e tecnici, 1568 erano infermieri, il 55% di loro è stato aggredito o ha subito minacce dagli utenti durante l’orario di lavoro. È dunque fondamentale denunciare ogni atto violento e non considerarlo come un “rischio del mestiere”. Il personale impiegato nel campo della sanità è pertanto esposto a numerosi fattori che possono arrecare danno sia diretto alla salute che al personale senso di sicurezza. Tra questi vi è il rischio di incorrere in una esperienza di violenza, che può essere costituita da un’aggressione di natura verbale e/o fisica oppure da un evento criminoso di altra natura che può portare a lesioni personali anche importanti, fino al decesso. Tuttavia, nonostante l’attualità e l’importanza del fenomeno della violenza sugli operatori non esistono molti studi che ne evidenzino le caratteristiche salienti. Questa indagine ha come obiettivo quello di portare alla luce la frequenza degli eventi aggressivi verso gli Infermieri di alcuni reparti del Presidio Ospedaliero “Vito Fazzi” di Lecce ed individuare dei piani gestionali per poter fronteggiare un’emergenza con un così elevato impatto sociale. Il presente studio analizza la percezione che, gli infermieri della struttura sopra citata, hanno del fenomeno al fine di poter evidenziare la necessità di ampliare le conoscenze e mettere in atto strategie per contenere e controllare il palesarsi di tali accadimenti.

 

MATERIALI E METODI

Per avere una visione accurata della diffusione degli eventi aggressivi in regime di assistenza sanitaria e del livello di competenza degli infermieri nella gestione di tale fenomeno, è stato somministrato un questionario. I quesiti posti comprendevano la tipologia di eventi aggressivi subiti e i possibili risvolti emotivi sugli infermieri, la consapevolezza di questi ultimi rispetto al fenomeno, la conoscenza di sistemi di denuncia, nonché la modifica di strutture ambientali per limitare la facile esposizione dei professionisti alle aggressioni da parte di pazienti e accompagnatori. Lo strumento di rilevazione si è basato su un modello di questionario già utilizzato in altri studi (3) e modificato e riadattato ai fini dell’indagine. Il questionario ha permesso la valutazione dei professionisti intervistati nelle Unità Operative del presidio ospedaliero preso in esame, e di verificare la presenza di procedure di denuncia e corsi di formazione per andare a colmare eventuali lacune per la gestione di tali avvenimenti. Il questionario è stato distribuito ad un campione di 100 infermieri operanti in varie unità operative del presidio ospedaliero analizzato, nello specifico in 4 aree: Chirurgica, Psichiatrica, Emergenza-Urgenza e Medica. Lo studio è stato effettuato dalla prima metà di Gennaio 2020 alla prima settimana di Febbraio 2020. La totalità del campione ha correttamente compilato il questionario. Il questionario è stato somministrato previa autorizzazione all’accesso ottenuta attraverso informativa inviata alla Direzione Sanitaria e al Direttore dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura. La raccolta dati è stata ottenuta mediante il questionario preceduto da una premessa atta ad informare il personale sottoposto ad indagine riguardo agli obiettivi dello studio e alla garanzia della privacy. Il questionario è composto da 28 items a risposta chiusa e aperta, formulato in maniera tale da risultare chiaro e comprensibile a tutti i professionisti coinvolti.

 

RISULTATI

Il campione di indagine è stato scelto tra gli infermieri operanti nel presidio ospedaliero di Lecce. L’età del campione da analizzato è composto da cinque fasce di età (Figura 1 e Tabella 1).

Figura 1: Fasce d’età del campione analizzato

Dai dati raccolti si evince che il campione è composto prevalentemente da infermieri tra i 41 e i 50 anni. Mentre, la percentuale più bassa degli stessi è quella compresa tra i 20 e i 25 anni. Successivamente si indaga il sesso del campione in esame (Figura 2 e Tabella 1).

 

Si può osservare come il campione sia costituito per la maggior parte (67%) da donne, con un una netta minoranza del sesso maschile (33%). In seguito, è stato richiesto il Dipartimento di appartenenza, con la possibilità di scegliere tra il settore di “Emergenza- Urgenza”, quello “Medico”, “Chirurgico”, e infine quello “Psichiatrico”. La Figura 3 e la Tabella 1, analizzano per l’appunto le varie aree di appartenenza.

Figura 3: Dipartimento di appartenenza del campione analizzato

Dai dati ottenuti si evince che il personale che si è reso disponibile a compilare i questionari opera principalmente nel settore di Emergenza- Urgenza, seguito dal settore Medico e poi, in maniera quasi equa, da quello Chirurgico e Psichiatrico.

 

Terminata la parte conoscitiva, riguardante le caratteristiche personali del professionista, si analizzano i dati riguardanti le conoscenze relative alla diffusione del fenomeno della violenza sull’operatore sanitario. Le risposte raccolte sono state analizzate sempre attraverso l’utilizzo di grafici e tabelle. Successivamente si mostrano tutti gli infermieri che hanno assistito ad atti di violenza nei confronti dei propri colleghi. (Tabella 2).

 

Tra i risultati si evince che il 12% non ha assistito ad atti di violenza nei confronti dei propri colleghi, il 4% ha assistito ad atti di violenza fisica, il 38% a violenza verbale e quasi la metà (46%) ha assistito sia ad atti di violenza fisica che verbale nei confronti di un collega. Le domande 6 (Tabella 3) e 7 (Tabella 4) sono volte a comprendere la tipologia di violenza, verbale e/o fisica, che viene perpetrata nei confronti degli infermieri, a prescindere se hanno subito o assistito ad atti di violenza. Entrambe le domande potevano avere più di una risposta.

 

Tra gli infermieri che hanno subito e assistito ad atti di violenza, la tipologia verbale maggiormente diffusa è quella delle urla e delle grida (85%), seguita con il 54% e il 51%, rispettivamente, da imprecazioni e minaccia di denunce legali. 32 degli intervistati hanno subito o assistito a minacce di violenza fisica, e 33 degli stessi, invece, a commenti sarcastici. Il 24% ha ricevuto un linguaggio volgare con riferimenti sessuali. È fondamentale evidenziare che 1 infermiere su 95 ha subito minacce con armi proprie. I dati della successiva domanda sono volti ad evidenziare le tipologie di violenza fisica più diffuse nel campione preso in esame. Come si evince dal grafico sottostante, la tipologia di violenza che viene perpetrata maggiormente nei confronti di un infermiere è lo spintone (98%), seguita dallo schiaffo con il 68% e dai graffi con il 52%. Con una percentuale inferiore, c’è il bersaglio di sputi con il 38%, il pugno con il 32%, preso a calci con il 28% e infine il morso con il 20%. Nel campione preso in esame in questa domanda nessun infermiere è stato mai accoltellato e nessuno ha mai assistito a questa tipologia di atto violento nei confronti di un proprio collega, durante la propria carriera.

 

L’obiettivo della domanda numero 8 è quello di evidenziare la percezione che hanno gli infermieri presi in esame, rispetto all’episodio di violenza perpetratosi. Nella domanda numero 8 si chiede se il fenomeno sia per loro un rischio del mestiere. I dati rilevati sono riportati nella Figura 4.

 

Dai dati emerge che l’87% degli infermieri (ben 86), tra quelli che hanno subito e/o assistito ad atti di violenza, considerano l’episodio come un rischio del mestiere, quindi vivono la violenza come un fenomeno normale, che caratterizza la propria professione. Solo 13 infermieri hanno dato una risposta negativa a tale domanda. La successiva domanda è stata somministrata per valutare la frequenza degli infermieri a corsi di formazione specifici per gestire la violenza, ed ad eventuali corsi organizzati dallo stesso dipartimento di appartenenza. Nella domanda numero 9 si chiede all’intero campione se ha mai partecipato ad un corso di formazione e se ritiene sia stato utile. (Figura 5). Come evidenzia il grafico il 71% degli infermieri, non ha mai partecipato ad un corso di formazione nonostante pensi che potrebbe essere utile. Il 17% ha partecipato e gli è stato utile, il 7% non ha mai partecipato ad un corso perché ritiene che non possa essere utile nell’atto pratico, mentre 5 infermieri su 100 hanno considerato il corso fallimentare. Nonostante la FNOPI abbia proposto da qualche anno il corso C.A.R.E. per formare gli infermieri nella gestione di episodi di violenza, molti degli stessi sottovalutano ancora l’importanza di una formazione continua in tale ambito.

 

La domanda 10 è volta a conoscere la presenza di sistemi ambientali per prevenire/gestire atti di violenza, come il vetro antiproiettile/antisfondamento, il pulsante di allarme, l’allertamento della vigilanza interna, metaldetector ecc. (Figura 6).

 

Come si può notare nel 76% dei casi, nell’ambiente lavorativo non sono presenti sistemi volti a gestire atti di violenza. Di conseguenza i lavoratori sono troppo spesso esposti alle aggressioni, senza avere una minima tutela anche ambientale. La domanda numero 11 ha come obiettivo quello di evidenziare la presenza di una scheda di segnalazione specifica per le aggressioni verbali e fisiche. (Figura 7).

 

 

Il 73% degli intervistati ha risposto che non ci sono delle schede specifiche da utilizzare per segnalare o denunciare atti di violenza subiti. Mentre il 27% ha risposto che sono presenti delle schede per segnalare l’aggressione. Dalle risposte di questi ultimi si evince che le schede che vengono utilizzate sono quelle per gli eventi avversi che vengono portate in Direzione Sanitaria. Quindi non si tratta di schede specifiche per le aggressioni, ma moduli che possono essere compilati da professionisti che hanno subito uno degli eventi presenti. Tra l’altro sono delle schede anonime, utilizzate per osservare l’andamento degli eventi avversi in azienda. Le 2 domande successive evidenziano come i professionisti sanitari, in seguito alla violenza subita, hanno deciso di agire nei confronti dell’aggressore: denunciando il fatto o scegliendo di non farlo. (Tabella 5).

 

Tra gli infermieri che hanno subito una violenza, il 45% ha dichiarato di aver segnalato l’aggressione verbalmente. Ben il 22% non ha mai segnalato un’aggressione, mentre il 13% ha chiesto un referto medico, e solo il 7% ha denunciato il fatto tramite l’INAIL. Nella casella “altro” ci sono stati degli infermieri che hanno dichiarato di avere chiamato i carabinieri, o inserito l’accaduto nella cartella infermieristica, o nelle consegne. A completamento della domanda precedente è stato chiesto ai professionisti a chi hanno segnalato l’aggressione. (Tabella 6). Come si evince dal grafico il 22% non ha segnalato a nessuno l’aggressione. Nell’84% dei casi viene segnalato all’infermiere (collega o coordinatore). Il 18% ha segnalato l’accaduto in Direzione Sanitaria, il 14% al posto fisso di polizia e infine solo il 12% ha denunciato l’accaduto all’INAIL.

 

La domanda 14 è volta a conoscere la tipologia di emozioni provate dagli infermieri in seguito all’aggressione (Tabella 7).

 

Dopo l’aggressione subita i professionisti sono stati pervasi da diverse emozioni. Nel 53% dei casi hanno dichiarato di essere nervosi, nel 29% dei casi hanno avuto bisogno di allontanarsi, nel 23% erano tristi, nell’8% dei casi si sentivano apatici e solo il 7% ha dichiarato di essere stati influenzati da questi atti. E’ fondamentale evidenziare come il 50% degli infermieri, quindi la metà del campione di riferimento, abbia dichiarato di sentirsi demotivato, subito dopo l’esperienza di violenza verbale e/o fisica. A fronte di queste emozioni, nella domanda numero 15 è stato chiesto loro se in seguito a questi episodi avessero mai desiderato lasciare la professione (Figura 8).

 

Nonostante quasi la metà degli infermieri abbia dichiarato di essere demotivato, ogni volta che hanno avuto esperienza con pazienti violenti, il 61% ha dichiarato di non aver mai pensato di lasciare la professione, mentre il 34% ha dichiarato che qualche volta ha pensato di abbandonare il proprio lavoro e addirittura c’è un 4% che ha dichiarato di voler abbandonare la propria professione ogni volta che questi episodi violenti si sono manifestati.
Nell’ultima domanda viene chiesto al professionista sanitario se pensa che gli episodi violenti possano influenzare negativamente l’assistenza infermieristica. (Figura 9).

 

Come si può evidenziare dalle risposte date, 89 infermieri su 100 pensano che le aggressioni che si presentano quotidianamente in ambiente sanitario possono influenzare negativamente l’assistenza infermieristica, mentre solo 11 ritengono che questi atti non influenzino il lavoro dell’infermiere. Al termine delle domande a risposta multipla è stato fornito uno spazio adibito ad accogliere, facoltativamente, le considerazioni dei professionisti rispetto al fenomeno della violenza contro l’operatore sanitario. La maggior parte delle risposte date dai professionisti hanno un comune denominatore: la poca tutela dell’infermiere da parte delle Istituzioni, tanto che molti evitano la denuncia perché tutto viene vanificato dalle pene non certe. Alcuni ritengono che non siano difesi dall’azienda sanitaria, si sentono soli nell’affrontare denunce e conteziosi, e pensano di essere troppo esposti a possibili ritorsioni. Gli stessi, inoltre, lamentano la mancanza di sistemi ambientali di protezione soprattutto nei reparti di degenza, nonché la poca presenza di figure di sicurezza. Per alcuni di loro è fondamentale, al fine di gestire e prevenire atti di violenza, un adeguato approccio al paziente: una comunicazione efficace e l’empatia aiutano il paziente a placare lo stato di ansia e stress emotivo e a non sentirsi abbandonati, soprattutto quando i tempi di attesa sono molto lunghi.

 

DISCUSSIONE

Lo studio effettuato è stato impostato al fine di analizzare l’incidenza del fenomeno della violenza contro gli operatori sanitari all’interno di diversi reparti del Presidio Ospedaliero Vito Fazzi di Lecce, ma è volto anche a comprendere la percezione che gli stessi infermieri hanno del fenomeno, attraverso la partecipazione a corsi di formazione specifici per la gestione di tali fenomeni. Ha anche lo scopo di evidenziare la totale assenza di schede di segnalazione per le aggressioni subite. Dall’analisi dei dati ottenuti, si può osservare come 90 infermieri su 100 hanno subito violenza fisica e/o verbale, quindi si può notare come il fenomeno della violenza sia ampiamente diffuso nei reparti presi in esame. Tra le modalità di violenza subite quelle che vengono maggiormente perpetrate sono urla e grida, imprecazioni e minacce di denunce legali, ma particolare attenzione è rivolta all’1% che ha subito minacce con armi proprie. Gli spintoni, gli schiaffi e i graffi sono le modalità di aggressione fisica più diffuse. Quindi oltre agli atti brutali di violenza, c’è stato un caso in cui l’infermiere ha rischiato la propria vita e al fine di avere una giusta percezione del fenomeno, è importante non considerarlo un rischio del mestiere, perché così facendo lo si accetta in modo passivo, senza difendersi legalmente e fisicamente. Non si può considerare la violenza sull’operatore sanitario un fenomeno che rientra nella normalità delle cose, giustificandolo quando non si dovrebbe assolutamente. Da quanto è emerso dai risultati, invece, l’87% degli intervistati ritiene l’episodio accaduto un rischio del mestiere, quindi un fenomeno abituale. Proprio per l’eccessiva frequenza di questi episodi, in tutta Italia sono stati messi in atto dei corsi di formazione specifici per le aggressioni, organizzati dalla FNOPI. Nonostante tutto dai risultati dell’indagine si evince che il 71% del campione non ha mai partecipato a corsi di formazione specifici anche se i soggetti coinvolti ritengono possano essere utili nell’atto pratico. Fa riflettere il dato secondo cui il 7% del campione ritenga che non partecipare a questi corsi sia la scelta corretta. Un dato importante è quello che si evince dalla totale mancanza, all’interno dell’azienda sanitaria oggetto dello studio, di sistemi specifici di segnalazione per gli eventi aggressivi. Gli unici moduli attraverso i quali è possibile effettuare segnalazioni alla Direzione Sanitaria sono quelli dell’Incident Reporting, ovvero quello degli eventi avversi; che, per quanto possano essere importanti, non hanno alcuna valenza giuridica per la difesa del soggetto che ha subito l’offesa. Inoltre l’Azienda sanitaria non ha provveduto a introdurre all’interno di ogni Reparto dei sistemi ambientali di difesa pertanto molte di queste aggressioni si risolvono senza alcun aiuto da parte di figure di sicurezza, e i professionisti si trovano quasi sempre soli nell’affrontare tali episodi. Un altro dato da considerare è che tra i professionisti che hanno subito un’aggressione, la metà ha segnalato solo verbalmente l’aggressione a colleghi o infermieri coordinatori, il 22% del campione non ha segnalato a nessuno l’aggressione. Come si denota, gli infermieri non sono soliti denunciare le aggressioni subite. Questi atti possono avere delle conseguenze non solo fisiche sui professionisti ma anche psicologiche: infatti, circa il 50% ha dichiarato di sentirsi demotivato, mentre il 53% degli infermieri ha affermato di essere nervoso. Questo fenomeno negli anni potrebbe portare gli stessi professionisti ad uno stress tale da desiderare di voler lasciare la professione. Dai risultati emerge che il 4% ha desiderato lasciare la professione ogni volta che questi atti si sono verificati, mentre il 34% ha dichiarato di aver desiderato qualche volta di voler lasciar la professione. In conclusione, il dato finale che emerge dai risultati è che i fenomeni di violenza danneggiano, secondo l’89% dei professionisti la qualità di assistenza al paziente.

 

CONCLUSIONI

Tenuto conto dei risultati ottenuti dallo studio effettuato, è opportuno attuare delle strategie per contenere la manifestazione quotidiana di fenomeni aggressivi. In tal senso è possibile agire su diversi fronti. Innanzitutto l’infermiere deve comprendere che l’aggressione non fa parte del proprio lavoro, ma è un comportamento da condannare e denunciare. Ci sono ancora troppi infermieri che pensano che tali fenomeni siano un “rischio del mestiere”, quindi minimizzano o giustificano degli atteggiamenti violenti. Per evitare che i professionisti continuino ad avere questa malsana cultura è opportuno formare l’operatore attraverso dei corsi specifici. Si potrebbe introdurre un seminario sin dal percorso formativo presso i Corsi di Laurea, per poi continuare la formazione durante la vita professionale dell’infermiere. Attraverso tali corsi l’infermiere non solo avrebbe una reale percezione del fenomeno, e quindi non continuerebbe a giustificare atteggiamenti aggressivi, ma saprebbe anche gestire, in termini pratici, pazienti violenti e individuare situazioni a rischio. Considerando che, dai dati ottenuti, la maggior parte degli infermieri non ha mai partecipato ad un corso di formazione, l’Azienda potrebbe proporre tali corsi ai propri lavoratori, offrendo loro la possibilità di tutelarsi. Un secondo aspetto da considerare è sicuramente quello della sicurezza sul lavoro e della presenza di sistemi ambientali volti alla gestione del fenomeno. Nell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce, il Posto Fisso di Polizia e la Security sono presenti solo all’interno del Pronto Soccorso. Inoltre bisognerebbe intervenire con l’installazione di sistemi di allarme specifici, bottoni antipanico, che creano comunicazioni dirette con la Polizia, al fine di garantire un intervento immediato. In aggiunta, si potrebbero installare dei sistemi di videosorveglianza, o dei vetri antisfondamento. Sarebbe interessante affiggere in ogni reparto, nelle sale di attesa o all’entrata, dei manifesti di campagne che sono state eseguite contro la violenza sull’operatore sanitario, in modo tale da scuotere le coscienze e sensibilizzare l’utenza ad avere rispetto per chi li cura. Infine, un ruolo di primaria importanza è dato dalla presenza di schede di segnalazione. In vista del Disegno di legge proposto (DDL 867/2018), si potrebbero introdurre delle schede di segnalazione specifiche e nominative, che non servano solo a monitorare la presenza di fenomeni aggressivi, ma soprattutto a segnalare l’aggressore alle autorità, allo scopo di garantire un più efficace livello di difesa a chi ne è stato vittima. L’infermiere dopo aver compilato la scheda, manifestando al contempo la volontà di sporgere denuncia, presenta tutta la documentazione alla Direzione Sanitaria che, in qualità di rappresentante del lavoratore, avvierà la procedura per segnalare il tutto alla Procura della Repubblica. Tale approccio non solo farebbe sentire gli infermieri maggiormente tutelati e appoggiati dall’Azienda Sanitaria, ma fungerebbe, allo stesso tempo, da ulteriore deterrente per coloro che agiscono a loro danno. Seguendo questa idea appare plausibile che coloro i quali entrano in contatto con il personale sanitario capiscano, in maniera chiara, che qualora dovessero essere protagonisti di atti di violenza nei loro confronti, saranno quasi certamente soggetti a denuncia e a processo penale. Dunque, l’insieme di queste strategie renderebbe il fenomeno più facilmente gestibile.

NOTE

  1. NURSIND: Indagine sull’aggressione sul personale sanitario, 2013.
  2. OMS: World Report on Violence and Health, 2002.
  3. ANIARTI: Questionario per l’indagine sulla Violenza verso gli infermieri di Pronto Soccorso, 2016.

BIBLIOGRAFIA

  • Riferimenti normativi
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  • Ministero della Salute: “Protocollo del Monitoraggio degli eventi sentinella”, 2009
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  • Testi, Riviste e Articoli
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SITOGRAFIA

Antonazzo

Marcello Antonazzo

Infermiere, Direzione Sanitaria Aziendale ASL Lecce, Professore a Contratto MED/45 Università degli Studi di Bari, Presidente OPI Lecce
RN, Mangement for Healthcare Professionals at ASL Lecce (Italy), Adjunct Professor at University of Bari (Italy), President of OPI Lecce (Italy)
marcelloantonazzo@libero.it
MartinaDiZazzo

Martina Di Zazzo

Infermiera, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico, Modena
RN, “Azienda Ospedaliero-Universitaria” of Modena (Italy)