Investire nella resilienza del sistema sanitario

Investing in health system resilience

 

INTRODUZIONE

Nel mese di febbraio 2023 l’OCSE ha rilasciato una ponderosa pubblicazione1 dedicata al rafforzamento della resilienza nei sistemi sanitari per far fronte a possibili shock futuri, a partire da una disamina della recente esperienza della pandemia COVID-19. La pubblicazione comprende quattordici capitoli che affrontano varie tematiche connesse all’esperienza della pandemia e alle strategie adottate, alla nozione di resilienza e alle azioni che ne rafforzano il grado, ai miglioramenti da introdurre nei sistemi sanitari.
Quanto segue affronta un aspetto cruciale che emerge dalla pubblicazione: il tema del personale sanitario. In particolare, sono stati selezionati due capitoli che, rispettivamente, guardano il primo (cap. 10) all’esperienza pregressa e agli insegnamenti che ne derivano, il secondo (cap. 14) al futuro, alle azioni da intraprendere per rendere i sistemi sanitari più resilienti.

 

Alcune evidenze
Una prima evidenza particolarmente significativa a riguardo del personale sanitario, è che già prima della pandemia le dotazioni di risorse umane variavano di molto tra i paesi OCSE: considerando i casi estremi, nel 2019 Norvegia e Svizzera mostrano una dotazione intorno a 22-23 medici ed infermieri ogni mille abitanti, mentre Turchia e Colombia meno di 5; l’Italia si colloca nella parte bassa della distribuzione, con dotazione pari a 10 per mille, di alcuni punti al di sotto della media dei 38 paesi OCSE. I diversi paesi hanno dunque affrontato l’emergenza pandemica partendo da una situazione affatto similare dal punto di vista quantitativo, senza contare che, alle differenze osservabili, fanno ragionevolmente riscontro anche diversi modelli organizzativi della sanità.
In secondo luogo, a determinare la variabilità della distribuzione delle dotazioni di ogni paese, è soprattutto il personale infermieristico, che mostra nei paesi più dotati una densità pari a 17-18 unità per mille abitanti, contro le poche unità che si contano nei paesi meno dotati. Ancora una volta, l’Italia si colloca di alcuni punti al di sotto della media OCSE, con circa 6 unità per mille abitanti.
In generale, una dotazione scarsa di personale determina pesanti condizioni di lavoro, che a loro volta favoriscono dimissioni del personale e scoraggiano nuove immissioni; si crea cioè un circolo vizioso che tende ad aggravare il problema e che rende ancora più critica la situazione qualora si tratti di affrontare uno shock sanitario.
D’altra parte, medici ed infermieri sono al cuore del sistema sanitario e svolgono un ruolo fondamentale per aumentare la resilienza del sistema sanitario. Per evitare la dispersione del personale e favorire nuove assunzioni, durante la pandemia diversi paesi hanno intrapreso azioni per migliorare le condizioni di lavoro attraverso maggiore flessibilità ed aumento delle retribuzioni; spesso ciò ha riguardato principalmente il personale infermieristico e quello di supporto.
Ovviamente, la prima strategia efficace per mitigare l’impatto della pandemia sulla mortalità è stata quella di contenere la trasmissione del virus attraverso misure di limitazione dei contatti fisici nel corso del primo anno, e di procedere a campagne vaccinali nel corso del secondo anno, quando i vaccini sono stati resi disponibili. Tuttavia, da una semplice rappresentazione grafica dei tassi di mortalità (2020 e 2021) e delle dotazioni di personale sanitario (2019) sembra anche emergere una correlazione negativa che testimonia l’importanza delle risorse umane nell’affrontare con efficacia la fase pandemica: laddove il personale è più scarso, i tassi di mortalità sono più elevati.
Il nostro Paese si connota per l’appartenenza al gruppo di quelli che mostrano una dotazione di personale sanitario inferiore e una mortalità superiore alle medie OCSE. D’altra parte, però, anche paesi sviluppati quali Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Austria e Belgio mostrano una mortalità per COVID-19 che eccede la media, pur in presenza di dotazioni di personale sanitario sopra la media OCSE. La relazione fra dotazioni e tassi di mortalità è, dunque, da trattare con cautela in quanto altri fattori, innanzitutto quelli poco prima citati, intervengono a influenzare l’intensità e gli esiti della pandemia.
Si deve comunque riconoscere che la scarsità di personale sanitario ha avuto un impatto cruciale sulla capacità di risposta del sistema sanitario. La prima ondata pandemica ha messo infatti sotto massima tensione i reparti di emergenza e di terapia intensiva, nonché il personale addetto ai test e ai servizi di tracciamento ed isolamento dei pazienti Covid postivi. Verso la fine del 2020 e per tutto il 2021, vi è stata poi un’ampia mobilitazione del personale sanitario da impiegarsi per la somministrazione dei vaccini. Nel 2022 l’OCSE ha effettuato un’indagine sulla resilienza dei sistemi sanitari dalla quale è effettivamente emerso che solo una minoranza di paesi (4 su 22) hanno dichiarato un impatto medio-basso della scarsità di personale sulla capacità di risposta allo shock pandemico, mentre 9 paesi, tra i quali l’Italia, hanno dichiarato un impatto medio e i restanti 9 paesi, tra i quali Canada, Giappone, Stati Uniti e Gran Bretagna, hanno dichiarato un impatto medio-alto o alto. Per quanto riguarda il nostro Paese, dalla stessa indagine emerge che le criticità di personale sia medico che infermieristico hanno coinvolto sia le unità di pronto soccorso sia quelle di terapia intensiva; inoltre, sono state ravvisate nella disponibilità di medici di base.

 

Le strategie usate per fronteggiare la scarsità di personale sanitario
I paesi OCSE hanno in generale usato strategie simili per aumentare la disponibilità di personale sanitario durante la fase pandemica. Innanzitutto si è trattato di lavorare di più sia aumentando gli orari di lavoro, sia incrementando i carichi di lavoro; in secondo luogo attraverso la riallocazione del personale verso le località, i servizi e le aree cliniche di maggior bisogno, e l’aggiornamento professionale per le funzioni richieste nelle aree cliniche chiave; in terzo luogo attraverso la mobilitazione di personale addizionale, riorganizzando i teams clinici per favorire la diffusione delle competenze, coinvolgendo gli studenti di medicina e delle discipline infermieristiche, convocando personale medico e infermieristico in pensione e attingendo alle riserve disponibili di personale sanitario. I paesi hanno generalmente utilizzato tutte o la maggior parte delle leve disponibili; in questo contesto l’Italia si distingue, invece, per aver prevalentemente selezionato un ridotto numero di strumenti, ovvero la riallocazione del personale sanitario dalle aree non COVID-19 alle aree cliniche chiave, il ricorso agli studenti di medicina e infermieristica, il richiamo dei medici ed infermieri pensionati, l’attingere alle riserve esistenti di personale sanitario.
Inoltre, i paesi OCSE hanno messo in atto strategie di medio periodo per incrementare il numero di medici e di infermieri nel sistema sanitario.
La prima strategia si basa sul potenziamento del sistema formativo, così da aumentare il numero di studenti e, a seguire, l’offerta di medici ed infermieri. Evidentemente si tratta di una strategia che richiede tempo, poiché passano diversi anni prima del completamento del periodo di formazione degli studenti (circa 8-12 anni per i medici, 3-5 anni per gli infermieri). Per quanto riguarda le sole scienze infermieristiche, si tratta di affrontare anche pregiudizi che ostacolano l’iscrizione agli studi di studenti di sesso maschile (“l’infermiere è un mestiere da donne”), nonché la percezione di un basso status professionale al quale si accompagnano limitate opportunità di progressione di carriera, percezione che scoraggia più in generale l’avviamento a questa professione. Aumentare la capacità di attrazione di questa professione è tuttora una sfida prioritaria.
Una seconda strategia consiste nella capacità del sistema di diminuire il tasso di abbandono della professione mediante il miglioramento delle condizioni di lavoro. Il problema dell’abbandono riguarda sia le professioni mediche, sia, soprattutto, quelle infermieristiche e quelle ausiliarie, in quanto vi è la percezione di essere sottovalutati e sottopagati a fronte del lavoro svolto, ovvero di uno sbilancio fra lo sforzo e il riconoscimento di tale impegno. Si tratta di una strategia che può produrre effetti nel breve termine e così anche contribuire ad evitare, o perlomeno attenuare, il circolo vizioso in precedenza illustrato.
La terza strategia consiste nell’aumentare la flessibilità nella produzione e distribuzione di servizi sanitari. Per esempio, durante la pandemia si è espanso il ruolo delle farmacie quali luoghi dove effettuare test e vaccinazioni; anche il personale infermieristico (particolarmente quello più professionalizzato) in diversi paesi ha ricevuto autorizzazioni in tal senso. Il potenziale di espansione dei compiti tradizionalmente riservati ai medici è considerevole, potendo riguardare anche determinati tipi di prescrizioni, consulenze, trattamenti, vaccinazioni.

 

Investimenti per il futuro
Sebbene vi sia spazio per una revisione dell’attuale spesa sanitaria per eliminare sprechi e meglio indirizzare le risorse a disposizione, gli investimenti qui delineati comportano certamente un aumento delle risorse da dedicare al sistema sanitario. Così facendo, essi renderanno i sistemi più preparati ad affrontare eventuali shocks futuri, ma anche a funzionare meglio durante i tempi “normali”.
Per l’insieme dei paesi OCSE, l’incremento di spesa per finanziare gli investimenti ammonta a circa l’1,4% del PIL 2019 e, a seconda del paese, va dallo 0,6% al 2,5%. Sommata alla spesa sanitaria contabilizzata per l’anno 2019, ciò comporta innalzare l’incidenza media della spesa sanitaria dall’8,8% al 10,1% del PIL 2019, ovvero aumentare la spesa sanitaria complessiva del 9%, pari a 627 miliardi di USD (cioè pari circa all’intera spesa farmaceutica del 2019).
Gli investimenti sono finalizzati a tre principali pilastri obiettivo: (1) proteggere la salute degli individui, (2) rafforzare le fondamenta dei sistemi sanitari, (3) sostenere il personale sanitario impiegato in prima linea per la cura delle persone.
Il primo pilastro, che comprende la prevenzione primaria e programmi per l’intera popolazione (per es. programmi vaccinali) dovrebbe ammontare allo 0,28% del PIL 2019; il secondo, che comprende investimenti in attrezzature e in sistemi informativi, dovrebbe ammontare allo 0,41% del PIL; il terzo, che comprende principalmente interventi sulla forza lavoro sanitaria, quali per esempio l’assunzione di nuovi lavoratori e l’incremento dei salari del personale infermieristico ed ausiliario, conta per lo 0,69% del PIL. Come si può notare, ben la metà delle risorse addizionali da mettere a disposizione per gli investimenti riguardano direttamente il personale sanitario, e questo dato conferma anche per il futuro quanto questo fattore sia un punto chiave ma critico nell’assicurare un maggior grado di resilienza ai sistemi sanitari.
A questo proposito, soprattutto con riferimento al nostro Paese, risulta utile approfondire un aspetto relativo alla composizione del personale sanitario. L’OCSE, sulla base di un precedente ampio e sofisticato studio pubblicato su Lancet2, utilizza distinte soglie di densità per le due professioni e, specificamente, 3,54 medici per mille abitanti e 11,45 infermieri e ostetrici per mille abitanti, soglie da ritenersi i livelli minimi da raggiungere per garantire un accesso efficace ai servizi sanitari.
Raggiungere queste soglie comporta un investimento pari allo 0,15% del PIL per quanto attiene ai medici, e pari allo 0,33% del PIL per quanto riguarda infermieri ed ostetriche; e questo a retribuzione invariata. Dunque, si registra in media una carenza, stimata complessivamente nell’ordine di 3,5 milioni di unità ovvero del 15% dell’attuale organico sanitario dei paesi OCSE. Inoltre, l’attuale maggiore divario sembra collocarsi nella componente infermieristica ed ostetrica, in quanto l’investimento richiesto è più del doppio di quello previsto per la componente medica.
A differenza dei medici, dove comunque si rilevano insufficienze per circa la metà dei paesi OCSE, la situazione della componente infermieristica ed ostetrica appare per lo più carente: solo una minoranza di paesi si collocano sopra la soglia, e la stessa media per l’insieme dei paesi è sotto la soglia designata. Il problema è dunque diffuso, nonché di una certa intensità.
A questo proposito si può anche osservare il caso dell’Italia che, mentre appare sopra la soglia per quanto attiene ai medici, si colloca decisamente sottosoglia per gli infermieri ed ostetriche. Dunque, gli investimenti nel personale sanitario coerenti con le indicazioni di questo studio dell’OCSE indicano inequivocabilmente, per il nostro Paese, la necessità di espandere significativamente le dotazioni di personale infermieristico.
Infine, riconosciuto anche un problema di basse retribuzioni per il comparto infermieristico ed ausiliario in molti paesi OCSE, si stima che procedere ad un adeguamento delle retribuzioni portando quelle inferiori pari alla media OCSE comporta un investimento nell’ordine dello 0,15% del PIL.

 

Osservazioni conclusive
Da qui, i principali messaggi proposti dal testo esaminato, ovvero che:

  • il personale sanitario svolge un ruolo cruciale nel favorire la resilienza del sistema sanitario;
  • esiste un diffuso problema di scarsità di personale, nelle professioni mediche ma soprattutto tra le professioni infermieristiche e ausiliarie;
  • nel nostro Paese tale fenomeno è considerevole;
  • i paesi europei devono impegnarsi ad allocare risorse addizionali alla spesa sanitaria in misura percepibile, in aggiunta a quelle che potrebbero derivare dalla riduzione degli sprechi;
  • è fondamentale attrarre nuove risorse umane verso le professioni sanitarie, valorizzando contestualmente anche a quelle già impiegate;
  • nel breve periodo possono essere effettuati aggiustamenti nell’organizzazione sanitaria (e a maggior ragione nel medio periodo);
  • nel medio periodo devono essere effettuati egualmente investimenti mirati a sostenere il livello di salute generale della popolazione ed investimenti a carattere infrastrutturale.

Che questo nel nostro Paese possa tradursi in realtà è questione assai complessa. L’analisi della spesa previsionale del fabbisogno sanitario nazionale indica per gli anni a venire un contenimento dei livelli, con un ridimensionamento di oltre un punto percentuale rispetto al PIL tra il 2020 e il 20253. Ciò a fronte di una spesa pubblica pro-capite che è già al di sotto del 12,5% alla media OCSE. Tuttavia, segnali di novità potrebbero venire dagli investimenti previsti dal PNRR, di poco inferiori ai 20 miliardi di euro, e dagli interventi di riorganizzazione ed innovazione ad essi preposti.
Nell’orientamento delle scelte di investimenti da attuare, non si può non tener conto del fatto che l’Italia sia, dopo il Giappone, il secondo paese più longevo al mondo (dato ante Covid), elemento che acquista ancor più rilevanza alla luce degli insufficienti capitoli di spesa inerenti ai temi qui trattati. Nello specifico, non vi è alcuna considerazione del fatto che questa longevità vada a impattare su tutte le professioni sanitarie, le quali versano già in uno stato di grave insufficienza rispetto alla domanda di bisogno assistenziale, e che questo sia un trend destinato nel tempo a peggiorare. Inoltre, anche la carenza di personale di assistenza (es. badanti) rappresenterà presto una nuova emergenza per il sistema sociosanitario.
Concludendo, sarebbe da tempo necessaria un’inversione significativa di rotta per quanto riguarda gli investimenti sul personale, che collocano l’Italia in una posizione inappropriata rispetto al reale bisogno. Questo posizionamento appare piuttosto allarmante se si considera inversamente proporzionale alle specifiche caratteristiche, e quindi necessità, del nostro Paese: invertire la polarità da inversamente a direttamente proporzionale risulta quindi essere un cammino non solo auspicabile, ma decisamente irrinunciabile.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. OECD (2023), Ready for the Next Crisis? Investing in Health System Resilience, OECD Health Policy Studies, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/1e53cf80-en.
  2. GBD 2019 Human Resources for Health Collaborators. Measuring the availability of human resources for health and its relationship to universal health coverage for 204 countries and territories from 1990 to 2019: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2019. Lancet. 2022 Jun 4;399(10341): 2129-2154. doi: 10.1016/S0140-6736(22)00532-3. Epub 2022 May 23. PMID: 35617980; PMCID: PMC9168805.
  3. Fonte DEF 2022

Ilaria Gorla

Commissione Albo Infermieri Pediatrici

Francesco Bombelli

Presidente Commissione Albo Infermieri

Daiana Campani

Commissione Albo Infermieri
Direttore Editoriale IJN
daiana.campani@opimilomb.it