05 Lug Infermiere di Famiglia e Comunità: aperta la strada a un’opportunità che potrebbe attrarre nuovi professionisti
Family and Community Nurse: an opportunity to attract new professionals
Come rendere attrattiva una professione che ha attraversato la tempesta e ne è uscita completamente inzuppata? Come richiamare i giovani e far loro comprendere il grande valore del nostro lavoro? Quel “sentirsi ed essere” infermieri, che ha caratterizzato la professione per decenni, sta vacillando sempre più, complici le montagne russe del covid (ieri eroi, oggi nessuno), i turni estenuanti e lo scarso riconoscimento professionale.
Ce lo chiediamo sinceramente, come attrarre nuove leve, sapendo che a oggi mancano all’appello 70-80 mila infermieri in tutta Italia. E che, con l’effettiva attuazione di quanto previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ne saranno necessari altri 60mila per l’attivazione delle 1.288 Case della Comunità e dei 381 Ospedali di Comunità, portando la carenza infermieristica italiana alla modica cifra di 140mila unità. Con un ritmo formativo di 15mila infermieri all’anno, probabilmente un decennio non sarà sufficiente per colmare il gap. Scacco matto.
O forse no, perché la sfida è tutta davanti ai nostri occhi. Come Ordine e come Coordinamento Lombardo stiamo infatti lavorando a ritmi serrati per dare il giusto spazio all’Infermiere di Famiglia e di Comunità, la figura che – a quanto pare – ha tutto il potenziale per rivoluzionare il sistema sanitario.
In sostanza, fornisce ai cittadini gli strumenti assistenziali utili per sostenere il peso di una malattia o di una disabilità cronica direttamente sul territorio e all’interno dell’ambiente familiare. È una figura nuova, non l’assistente di studio del medico di medicina generale, ma un professionista che insieme ad altre figure professionali forma la rete integrata territoriale e prende in carico in modo autonomo la famiglia, la collettività e il singolo.
L’Agenas specifica che l’infermiere di famiglia dovrebbe avere in carico all’incirca 2500 abitanti, il decreto ne prevede 1 per 3000. Quali che siano i numeri, attraverso i meccanismi della formazione e in particolare del master post base, molti professionisti potranno rivestire questo ruolo, lavorando in modo integrato con la componente medica e rappresentando il trait d’union con le altre figure professionali, tessendo una rete con l’ospedale e con l’assistenza domiciliare integrata.
E forse è proprio questa nuova prospettiva professionale a rappresentare un elemento potenzialmente attrattivo per le nuove generazioni. L’infermiere non più visto come un professionista “da reparto”, ma come una figura sul territorio, ad alta competenza e responsabilità, perfettamente integrato nell’equipe multidisciplinare.
Là dove è attiva, la figura dell’Infermiere di Famiglia e Comunità è ampiamente apprezzata, oltre che ritenuta utile. Ora dobbiamo trovare il modo di promuoverne un impiego più capillare all’interno dei servizi e delle strutture distrettuali (Case della Salute, domicilio, sedi ambulatoriali, sedi e articolazioni dei Comuni, luoghi di vita e socialità locale ove sia possibile agire interventi educativi, di prevenzione, cura e assistenza) e far incrociare la domanda con l’offerta, andando a sanare la carenza e rendendo la professione infermieristica una scelta elettiva per le nuove generazioni.
Ci stiamo organizzando, sarà la prossima sfida. Ci auguriamo sia un punto di svolta.
Buon lavoro,
Pasqualino D’Aloia
Pasqualino D’Aloia