Il territorio è l’ospedale del futuro

Community care is the hospital of the future

 

Ripresa e resilienza: sono le due parole del momento, che dovrebbero traghettarci a una nuova realtà “libera” dalla pandemia, per quanto ciò sarà possibile. Mentre vi scrivo, riaprono a pieno regime cinema e teatri, e anche le discoteche possono, dopo quasi due anni, tornare a suonare. La campagna vaccinale procede a ritmi serrati, mentre l’alzata di scudi dei no-vax è sempre più forte e meno giustificata.
Alcuni esperti paventano uno scenario ancora infausto nei prossimi mesi, ma l’atmosfera generale è indubbiamente di ripresa. E con questa idea io vorrei scrivervi della Missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, quella che si occupa di Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale.
Passata la tempesta, l’idea del Governo è stata quella di ridefinire le sorti della sanità italiana, puntando su alcuni elementi che si sono rivelati critici in fase emergenziale. Pur condividendo la linea di principio, come professionisti della salute dobbiamo necessariamente sottolineare alcuni elementi critici che devono trovare spazio di dibattito e soluzioni mirate.
Se è vero, infatti, che l’importanza di puntare sulla medicina del territorio è condivisibile, e che quindi altrettanto lo è l’azione del Governo, a un’attenta lettura la riforma appare criticabile a causa di una programmazione certamente poco credibile.
Pensiamo ad esempio alle 1.288 Case della Comunità che si vogliono attivare entro il 2026 in tutto il Paese, con l’obiettivo di una presa in carico di 8milioni di pazienti cronici monopatologici e 5milioni di pluripatologici. Come sarà possibile che questi luoghi diventino la casa delle cure primarie e lo strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi sanitari offerti, in particolare ai malati cronici?
Sulla carta, la Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità e altri professionisti della salute. Dovrà costituire un punto di riferimento continuativo per la popolazione, anche attraverso infrastrutture informatiche, un punto prelievi e strumentazione polispecialistica. Ma nella realtà la domanda sorge spontanea: con quali risorse? Non sto pensando tanto agli aspetti economici, che il Piano definisce seppur con una serie di limiti, ma alle risorse umane, certamente insufficienti già oggi che le Case della Comunità di fatto non esistono ancora.
Solo in Lombardia mancano 20mila infermieri, un terzo del totale della carenza nazionale e, se continueremo di questo passo, entro dieci anni tali numeri saranno più che duplicati. Le cause della carenza sono ancora tutte sul tavolo: blocco del turnover ed esiguo numero di posti nelle Università. Senza citare il fatto che la remunerazione per chi svolge la professione infermieristica è sovente inadeguata: parliamo di una media di 1.420 euro al mese, contro i 2.500 di Germania e Gran Bretagna. Decisamente non allettante.
A pagare le conseguenze della carenza sono soprattutto le strutture residenziali, quindi Rsa in primis, che non riescono a reperire il personale nemmeno con premi consistenti: gli incentivi del Governo al personale sanitario per far decollare il piano vaccinale hanno accentuato la fuga dalle strutture private.
Non si può pensare di cambiare il sistema senza cambiare i modelli. Se vogliamo che veramente ospedale e territorio riescano ad armonizzarsi nell’erogazione delle prestazioni, occorrono una riflessione più attenta e la definizione di un percorso che tenga in considerazione le conseguenze ad ampio raggio di ogni singolo elemento.
Sono anni che ci prodighiamo affinché venga effettivamente istituita la figura dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità, ma non possiamo accettare che questo passaggio avvenga a discapito dei professionisti e dei contesti in cui operano.
Continueremo a fare sentire la nostra voce, chiedendo con forza che venga definito un giusto percorso.

Buon lavoro,
Pasqualino D’Aloia

Pasqualino D’Aloia

Presidente Ordine delle Professioni Infermieristiche (OPI) di Milano, Lodi, Monza e Brianza
President of OPI in Milan, Lodi, Monza and Brianza