Ice power: quando l’ipotermia salva una vita. Una revisione della letteratura

Ice power: when hypothermia saves a life. A review of the literature

ABSTRACT

Introduzione. Gli accidenti cerebrovascolari rappresentano la terza causa di morte dopo l’infarto miocardico acuto e le neoplasie causando tra il 10 e il 12% di tutti i decessi all’anno. La tempestività d’intervento è fondamentale per un buon recupero dei possibili deficit. L’ipotermia terapeutica è ritenuta un trattamento efficace per potenziare la sopravvivenza cellulare e per preservare l’outcome neurologico. L’obiettivo dello studio è descrivere il metodo più efficace nella prevenzione e riduzione dei danni cerebrali dopo gli accidenti cerebrovascolari e la qualità di vita post-trattamento. Materiali e Metodi. È stata consultata la banca dati di Medline (Pubmed), Cinhal, Elsevier, Google Scholar. Gli articoli reperiti sono stati in totale 10. La stringa di ricerca si componeva come segue: “stroke OR acute stroke OR ischemic stroke OR brain injury OR severe brain injury AND cooling OR hypothermia OR induced hypothermia OR mild induced hypothermia AND side effects”; “stroke OR acute stroke OR ischemic stroke OR brain injury OR severe brain injury NOT haemorrhagic stroke AND cooling OR hypothermia OR induced hypothermia OR mild induced hypothermia AND side effects NOT cardiac”. Gli operatori boleani utilizzati sono stati quindi “AND”, “OR” e “NOT”. Risultati. L’ipotermia risulta essere un trattamento valido per preservare la popolazione neuronale e per ritardare il danneggiamento irreversibile della zona infartuata in corso di ischemia cerebrale. Ciò implica che il paziente risulti meno compromesso a livello cerebrale comportando l’indipendenza a livello fisico, la ripresa delle attività di vita quotidiana, lavorativa e sociale. Conclusioni. L’ipotermia terapeutica, preservando il cervello e favorendo una minor risposta di stress a livello fisico e psichico, permette un rapido recupero del paziente ed un veloce ritorno alla sua quotidianità. Alla persona viene permesso di riprendere l’attività lavorativa, ritrovando così la sua identità sociale.
Parole Chiave. Assistenza infermieristica, Outcome neurologico, Ipotermia terapeutica, Ictus ischemico.

 

ABSTRACT

Introduction. Cerebrovascular accidents represent the third leading cause of death after acute myocardial infarction and cancer causing between 10 and 12% of all deaths per year. Timeliness of intervention is essential for a good recovery of possible deficits. Therapeutic hypothermia is believed to be an effective treatment for enhancing cell survival and preserving neurological outcome. The aim of the study is to describe the most effective method in the prevention and reduction of brain damage after cerebrovascular accidents and post-treatment quality of life. Materials and Methods. The database of Medline (Pubmed), Cinhal, Elsevier, Google Scholar was consulted. A total of 10 articles were found. The search string was composed as follows: “stroke OR acute stroke OR ischemic stroke OR head trauma OR severe brain damage AND cooling OR hypothermia OR induced hypothermia OR mild induced hypothermia AND side effects”; “Stroke OR acute stroke OR ischemic stroke OR head injury OR severe brain damage NOT hemorrhagic stroke AND cooling OR hypothermia OR induced hypothermia OR mild induced hypothermia AND NON cardiac side effects”. The Boolean operators used were therefore “AND”, “OR” and “NOT”. Results. Hypothermia is a valid treatment for preserving the neuronal population and for delaying irreversible damage to the infarcted area during cerebral ischemia. This implies that the patient is less compromised at the cerebral level, resulting in independence on a physical level, the resumption of daily life, work and social activities. Conclusions. Therapeutic hypothermia, by preserving the brain and favoring a lower stress response on a physical and mental level, allows the patient to recover quickly and return to his daily life. The person is allowed to resume work, thus rediscovering his social identity. Keywords. Nursing care, Neurological outcome, Therapeutic hypothermia, Ischemic stroke.

 

INTRODUZIONE

Gli accidenti cerebrovascolari rappresentano la terza causa di morte dopo l’infarto miocardico acuto e le neoplasie e prima causa di invalidità in Italia, causando tra il 10 e il 12% di tutti i decessi mondiali all’anno con una mortalità del 20-30% a 30 giorni dall’evento e del 40-50% a distanza di un anno, mentre il 75% dei pazienti sopravvissuti presenta forme di disabilità che nella metà dei casi determina perdita dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana (1,2,3,4).
Queste drammatiche stime presentano un avvenimento che ha tutti i caratteri di un’emergenza da gestire con efficace formazione e in tempi brevissimi: essa influenza l’organismo stesso per la mancata ossigenazione cellulare che comporta interruzione del flusso ematico cerebrale con conseguenti danni ischemici agli organi e lesioni neurologiche. Ciò ha inevitabilmente determinato il ricorso a tecniche innovative che riuscissero a potenziare la sopravvivenza cellulare e a preservare l’outcome neurologico: tra queste si annovera l’ipotermia terapeutica che, attraverso le evidenze scientifiche, si sta stabilendo negli ultimi tempi in qualità di trattamento non rischioso e favorevole soprattutto per i pazienti (5).
L’ipotermia terapeutica (o indotta) si definisce come una metodica di trattamento finalizzata a prevenire e a ridurre i danni neurologici mediante l’intenzionale riduzione della temperatura corporea fino al raggiungimento di 32-34°C e a cui si ricorre quando tutte le altre misure medico-chirurgiche non abbiano portato a risultati soddisfacenti (6).
I metodi di raffreddamento possono essere suddivisi in metodi invasivi e non invasivi. Secondo la letteratura i sistemi di raffreddamento non dovrebbero essere giudicati solo per la loro velocità di refrigerazione, ma anche e soprattutto dalla capacità di mantenere la temperatura target entro un range ristretto di valori (32-34°C) e sulla capacità di riscaldare il paziente lentamente e in sicurezza (7,8).
Nella fase di mantenimento è necessario mantenere il paziente a 33°C, con un range variabile di +/- 0.2°C, per un periodo di mantenimento di 18 ore in quanto esercita il suo vantaggio neuro-protettivo dalle 8 alle 24 ore8,9. Segue la fase di riscaldamento nella quale il paziente in trattamento deve essere successivamente riscaldato in tempi specifici: il riscaldamento del paziente inizia ad una velocità di 0.5°C ogni ora con un tasso di riscaldamento tra 0.25°C e 0.5°C con uno stretto monitoraggio e per prevenire la perdita dell’equilibrio emodinamico raggiunto (9).
Tutta la gestione clinica avviene in terapia intensiva o in Stroke Unit specializzate dove, dopo aver effettuato un inquadramento anamnestico del paziente, si valutano eventuali criteri di esclusione e si procede poi all’impostazione di una sedazione profonda e ventilazione meccanica. L’assetto emodinamico viene stabilizzato e si correggono eventuali aritmie; si controllano inoltre l’eventuale insorgenza di crisi convulsive, si esegue una valutazione neurologica e clinica. Dopo la fase di riscaldamento, viene sospesa la sedazione, si esegue un’altra valutazione neurologica e si svezza a livello respiratorio il paziente (10,11).
I criteri di esclusione riguardanti questa procedura applicata all’ictus ischemico cerebrale sono i medesimi che per l’ipotermia terapeutica indotta per preservare l’attività cerebrale dopo un arresto cardiocircolatorio. Tra questi vi sono: arresto cardiocircolatorio con immediato ripristino delle funzioni cerebrali, grave infezione sistemica, lesione emorragica cerebrale, stato gravido, temperatura corporea superiore ai 30°C, trauma maggiore o ustioni estese, coagulopatia nota o sanguinamento in corso (non indotta da farmaci) (9).

Obiettivo dello studio
L’obiettivo di ricerca posto è stato quello di descrivere il metodo più efficace nella prevenzione e riduzione dei danni cerebrali in seguito ad ictus ischemico al fine di ridurre i costi umani e sociali e rendere più efficiente l’assistenza nonché nella qualità di vita post-trattamento.

 

MATERIALI E METODI

Per rispondere al quesito di ricerca è stata effettuata una revisione della letteratura internazionale sul tema dello studio. È stata consultata la banca dati di Medline (Pubmed), Cinhal, Elsevier, Google Scholar nel mese di dicembre 2018.
Le domande di ricerca sono state: ‘’Qual è il metodo più efficace nella prevenzione e riduzione dei danni cerebrali dopo l’ictus ischemico?’’, ‘’Quali sono i vantaggi dell’ipotermia terapeutica rispetto alla qualità di vita in pazienti colpiti da ictus ischemico?’’. La stringa di ricerca si componeva come segue: “stroke OR acute stroke OR ischemic stroke OR brain injury OR severe brain injury AND cooling OR hypothermia OR induced hypothermia OR mild induced hypothermia AND side effects”; “stroke OR acute stroke OR ischemic stroke OR brain injury OR severe brain injury NOT haemorrhagic stroke AND cooling OR hypothermia OR induced hypothermia OR mild induced hypothermia AND side effects NOT cardiac”. Gli operatori boleani utilizzati sono stati quindi “AND”, “OR” e “NOT”.
Per condurre la revisione della letteratura è stato costruito il seguente PICO (Patient, Intervention, Comparison, Outcome) come in Tabella I:

 

 

Criteri di inclusione degli studi

I criteri di inclusione degli studi selezionati sono stati:

  • Lingua: inglese, italiana, francese;
  • Articoli pubblicati negli ultimi dieci anni, relativi al genere umano e non agli animali;
  • Tipologia di esiti: valutazione sull’outcome neurologico, qualità assistenziale, costi;
  • Tipologia di studio: Articoli di fonti primarie, secondarie e linee guida;
  • Articoli che trattano come argomento l’ictus ischemico, accidenti cerebrali;
  • Articoli che trattano come argomento la sola ipotermia terapeutica indotta ed i suoi effetti collaterali.

 

Criteri di esclusione degli studi

I criteri di esclusione degli studi selezionati sono stati:

  • Articoli pubblicati prima del 1999;
  • Articoli redatti in qualsiasi altra lingua che non sia citata in ‘’criteri di esclusione’’;
  • Articoli che parlano unicamente di ictus emorragico;
  • Articoli che correlano l’ipotermia terapeutica indotta con arresto cardiocircolatorio;
  • Articoli che correlano l’ipotermia terapeutica e pazienti che vi vengono sottoposti dopo aver subito qualsiasi tipo di danno cardiaco;
  • Articoli che parlano di ipotermia terapeutica indotta nei neonati/bambini/adolescenti.
  • Non completati perché ancora in fase di sviluppo.

 

Gli studi sono stati valutati sulla base dei seguenti criteri:

  • Appropriatezza del disegno dello studio: Rispondente al quesito e agli esiti
  • Campione: Rappresentatività del campione
  • Intervento: Conduzione e validità dell’intervento testato
  • Esiti: Risultati finali presi in esame da uno studio
  • Analisi Statistica: Processo di valutazione critica

 

RISULTATI E DISCUSSIONE

 

Dopo aver applicato i criteri di inclusione ed esclusione, nella fase preliminare sono stati identificati 39.486 titoli (119 in PubMed, 4 in Cinhal, 3.437 in Elsevier e 42.800 in altre fonti). Sono stati esclusi 18.634 titoli per anno di pubblicazione e 16.000 per i limiti delle banche dati. I rimanenti risultati per la prima selezione sono stati 4.852, che sono stati a seguito della rimozione dei duplicati 2.042. Dei 2042 sono stati esclusi 1093 per tema non rilevante, 601 per trattamenti non inerenti al tema di ricerca e 1098 per full text non gratuito. I risultati scremati per la 2a selezione sono stati in totale 18. Dai 18 rimanenti, dopo lettura del full text presi in esame, sono stati scartati 8 poiché non inerenti ai criteri di inclusione. La procedura utilizzata nella selezione degli articoli è presentata di seguito sottoforma di un diagramma di flusso rappresentato nella Figura 1.
In tutti gli articoli presi in esame sono considerate le dimensioni riguardanti la patofisiologia, alcune scale di valutazione per l’ictus, un breve riassunto di come va ad agire il trattamento ipotermico, gli effetti benefici del trattamento e gli effetti collaterali. La maggior parte degli articoli (9) mettono in evidenza alcuni effetti benefici (ovvero la neuroprotezione). Nell’articolo di Geurts et al. (2016) viene presentato uno studio condotto su 419 pazienti con ictus ischemico in corso in cui la temperatura corporea è stata abbassata nei primi tre giorni di ricovero dall’avento ischemico; lo scopo di questo studio era quello di sviluppare un protocollo terapeutico che inducesse nei pazienti uno stato di ipotermia che fosse rapido, preciso e tollerabile in pazienti svegli e quindi non intubati. Una tabella molto interessante mostra le dimensioni della zona infartuata al momento dell’arrivo in ospedale e le misure della stessa dopo aver sottoposto i pazienti a questa tecnica: si evince che ad ogni ulteriore grado centigrado che si abbassava la temperatura corporea, le dimensioni dell’infarto cerebrale si restringevano. L’accento è posto anche sulla tempestività dell’intervento su questo tipo di casistica12. Nell’articolo di Kammersgaard et al. (2000) viene inizialmente spiegato a cosa serve indurre l’ipotermia ovvero serve come procedura neuroprottettiva per migliorare gli outcome neurologici. Spiega inoltre che nell’ictus dell’essere umano indurre una bassa temperatura a livello sistemico è associato ad un minore tasso di mortalità e a migliori outcome nei sopravvissuti appunto. Espone inoltre uno studio ove 56 pazienti sono stati trattati alcuni con il trattamento ipotermico e altri solo con coperte e flusso di aria fredda per valutare un possibile miglioramento degli outcome a livello neurologico. Dallo studio è emerso che la compromissione neurologica alla fine del trattamento è stata di 42.4 punti sulla scala SSS (Scandinavian Stroke Scale) rispetto ai 47.9 punti cui sono stati sottoposti solo ad un modesto raffreddamento. La conclusione è quindi stata che l’ipotermia terapeutica indotta aiuta a ridurre il danno neurologico in modo significativo potendo “donare” ai pazienti una migliore qualità di vita.13 Il trial portato avanti da Krieger et al. (2001) presenta uno studio effettuato su dieci pazienti in cui lo scopo è quello di confrontare gli effetti avversi in pazienti sottoposti ad ipotermia terapeutica (i casi) contro (i controlli) i quali sono pazienti sottoposti a trombolisi in corso di ictus ischemico. I risultati riportati sono rispettivamente quelli di tutti gli altri articoli: sebbene i pazienti sottoposti a raffreddamento corporeo hanno sviluppato maggiori effetti avversi rispetto a quelli sottoposti a sola trombolisi, gli outcome sono stati migliori nel gruppo dei casi14. Nel secondo trial di Geurts et al. (2017), un randomized clinical trial, uno studio citante 22 pazienti viene presentato al fine di verificare quale sia la migliore temperatura corporea da raggiungere poiché vi sia terapeuticità e dove non vi insorgano indesiderati e devastanti effetti collaterali. Diverse temperature vengono provate, 34.0 °C, 34.5 °C, 35.0 °C e la normotermia. Da ciò risulta che la temperatura migliore risulta essere 35 °C in quanto i pazienti trattati con questa soglia di freddo hanno avuto un punteggio su scala NIHSS migliore rispetto agli altri pazienti. Interessante nell’articolo è la presenza di una tabella contenente alcuni dati importanti come l’ora di inizio del trattamento, la sua durata, quanti pazienti lo hanno portato a termine, i cambiamenti di temperatura15. Schwab et al. (2001) esaltano il potenziale dell’ipotermia come trattamento in grado di ridurre il danno neurologico nell’ischemia focale. Nel loro articolo presentano uno studio effettuato su cinque pazienti con infarto cerebrale in corso. Lo scopo di questo studio era quello di verificare quali complicazioni potessero insorgere in pazienti sottoposti ad ipotermia terapeutica indotta. Gli effetti indesiderati che si sono presentati sono stati severe coagulopatie, ipotensione importante, polmonite, bradicardia, importanti sfalzi negli esami ematici, aritmie cardiache. Sebbene questo studio non avesse come focus gli effetti benefici apportati dal trattamento, dopo aver analizzato gli effetti avversi, si sono mostrati anche molti effetti positivi che sono stati misurati su scala di NIHSS, di Barthel e di Rankin. Questi pazienti hanno recuperato dai 2.9 a 3 punti (in positivo) su queste scale, ciò significa che il trattamento ipotermico ha favorito un recupero favorevole in queste persone16. Medesimo inizio si ha con l’articolo di Kollmar et al. (2009) i quali esaltano anch’essi le proprietà neuroprotettive dell’ipotermia terapeutica la quale migliora gli outcome a livello neurologico ma dopo un arresto cardiaco. Questi ipotizzano però che il trattamento possa apportare benefici anche in corso di ictus ischemico: dieci pazienti in corso di ictus ischemico acuto sono trattati con infusioni di soluzione salina fredda per ridurre la temperatura corporea. Lo scopo di questo studio è quello di verificare se si hanno maggiori benefici trattando i pazienti riducendo la loro temperatura corporea o solo eseguendo loro una trombolisi meccanica. I risultati emersi sono che il punteggio NIHSS dei pazienti trattati con soluzione salina fredda è migliorato in modo significativo rispetto al NIHSS di entrata e rispetto ai pazienti trattati solo con trombolisi meccanica. La somministrazione di infusioni di soluzioni fredda, con l’abbinamento di farmaci per trattare i brividi e senza la somministrazione di anestesia, è risultata inoltre più efficace del trattamento ipotermico con uso di anestesia. In questo articolo sono riportate inoltre due tabelle: una con i più significativi risultati di laboratorio a livello ematologico e il loro decorso all’ammissione, a 6-12 ore dall’infusione di soluzione salina fredda e al giorno dopo il trattamento e l’altra riportante il decorso dei parametri vitali, della saturazione di ossigeno, e della temperatura corporea prima di iniziare l’infusione, a 30-60-90-120-180 e 240 minuti dall’inizio dell’infusione (17). Nel secondo articolo di Schwab et al. (1998), tuttavia, le qualità dell’ipotermia terapeutica non sono per niente esaltate, ovvero viene riportato che il profondo effetto a livello di neuroprotezione apportato dal trattamento è stato abbandonato in quanto presenta numerosi effetti collaterali come tremori, bradicardia e ipotensione in quanto l’ipotermia va ad agire sulla riduzione del metabolismo cerebrale e del conseguente danno neuronale, facendo decrescere il lavoro di citochine infiammatorie in un organismo che sta attraversando un periodo di stress molto consistente: 25 pazienti in corso di ictus cerebrale ischemico acuto interessante l’arteria cerebrale media sono stati studiati per verificare quale tipo di complicazioni potessero ancora insorgere se trattati con ipotermia terapeutica. Ciò che è emerso è stato che gli outcome neurologici dei pazienti trattati sono migliorati di diversi punti da quattro a tre mesi dall’incidente cerebrovascolare. Nonostante ciò il forte innalzamento della pressione intracranica in sede di riscaldamento del corpo ha causato il decesso di undici pazienti su quattordici. Nell’articolo sono riportate due tabelle contenenti le caratteristiche di base di tutti i pazienti presi in esame con il sesso, l’età, il punteggio SSS e GCS d’inizio dall’inizio fino o al loro decesso o alla fine del trattamento. Un’ulteriore tabella riporta i valori di laboratorio quando la temperatura corporea era normale, in sede di ipotermia e dopo il riscaldamento riportando tutto il protocollo di raffreddamento, quando i pazienti si devono sottoporre al trattamento, per quanto tempo e quando devono venire riscaldati per tornare ad un livello di normotermia18. Hemmen & Lyden (2009) iniziano il loro articolo dando un piccolo accenno di come si è evoluto il trattamento ipotermico nel tempo: spiegano quali temperature target si possono raggiungere e quali si devono scegliere per ottenere risultati ben precisi e inoltre associano l’ipotermia indotta con il trattamento trombolitico riportando anch’essi l’instaurarsi di migliori outcome neurologici per i pazienti se in associazione nel trattamento dell’ictus ischemico19. Chen et al. (2016) presentano invece uno studio pilota riguardante l’infusione intra-arteriosa di soluzione salina fredda: spiegano come si compone il protocollo di infusione, ovvero quanto millilitri hanno somministrato e in quanto tempo; i pazienti trattati sono ventisette e tutti con ictus ischemico interessante i vasi sanguigni di grosso calibro. Lo scopo del loro studio riguarda il verificare la sicurezza del trattamento ipotermico in questo tipo di pazienti. I risultati derivanti sono molto positivi: la procedura cui sono stati sottoposti i ventisette pazienti è stata ben tollerata (la temperatura corporea non è stata abbassata al di sotto dei 28 °C, non è inoltre insorta nessuna complicazione grave. Questa procedura è stata utile per preservare il tessuto cerebrale della zona ischemica20. Nell’ultimo articolo preso in esame, la review di Han et al. (2015), vengono esposti in modo dettagliato il meccanismo neuroprotettivo che deriva dall’ipotermia, i diversi metodi di indurre l’ipotermia terapeutica, i fattori che ne influenzano l’efficacia e la combinazione di questa con altre terapie (21).

 

CONCLUSIONI

Il trattamento ipotermico, come ampiamente descritto in letteratura mostra essere uno strumento indispensabile per i casi sopra citati, nel ridurre il danno neurologico. L’ipotermia terapeutica, preservando il cervello e favorendo una minor risposta di stress a livello fisico e psichico, permette un rapido recupero del paziente ed un veloce ritorno alla sua quotidianità. Alla persona viene permesso di riprendere l’attività lavorativa, ritrovando così la sua identità sociale in modo tale da evitare, tra le altre cose, l’isolamento sociale. Da tale revisione, emerge altresì che l’infermiere è la persona che più sta a contatto col paziente sottoposto a ipotermia terapeutica, dalle primarie manovre rianimatorie alla conclusione del trattamento, dove l’infermiere risulta fondamentale per il monitoraggio delle funzioni vitali, il riconoscimento e la gestione di possibili complicanze, la valutazione dello stato neurologico e il sostegno bio-psicosociale dell’assistito e dei suoi familiari prendendosi cura in maniera olistica del paziente. Nel corso della stesura di tale revisione sono emerse diverse carenze fondamentali che rendono una chimera l’intero trattamento:

  1. l’assenza di protocolli operativi che permettano all’infermiere di agire in maniera autonoma e sicura nel corso dell’intero trattamento per rispondere attivamente alle esigenze del paziente;
  2. la carenza di un equipè con conoscenze e formazione adeguate all’espletamento del trattamento e di presidi idonei per l’attuazione dello stesso nelle strutture ospedaliere di tutto il territorio.

Compito di un infermiere risulta, quindi, quello di prestare la sua vicinanza attiva alla persona, di aiutarla e supervisionarla nelle attività della vita quotidiana, facendo in modo di ripotare le difficoltà riscontrate all’interno di un gruppo multiprofessionale ove, con l’aiuto di più figure professionali, possa trovare strategie ed ausili utili per farvi fronte una volta dimessa per il proprio domicilio. L’infermiere avvalendosi anche di scale di valutazione autenticate, monitora lo status sia fisico che psichico, per intervenire su tutto ciò che potrebbe ostacolare la riabilitazione del paziente e quindi la sua celere ripresa verso una qualità di vita per lui soddisfacente.

Eventuali finanziamenti
Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento.

Conflitti di interesse
Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

Risorse
Non sono state necessarie risorse per questo studio.

Approvazione etica
Non è stata necessaria l’approvazione etica per questo studio.

 

BIBLIOGRAFIA

 

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Anna Arnone

Infermiera, Dipartimento di Emergenza e Accettazione, A.O.R.N. ‘’A. Cardarelli’’, Napoli
RN, A&E Department, A.O.R.N. ‘’A. Cardarelli’’ Naples (Italy)
anna.arnone93@live.it

Alessia Costa

Infermiera, Ospedale regionale di Lugano (Svizzera)

Claudia Riccardo

Infermiera, Hesperia Hospital, Modena (Italia)

Giovanni Gioiello

Infermiere, Azienda USL Toscana Nord-Ovest, Livorno (Italia)