Governo clinico nella gestione del rischio suicidario in emergenza-urgenza: il modello ICAR2E

Governo clinico nella gestione del rischio suicidario in emergenza-urgenza: il modello ICAR2E

 

SUMMARY

Il suicidio costituisce uno dei più gravi problemi di salute pubblica nel mondo. Può essere inteso come violenza autoinflitta in cui l’individuo cerca di porre fine alla propria vita a causa di una serie di fattori legati a problemi biologici, psicologici e ambientali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riportato un aumento del 60% degli episodi di suicidio negli ultimi 45 anni. Circa 800.000 persone muoiono per suicidio ogni anno, una ogni 40 secondi. L’American College of Emergency Physicians (ACEP) e l’American Foundation for Suicide Prevention (AFSP) hanno sviluppato uno strumento guida per la prevenzione del suicidio in emergenza- urgenza, definito con l’acronimo ICAR2E. In questo contributo vengono declinate le raccomandazioni per la gestione del rischio suicidario in emergenza-urgenza secondo il modello proposto. Nel setting di cura, il giudizio clinico dovrebbe essere supportato da adeguati e validati strumenti di screening ed identificazione precoce del livello di rischio suicidario, come Nurses’ Global Assessment Suicide Risk (NGASR-ita). Interventi educativi per problem solving o brevi contatti post-dimissivi, programmati in follow-up di salute mentale entro 24 ore dalla dimissione, fornirebbero agli assistiti adeguate risorse e strategie di coping da utilizzare prima, durante e dopo una crisi suicidaria.

 

INTRODUZIONE

Il suicidio è un problema di grande gravità per la salute pubblica in tutto il mondo. Può essere inteso come violenza autoinflitta in cui l’individuo cerca di porre fine alla propria vita a causa di una serie di fattori legati a problemi biologici, psicologici e ambientali (Andreotti et al., 2020). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riportato un aumento del 60% degli episodi di suicidio negli ultimi 45 anni. Circa 800.000 persone muoiono per suicidio ogni anno, una ogni 40 secondi (OMS, 2018). La riammissione anticipata in ospedale, definita come il re-ricovero da 30 giorni a 1 anno per disturbi mentali, unita ad un aumento del rischio suicidario dopo la dimissione ospedaliera, rappresentano serie preoccupazioni per i servizi sanitari (Horowitz et al., 2013). L’individuazione precoce e multidimensionale di pensieri, emozioni e comportamenti predittivi suicidari, risultano fondamentali nell’identificare le persone ad alto rischio nei contesti di cura. Il suicidio è considerato un argomento complesso e un fenomeno multifattoriale che può essere premeditato da un individuo anche in ospedale, dove vi è una cultura alla sicurezza. Tuttavia, quando un episodio di suicidio si verifica all’interno dell’ambiente ospedaliero, le sue conseguenze ricadono, oltre alla vittima e alla sua famiglia, anche sugli operatori sanitari.
Un’efficace prevenzione del suicidio in ambito sanitario richiede un approccio globale che comprenda più livelli del sistema sanitario. I dipartimenti di emergenza rappresentano una componente fondamentale data la loro posizione di collegamento tra le risorse territoriali ed ospedaliere. La maggior parte delle persone in crisi acuta e a rischio di suicidio viene inviata ad un dipartimento di emergenza per una prima valutazione (Wilson et al., 2020). Ogni anno, solo negli Stati Uniti, circa 650.000 visite al Pronto Soccorso sono correlate a condotte suicidarie. Questi numeri rappresentano una sottostima dei pazienti a rischio di suicidio, poiché la valutazione tramite screening non è ancora prassi di routine nella maggior parte delle strutture ospedaliere. Molti pazienti valutati per ideazione o tentativi suicidari vengono dimessi a domicilio; pertanto, risulta determinante valutare il rischio per poter pianificare cure appropriate. Inoltre, l’assistenza risulta molto impegnativa, soprattutto nei dipartimenti di emergenza, o più in generale negli ambienti di cura dove non è presente un accesso tempestivo a specialisti di salute mentale.

Gestione del Rischio suicidario in emergenza-urgenza: il modello ICAR2E
L’American College of Emergency Physicians (ACEP) e l’American Foundation for Suicide Prevention (AFSP) hanno istituito un gruppo di ricerca per creare uno strumento guida nella prevenzione del suicidio, di facile utilizzo per gli operatori sanitari, definito con l’acronimo ICAR2E (Wilson et al., 2020). Gli autori, partendo da una revisione sistematica della letteratura hanno raccolto evidenze (secondo livelli di classificazione ACEP) che hanno permesso di declinare le prove in raccomandazioni, attraverso sequenza ICAR2E (Identify suicide risk-Communicate-Assess for life threats and ensure safety-Risk assessment, Reduce the risk and Extend care) di seguito riportata:

I: Identificare il rischio di suicidio nel pronto soccorso (Livello evidenza: B)
I pazienti che si presentano al Pronto Soccorso dovrebbero essere sottoposti a screening per l’ideazione suicidaria. Almeno l’8% dei pazienti suicidi non rivela l’ideazione se non accertato tramite intervista. Gli autori hanno evidenziato che circa il 70% dei pazienti che stavano pianificando il suicidio non sono stati individuati dal personale sanitario ad accertamento iniziale. Il 6% di questi pazienti hanno successivamente tentato il suicidio entro 45 giorni dalla visita. Ciò suggerisce che lo screening al triage rappresenta un modo efficace per identificare i pazienti che non sono a rischio di suicidio. Questi risultati sono coerenti con le attuali linee guida della Joint Commission (JCAHO, 2019), secondo cui risulta prescrittivo sottoporre i pazienti con disturbi comportamentali a screening per il rischio di suicidio e valutare successivamente il livello di rischio quando è presente l’intenzione suicidaria.

C: Comunicare con il paziente (Livello evidenza: C)
Alcuni assistiti non sono a proprio agio nel parlare di problemi di salute mentale o di rischio di suicidio, mentre altri possono sentirsi sollevati nell’essere intervistati. Gli operatori sanitari devono creare un ambiente sicuro e confortevole per i pazienti. In uno studio di classe X (Kemball et al., 2008), ai pazienti è stato chiesto di completare una survey sui loro pensieri suicidi mentre erano in sala d’attesa. È emerso che solo il 25% dei pazienti che hanno riferito ideazioni suicidarie hanno effettivamente comunicato tale condizione al proprio medico curante. Ciò indica che molti pazienti non esprimono i propri pensieri suicidi senza ricevere domande dirette o che esplorino eventuali condizioni di disagio. In tal senso gli operatori devono creare un luogo emotivamente sicuro in cui i pazienti possano comunicare apertamente ricevendo empatia e rispetto. Può essere utile “normalizzare” la condizione, spiegando che la salute mentale è un tipo di problema di salute pubblica causato da fattori di stress nella vita. Ricreare un ambiente con luminosità soffusa, offrire semplici attenzioni come una coperta se si ha freddo o del cibo se si ha fame, possono aiutare nel fornire conforto. In sintesi, la creazione di un ambiente che favorisca la comunicazione con il paziente è raccomandata come parte essenziale dell’assistenza.

A: Valutare le minacce di vita e garantire la sicurezza ambientale (Livello evidenza: C)
I pazienti con ideazione suicidaria devono essere sottoposti a un’anamnesi e ad un esame fisico completi, con ulteriori esami di laboratorio per valutare l’eventuale presenza di rischi per la vita. I pazienti devono essere collocati in un ambiente sicuro considerando i mezzi potenzialmente dannosi. Inoltre, coerentemente con questa raccomandazione, la Joint Commission richiede attualmente che tutti gli oggetti mobili utilizzati in potenziali atti di autolesionismo siano rimossi dall’area dei pazienti e siano evidenti protocolli di monitoraggio sia durante il ricovero che nella transizione tra aree di assistenza in ospedale (JCAHO, 2019). Inoltre, l’analisi degli stakeholder ha identificato i possibili danni psicologici per i pazienti che non possono interagire con la famiglia o gli amici. Pertanto, la necessità di ambienti sicuri deve essere bilanciata in considerazione dei diritti e del comfort dei pazienti.

R: Valutazione del rischio di suicidio (Livello evidenza: A e B)
Tutti i pazienti identificati come a rischio di suicidio dovrebbero ricevere una valutazione del rischio suicidario. Gli operatori sanitari dovrebbero considerare sia i fattori di rischio che quelli protettivi per valutare l’attuale rischio di suicidio del paziente (Livello B). Sebbene gli strumenti di screening standardizzati possano essere utili per guidare un accertamento, gli stessi non dovrebbero essere utilizzati per determinare il livello di rischio senza accertamento anamnestico clinico e sociale. La determinazione dei fattori di rischio e dei fattori protettivi rappresenta il metodo tradizionale per valutare il rischio di suicidio. Abuso di sostanze stupefacenti, condizioni cliniche precarie, stress, disturbi dell’umore, ansia, accesso a mezzi letali e isolamento rappresentano fattori di rischio che possono essere gestiti in presenza di un supporto psichiatrico, comunitario e familiare e con una buona pianificazione assistenziale. In tali termini i professionisti sanitari, tramite strumenti validati per l’identificazione del rischio, possono intercettare i fattori di rischio che non sono immediatamente evidenti all’interno di un accertamento mirato e completo.

R: Ridurre il rischio di suicidio (Livello evidenza: C)
Le istituzioni e i professionisti sanitari devono stabilire un piano di sicurezza con gli assistiti che vengono dimessi. Gli operatori devono fornire consulenza sui mezzi letali, farmacoterapie e proporre ricovero ospedaliero per quelle persone che potrebbero tentare il suicidio, che non collaborano con la pianificazione della sicurezza o per i quali la gestione ambulatoriale non è un’alternativa possibile. I pazienti con ideazione suicidaria che stanno per essere dimessi dovrebbero essere sottoposti ad un processo di pianificazione della dimissione che affronta condizioni ad alto rischio come i disturbi da uso di sostanze o condizioni psichiatriche sottostanti. Molti pazienti che si presentano con pensieri di autolesionismo vengono dimessi dal Pronto Soccorso. L’intervento di pianificazione della sicurezza è un processo collaborativo in cui l’operatore collabora con il paziente per pianificare interventi volti a prevenire o trattare l’ingravescenza di condizioni a rischio. La pianificazione dovrebbe includere strategie di coping, contatti con persone di fiducia, consueling telefonico e risorse comunitarie. Uno studio condotto da Stanley et al. (2018) ha evidenziato una riduzione di ideazione, tentativi e decessi per suicidio quando l’intervento di pianificazione della sicurezza era accompagnato da almeno due interventi educativi con mezzo telefonico dopo la dimissione. L’impegno di familiari o amici fidati può essere una componente al supporto per la pianificazione della dimissione. Questo presuppone lo sviluppo di un piano di sicurezza e di sostegno. Il piano prevede, in fase dimissiva, l’utilizzo di consulenze specifiche volte a ridurre il rischio di autolesionismo imminente. Le crisi suicidarie sono spesso acute e di breve durata e la disponibilità di mezzi autolesionistici può influenzare il metodo scelto e conseguentemente la sua letalità, determinando la sopravvivenza complessiva. Le azioni per ridurre l’accesso ai mezzi letali includono l’allontanamento temporaneo di questi mezzi dall’abitazione o la loro conservazione sicura in casa. L’adesione a questa raccomandazione pratica è in genere scarsa. In uno studio di Betz et al. (2016) è stato riscontrato che il 50% dei pazienti dimessi a domicilio non aveva una valutazione documentata dei mezzi letali. In considerazione di ciò dovrebbe essere condotta e documentata una valutazione sull’accesso ai mezzi letali per eventuali limitazioni domiciliari, quale esito determinante per la sicurezza dell’assistito.

E: Estendere la cura in transizione di cura (Livello evidenza: B)
Un breve intervento al ricovero accompagnato da contatti di follow-up, definiti “contatti di cura”, determina un minor numero di tentativi e decessi per suicidio. Fino al 17% dei pazienti tenta nuovamente il suicidio entro 6-12 mesi dalla dimissione, con il rischio più elevato entro le prime quattro settimane. Vi è evidenza che la comunicazione, estesa in varie forme dopo la dimissione, aiuta a mitigare questo rischio. Vi sono varie forme di contatto, tra cui invio di lettere, telefonate, comunicazioni mail/social e visite di persona. In uno studio di Carter et al (2007) il rischio di ripetere il tentativo di suicidio post-dimissione è risultato inferiore di circa il 50% nel gruppo di contatto con invio di lettere, rispetto al gruppo di controllo.

Implicazioni per la pratica clinica e la ricerca
L’applicazione del modello ICAR2E consente un’identificazione precoce, sicura ed efficace del rischio suicidario nella fase di accertamento clinico al ricovero in pronto soccorso e nella transizione di cura. Il giudizio clinico dovrebbe essere inoltre supportato da adeguati strumenti di screening e identificazione del livello di rischio suicidario. Gli strumenti di screening dovrebbero inoltre essere di facile accessibilità e somministrazione, auto esplicativi e senza la necessità di una formazione troppo specifica per una loro interpretazione. L’Assessment Suicide Risk Nurses’ Global (NGASR-ita) ad esempio, è uno strumento validato in lingua italiana con significativa sensibilità, specificità e valore predittivo (Ferrara et al., 2019). Lo strumento è stato costruito per determinare un livello di rischio suicidario, ma può anche essere utilizzato come strumento di screening nell’identificazione dei pazienti che necessitano di ulteriori rivalutazioni cliniche. Come ampiamente documentato, le strategie di prevenzione del suicidio possono includere approcci comunitari, di educazione alla salute, psicoterapeutici, farmacologici o combinati. Una recente meta-analisi (Hofstra et al., 2020) ha determinato dimensioni ed effetti degli interventi di prevenzione suicidaria, includendo interventi multicomponenti ed eventuali effetti sinergici. Nell’analisi sono stati considerati diversi livelli di intervento preventivo: Brief Intervention and Contact (BIC) quale approccio per brevi contatti post-dimissivi, OPAC (approccio per problem solving) e BCTB (approccio cognitivo-comportamentale). Gli interventi sono stati declinati in numerosi setting di cura: comunità, pronto soccorso, ambulatori e degenze di salute mentale. Su un totale di sedici studi condotti tra il 2011 ed il 2017 con 252.932 partecipanti, è emerso che gli interventi di prevenzione del suicidio risultano efficaci (p <,004). Per quanto riguarda l’effetto sinergico degli interventi, la meta-analisi ha mostrato un effetto significativamente più elevato legato al numero di interventi (p = .032). Vi sarebbe inoltre sinergismo tra interventi, con un effetto combinato, maggiore della somma dei singoli effetti. Anche se non vi sono ancora prove dirette di sinergismo, i risultati sono promettenti e la ricerca futura dovrebbe esplorarne l’efficacia in contesti clinici, sociali ed ambientali differenti (Hofstra et al., 2020). In particolare, sono necessari ulteriori dati su quali caratteristiche possono contribuire a rendere più o meno efficace un intervento in un determinato contesto clinico. Come evidenziato nelle meta-analisi (Hofstra et al., 2020; Wilson et al., 2020), brevi interventi educativi, programmati in follow-up di salute mentale entro 24 ore dalla dimissione, fornirebbero agli assistiti adeguate risorse e strategie di coping da utilizzare prima, durante e dopo una crisi suicidaria. Ad oggi, visto il gravoso impatto sociale, economico ed assistenziale degli eventi suicidari, risulta imprescindibile una valutazione olistica che comprenda un ampio ventaglio dei bisogni degli assistiti e le cause dell’ideazione suicidaria per una sua precoce individuazione e gestione clinica.

 

CONFLITTO DI INTERESSI

Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

 

FINANZIAMENTI

L’autore dichiara di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

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Alessio Pesce

RN, MSN Dipartimento di Medicina Interna, ASL2 Savonese, Albenga
Referente Qualità, Accreditamento e Rischio Clinico S.C. Medicina Interna 2 – ASL2 Liguria
al.pesce@asl2.liguria.it

Chiara Attanasio

Ospedale Santa Maria Misericordia, ASL2 – Azienda Sociosanitaria Ligure
c.attanasio@asl2.liguria.it