Gli homeless e l’emergenza sanitaria Covid19: problemi e bisogni di assistenza infermieristica

Homelesses and the Covid19 health emergency: nursing problems and needs

 

RIASSUNTO

Introduzione. In una situazione di pandemia di Covid19 si ritiene che le persone senza dimora siano una categoria a rischio. La possibilità di diffusione di malattie in questo tipo di comunità è elevata in quanto vivono in condizioni abitative inadeguate, in spazi spesso ristretti e sovraffollati, con difficoltà di accesso alle cure igieniche, con condivisione di oggetti e mancanza di strutture sanitarie adeguate. Scopo. Descrivere quali sono i problemi di salute e i bisogni di assistenza infermieristica che le persone senza fissa dimora affrontano nell’attuale situazione di emergenza sanitaria causata da CoVid19. Materiali e metodi. Sono state costruite e somministrate due interviste semi strutturate a due coordinatori infermieristici della Fondazione Progetto Arca di Milano. Risultati. Le strutture si sono trovate in difficoltà per mancanza di aiuti da parte di altre associazioni presenti sul territorio di Milano. Tra gli interventi attuati si evidenzia che il ruolo educativo svolto dai professionisti e in particolar modo dall’infermiere abbia avuto un ruolo importante nel contenimento del fenomeno, sia sul territorio che in struttura. Conclusione. I problemi di salute e i bisogni delle persone senza dimora si sono aggravati durante la situazione di emergenza sanitaria. Le attività svolte dalle associazioni sono riuscite, per la maggior parte, a tutelare le persone senza dimora ed evitare che la loro condizione potesse peggiorare ulteriormente. Parole chiave. Homeless, novel coronavirus, risk factors, nursing role, nurse patients relations, homeless persons.

 

ABSTRACT

Introduction. In a CoVid19 pandemic situation, homeless people are believed to be a category at risk. The possibility of spreading diseases in this type of community is high as they live in inadequate housing conditions, in often confined and overcrowded spaces, with difficulties in accessing hygiene care, with sharing of objects and lack of adequate health facilities. Objective. Describe the health problems and nursing care needs that homeless people face in the current health emergency situation caused by CoVid19. Materials and methods. Initially, a bibliographic search was conducted by consulting various databases (PubMed, Cinahl, Embase, Ovid Emcare, Scopus). Subsequently, two semi-structured interviews were constructed and administered to the two nursing coordinators, one from the street unit and one from the reception center, of the Fondazione Progetto Arca in Milan. Outcomes. From the two interviews carried out it emerged that the structures found themselves in difficulty due to lack of help from other associations. Among the interventions implemented, it should be noted that the educational role played by professionals and by the nurses has played an important role in containing the phenomenon, both on the territory and in the structure. Conclusion. The health problems and needs of homeless people worsened during the health emergency situation. The activities carried out by the associations have managed, for the most part, to protect homeless people and prevent their condition from worsening further. Key words. Homeless, novel coronavirus, risk factors, nursing role, nurse patients relations, homeless persons.

 

INTRODUZIONE

Gli homeless sono persone che si trovano in uno stato di materiale e immateriale povertà, correlata alla privazione di un’abitazione e all’impossibilità e/o incapacità di trovare, mantenere e gestire una casa in modo indipendente. (Spinnewijn et al., 2015)
La classificazione ETHOS (European Typology of Homelessness and Housing Exclusion), sviluppata nel 2015 da FEANTSA fa rientrare nella definizione di homeless tutte le persone che vivono in spazi pubblici, dormitori notturni, rifugi per senza dimora e alloggi temporanei. Viene escluso chiunque viva in situazioni di affollamento, riceva ospitalità da amici o parenti, viva in centri di accoglienza situati in città. (Spinnewijn et al., 2015).
Come riportato dalla Federazione Italiana Organismi per la Persone Senza Dimora (Fio.PSD, 2015), ETHOS rappresenta un punto di riferimento condiviso a livello internazionale. Tale classificazione si basa sull’elemento oggettivo della disponibilità o meno di un alloggio e del tipo di alloggio di cui si dispone. La classificazione si pone come obiettivo quello di far conoscere in modo chiaro e preciso quali siano i percorsi che portano all’esclusione abitativa. Un ulteriore obiettivo è rendere questa classificazione applicabile in tutto il territorio europeo; purtroppo non riesce a tener conto delle differenze culturali e ambientali specifiche di ogni territorio.
I motivi che possono portare queste persone a vivere in strada sono diversi: problemi economici come la perdita del lavoro, problemi familiari come un divorzio o la perdita del partner, problemi derivanti da dipendenze da alcool e/o sostanze stupefacenti oppure problemi di salute mentale.
Vivere in condizioni disagiate può portare a conseguenze negative sulla salute delle persone senza dimora, come la comparsa di patologie che si presentano anni prima rispetto al resto della popolazione, alti tassi di mortalità; in media i segni dell’invecchiamento si presentano 15 anni prima nei senza dimora, rispetto alle persone che conducono una vita regolare. (Annovi, 2014).
Da un’analisi dei Bisogni di Assistenza Infermieristica (BAI), utilizzando come teoria il Modello delle prestazioni Infermieristiche (MPI), vengono evidenziati, come maggiormente riscontrati, nella popolazione homeless i seguenti bisogni: procedure diagnostiche, procedure terapeutiche (somministrazione della terapia orale), interazione nella comunicazione, respirare, mantenere la funzione cardiocircolatoria, alimentarsi e idratarsi, igiene (con necessità di medicazioni di varia complessità), sonno e riposo, ambiente sicuro. (Danci et al., 2020).
Il 31 dicembre 2019 la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan (Cina) ha segnalato all’Organizzazione Mondiale della Sanità un cluster di casi di polmonite a eziologia ignota nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. Il 9 gennaio 2020, il CDC cinese ha riferito che è stato identificato un nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) come agente causale della malattia respiratoria poi denominata CoVid19. Il 30 gennaio l’OMS ha dichiarato l’epidemia di Coronavirus in Cina Emergenza internazionale di salute pubblica. Il nuovo coronavirus (il cui nome scientifico è SARS-CoV-2), è un virus a RNA rivestito da un capside e da un peri-capside attraversato da strutture glicoproteiche che gli conferiscono il tipico aspetto “a corona”. (Ministero della salute, 2020).
La diffusione di questo virus avviene principalmente attraverso il tratto respiratorio, più precisamente attraverso l’emissione di goccioline di saliva (droplets) e secrezioni respiratorie e il contatto diretto con una persona infetta o oggetti contaminati. L’incubazione varia da un periodo di 1-14 giorni (con una media di 5-6 giorni), durante il quale la persona è contagiosa e quindi può trasmettere l’infezione. (Guo et al., 2020).
I sintomi più comuni nella fase iniziale della malattia sono febbre, tosse, affaticamento e dolori muscolari (segni che possono essere confusi con l’influenza stagionale). Sintomi meno comuni sono produzione di espettorato, cefalea, emottisi e diarrea. Con il proseguire della malattia si può presentare dispnea, più o meno grave. (Huang et al., 2020).
La gravità dei sintomi cambia in relazione alle diverse caratteristiche delle persone. Con l’aumentare dell’età vi è un aumento delle complicazioni ed un più elevato tasso di mortalità. Vi è un aumento della gravità e dell’incidenza della dispnea e ciò ha portato alla necessità di maggiori ricoveri in terapia intensiva. Una maggioranza delle persone che necessitano il ricovero e le cure in terapia intensiva oltre ad avere un’età elevata presentano anche comorbidità, le più comuni sono: malattie cardiovascolari, ipertensione arteriosa, diabete mellito, broncopneumopatia cronico ostruttiva, tumori maligni e patologie croniche del fegato (cirrosi ed epatite). (Zhao et al., 2020).
In considerazione della situazione di emergenza sanitaria causata dalla pandemia di CoVid19, le persone senza dimora sono più suscettibili a contrarre la malattia anche a causa di spazi ristretti, condivisione di oggetti e/o mancanza di strutture sanitarie adeguate. Inoltre, come ormai è noto, una delle misure preventive, semplice ed efficace, per prevenire la trasmissione del nuovo coronavirus risulta essere l’igiene delle mani; inoltre, altro aspetto importante è il rispetto del distanziamento sociale che, per persone che vivono in rifugi o per strada sono regole quasi impossibili da rispettare.
Molte persone senza dimora non vivono in rifugi ma dormono all’aperto (parchi, stazioni); sono quindi luoghi in cui, se una persona ha contratto CoVid19, la stessa può contaminare porte, sedie o altri oggetti dando la possibilità di diffondere l’infezione (Lima et al., 2020).
La situazione di emergenza sanitaria ha inoltre aumentato il numero di persone che vivono in una condizione abitativa inadeguata. Il motivo principale di questo aumento è stato la perdita del posto di lavoro che ha portato ad alti tassi di disoccupazione e a delle gravi difficoltà economiche nelle famiglie a basso reddito. La conseguenza di questa situazione è che sono aumentati gli sfratti e quindi le persone hanno dovuto trovare alternative per quanto riguarda l’abitazione (rifugi, alloggi d’emergenza, strada). (Benfer et al., 2021).
Una condizione, che rende maggiormente a rischio le persone senza dimora, è l’elevato tasso di portatori asintomatici della patologia CoVid19, i quali sono caratterizzati dall’assenza di sintomi ma hanno la stessa infettività delle persone sintomatiche. Questa caratteristica riguarda tutta la popolazione, ma nelle persone che vivono in ambienti vulnerabili (rifugi, strada, alloggi affollati) può portare a conseguenze negative sulla salute individuale e pubblica. Non poter identificare per tempo la patologia, e quindi isolare i casi positivi ma asintomatici, comporta un aumento della trasmissione del virus e la creazione di focolai all’interno dei rifugi. (Ralli et al., 2020).
Durante la prima fase della pandemia (marzo-giugno 2020) la rete dei servizi, fornita dal terzo settore, solitamente presente sul territorio ha fermato la sua attività, quindi oltre ai centri di accoglienza chiusi, sono stati ridotti i servizi territoriali. (Spinnewijn et al., 2020).
Con il proseguire dell’emergenza sanitaria causata da CoVid19, le associazioni che si occupano di fornire assistenza alle persone senza dimora hanno dovuto modificare i loro servizi per adeguarsi alla nuova situazione.
Le maggiori criticità evidenziate dalle associazioni sono state: gli ingressi contingentati, la disponibilità ridotta dei dispositivi di protezione individuale (DPI), l’insufficienza degli spazi, l’indisponibilità di luoghi per isolamenti e quarantene, la sospensione dei percorsi di inclusione e inserimento lavorativo. Per questo motivo le esigenze principali sono state: mettere in sicurezza le persone presenti stabilmente nei servizi o che facevano accesso agli stessi, fornendo DPI e informare, sensibilizzare, orientare le persone su quanto stava accadendo e cercare di far accettare loro un cambiamento nelle abitudini. (Fio.PSD, 2020b).

 

SCOPO

Indagare quali sono stati i problemi di salute e i bisogni di assistenza infermieristica che le persone senza dimora hanno affrontato nella situazione di emergenza sanitaria causata da CoVid19 e quali le strategie adottate dagli infermieri presenti all’interno delle equipe, di un’associazione del milanese, per il contenimento del fenomeno.

 

MATERIALI E METODI

Disegno dello studio
Studio qualitativo.

Contesto di indagine
L’indagine è stata svolta presso la Fondazione Progetto Arca di Milano. Durante la pandemia di CoVid19, nel periodo da marzo a luglio 2020, la Fondazione ha svolto attività mirate alla gestione e al contenimento della trasmissione del virus, sia sul territorio (unità di strada) che in struttura (centro di accoglienza/dormitorio).
Fondazione Progetto Arca di Milano è una struttura che accoglie e fornisce assistenza alle persone in situazione di fragilità. Nasce nel 1994 a Milano, con l’apertura di un centro di accoglienza residenziale per persone senza dimora con problematiche di dipendenza.
Negli anni ha ampliato i servizi offerti alle persone in condizioni di fragilità, e ad oggi offre assistenza a persone senza dimora attraverso vari servizi, aperti 24 ore su 24, tra cui il Centro Post Acute per Homeless, in cui sono presenti 20 posti letto e opera un’equipe di professionisti multidisciplinare; il reparto di degenza infermieristica (Post-Post acute), dove vengono accolte 20 persone che sono in una condizione di fragilità sanitaria e che necessitano di cure per completare il percorso di riabilitazione; le unità di strada che sono attive tutto l’anno e sono il primo aiuto concreto che una persona senza dimora può incontrare; il centro di accoglienza per senza dimora (dormitorio) che offre 300 posti letto ed è attivo 24 ore su 24 a persone con importanti problematiche sanitarie, dipendenze, fragilità psicologiche o malattia mentale. Il percorso di accoglienza della persona senza dimora, che proviene dall’ospedale, prevede una permanenza in Post acute. Dopo la dimissione, se necessita ancora di assistenza infermieristica, avviene il passaggio in Post-Post acute. Successivamente le possibilità sono: essere ammesso in dormitorio, tornare in strada o andare in appartamenti messi a disposizione dal comune. Da questo percorso rimane però esclusa una parte di popolazione che vive in strada. Per questo è nato il servizio delle unità di strada. In questo modo i professionisti che operano in unità di strada possono incontrare le persone sul loro territorio e identificare i bisogni di questa parte della popolazione; successivamente possono indirizzarli verso il servizio più adatto a loro. La presenza dell’infermiere è fondamentale in quanto riconosce il bisogno e garantisce la successiva presa in cura della persona.

Campione di indagine
La maggior parte degli articoli reperiti riguardano il contesto estero (americano, inglese). Nel contesto italiano, nella prima ricerca svolta a giugno-agosto 2020 sono stati trovati due articoli, che trattano delle ipotesi di gestione della pandemia per le persone senza dimora ma non di interventi messi in atto. Nella seconda ricerca svolta a gennaio è stato trovato un articolo che tratta degli interventi e misure attuate dai servizi per tutelare e gestire le persone senza dimora nella situazione di emergenza sanitaria di CoVid19.
Si è quindi deciso di svolgere un’indagine presso la Fondazione Progetto Arca per conoscere e identificare i problemi di salute, i bisogni e gli interventi svolti, più precisamente, nella città di Milano. Il motivo di questa scelta è che durante la pandemia nel periodo da marzo a luglio 2020, la Fondazione ha svolto attività mirate alla gestione e al contenimento della trasmissione del virus, sia sul territorio (unità di strada) che in struttura (centro di accoglienza/dormitorio).
Il campionamento è stato rivolto a due coordinatori infermieristici che hanno svolto servizio in unità di strada e in centro di accoglienza durante il periodo della prima ondata (marzo-luglio 2020). Sono stati scelti in quanto esperti dell’argomento.
Attraverso due interviste semi strutturate verranno descritte se e come le varie misure adottate, sia nelle strutture che sul territorio, hanno ridotto la trasmissione del virus e come l’assistenza infermieristica ha permesso il contenimento della diffusione dell’infezione. Si analizzeranno inoltre i dati di prevalenza della malattia di CoVid-19 rispetto alle persone ricoverate in strutture e le persone che sono rimaste in strada durante l’emergenza sanitaria.

Raccolta dati
Le interviste sono state condotte a novembre e dicembre 2020, da remoto tramite piattaforma Skype, in modo da rispettare le disposizioni che vietano spostamenti ed assembramenti non strettamente necessari.

Considerazioni etiche
Sono state inoltre svolte in modo individuale, previo consenso degli intervistati ed è stato garantito l’anonimato.

Strumento di indagine
Per arrivare alla costruzione delle interviste semi-strutturate sono stati letti ed utilizzati due lavori precedenti svolti sull’argomento (Danci et al., 2020 e Zrouki et al., 2017), oltre ai temi emersi dagli articoli reperiti in letteratura.
Entrambe le interviste sono strutturate nello stesso modo.
Comprendono una prima parte anagrafica che indaga l’anzianità complessiva di servizio e di servizio con le persone senza dimora, nonché il ruolo svolto.
Una seconda parte, relativa all’organizzazione, che indaga quali figure professionali sono presenti e come è organizzata la turnazione del personale sanitario.
Una terza parte che indaga quante persone senza dimora assistono o accolgono e come questi dati si sono modificati durante il periodo da marzo a luglio 2020, quali sono i BAI (bisogni di assistenza infermieristica) più frequenti nelle persone senza dimora, quali sono le patologie croniche dalle quali sono affette le persone senza dimora, quali sono state le misure adottate per contenere e ridurre la trasmissione del virus, quali sono stati gli interventi assistenziali e infermieristici attuati, quante sono state le persone che hanno mostrato sintomi paragonabili al CoVid19 e quante sono risultate positive al CoVid19, e per il centro di accoglienza, quali sono state le problematiche riscontrate nel periodo di isolamento durante il contenimento in lockdown.
Infine, una quarta parte, nella quale sono state poste tre domande aperte con lo scopo di indagare come è cambiata la situazione della rete dei servizi da marzo ad oggi, se possono esserci miglioramenti utili per il futuro e quali sensazioni stanno vivendo ora che si è presentata una seconda ondata della malattia.

 

RISULTATI

Prima parte: anagrafica
L’intervistata dell’unità di strada svolge servizio presso una struttura per persone senza dimora (Post-Post acute) con patologie croniche, con il ruolo di coordinatore infermieristico ed è la referente della stessa. Essa svolge servizio come infermiera da 29 anni, mentre lavora con le persone senza dimora da 5 anni.
L’intervistata del centro di accoglienza svolge servizio presso il centro di accoglienza (dormitorio) per persone senza dimora con il ruolo di coordinatore infermieristico, sia della parte logistica/organizzativa che sanitaria. Essa svolge servizio come infermiera da 29 anni e lavora con le persone senza dimora da 6 anni.

Seconda parte: organizzazione del personale
I professionisti presenti in unità di strada “sanitaria”, creata nel primo periodo di pandemia da CoVid19, sono un infermiere, saltuariamente un medico e personale volontario. Il personale sanitario non è presente nelle 24 ore in quanto l’attività dell’unità di strada si svolge prevalentemente la sera (dalle 20 alle 23 circa) e in alcuni giorni della settimana.
I professionisti presenti nel centro di accoglienza sono educatore, assistente sociale, psicologo, medico, infermiere, avvocato ed operatore sociale. I turni dei sanitari non coprono il centro nelle 24 ore, ma è sempre presente un operatore. Gli infermieri non hanno una turnazione fissa, la loro presenza è prevista per alcune ore al giorno. La presenza infermieristica prevede la gestione di un ambulatorio sanitario aperto in alcune fasce orarie strutturate nelle settimane. Durante il periodo da marzo a luglio 2020 l’infermiere era presente quasi tutti i giorni e spesso coincideva con la presenza del coordinatore infermieristico in quanto vi era la mancanza di personale.

Terza parte: persone assistite, BAI, patologie, misure adottate e interventi
In unità di strada mediamente vengono assistite circa 150 persone a sera, e nel periodo da marzo a maggio 2020 il numero delle persone assistite è rimasto circa lo stesso.
Tra le 150 persone viste dall’unità di strada, circa un paio a sera hanno mostrato sintomi. Non è stato possibile rilevare il dato delle persone testate che poi si sono rivelate positive, in quanto il tampone veniva eseguito in pronto soccorso e l’esito non poteva essere visionato dall’equipe sanitaria.
Nel centro di accoglienza i posti letto disponibili all’interno sono circa 200, ma durante il periodo da marzo a luglio 2020 i posti disponibili sono stati ridotti, in ottemperanza alle disposizioni di contenimento del virus emanate dal Comune di Milano e dalla Prefettura. Inizialmente la quota era stata ridotta a 150 ospiti, successivamente, su richiesta del comune di Milano ne venivano accolti 160, questo perché l’emergenza sociosanitaria ha aumentato il numero di persone in strada.
Tra le persone presenti nel centro di accoglienza circa 100 su 160 hanno mostrato sintomi paragonabili al CoVid19, e tra le persone testate (periodo da marzo a luglio 2020) circa il 60% è risultato positivo al virus. Nonostante le varie patologie e la media elevata dell’età, solo 5 ospiti hanno avuto complicanze respiratorie gravi, da necessitare il ricovero in terapia intensiva. “All’inizio ci siamo detti: al primo caso che avremo poi sarà un’ecatombe e si infetteranno tutti. Probabilmente gli anticorpi sociali del vivere in strada hanno in qualche modo attutito i problemi. Ci sono stati tanti infetti ma con sintomi lievi”.
I BAI (Bisogni di Assistenza Infermieristica) sono stati difficili da identificare dai professionisti presenti in unità di strada. Sono stati identificati i BAI maggiormente presenti, e di questi i professionisti pianificano e valutano obiettivi e interventi a breve termine. I bisogni assistenziali identificati sono stati: igiene (maggiore difficoltà nella risoluzione in quanto le docce pubbliche erano chiuse), alimentarsi e idratarsi (le difficoltà erano legate alla chiusura delle mense ma venivano forniti sacchetti con acqua, panini e bevande calde), procedure terapeutiche, e infine un intervento educativo (non è stata svolta una vera e propria educazione sanitaria in quanto le ore a disposizione per i professionisti erano poche e le persone incontrate ad ogni uscita erano molte. È stato svolta un’attività prevalentemente di informazione inerente a quali sono le pratiche e le norme da attuare relative alla problematica della pandemia di CoVid19). Le persone senza dimora hanno rispettato le procedure che gli sono state spiegate relative al mantenimento del distanziamento, all’utilizzo del gel igienizzante e delle mascherine. “Sicuramente devo dire che tra il primo e il secondo lockdown ho trovato un cambiamento incredibile in queste persone, nel senso che si sono estremamente informate e hanno forse più conoscenze delle persone “normali”.
Nel centro di accoglienza è stato più semplice identificare i BAI, quelli maggiormente riscontrati sono stati: interazione nella comunicazione (sensazione di angoscia e paura per sé e per la propria famiglia, mancanza di comprensione per importanti barriere linguistiche), respirare (presenza di molte patologie respiratorie e impossibilità di utilizzo dell’ossigenoterapia), mantenere la funzione circolatoria (presenza di cardiopatie di vario genere e molti ospiti presentano lesioni dovute a complicanze da diabete mellito), movimento (elevato rischio di cadute per patologie ed età elevata), alimentarsi e idratarsi, igiene (sia personale che ambientale), riposo e sonno, ambiente sicuro. I bisogni assistenziali tra prima e dopo la pandemia sono rimasti gli stessi, ma la loro risoluzione è diventata più difficile da ottenere. “Molti ospiti si appoggiavano ad associazioni esterne per soddisfare alcune necessità e alcuni bisogni, come l’approvvigionamento dei farmaci, ma essendoci tutto chiuso e il divieto di uscire dal centro di accoglienza, questa possibilità non c’era più”.
Le patologie croniche maggiormente riscontrate nelle persone senza dimora sia in unità di strada che nel centro di accoglienza sono: gravi problemi di arteriopatie solitamente su insorgenza alcolica, diabete mellito con complicanze di ulcere, ipertensione arteriosa, patologie neoplastiche, patologie respiratorie croniche (essendo forti fumatori la BPCO è molto presente), disturbi psichiatrici, dipendenze (alcool, sostanze stupefacenti), malattie infettive come TBC, HIV ed epatiti).
Le misure attuate in unità di strada per contenere e ridurre la trasmissione del virus sono state: creare l’unità di strada sanitaria per implementare il ruolo educativo dei professionisti, fornire giornalmente a tutte le persone i DPI (guanti e mascherine) e materiale per l’igiene (gel igienizzante, shampoo).
Le problematiche che hanno incontrato sono state: minor presenza di altre associazioni che fornivano assistenza sul territorio e aumento delle persone in strada in quanto le strutture avevano diminuito i posti disponibili. Per quanto riguarda la gestione delle persone sintomatiche, se erano presenti sintomi paragonabili a CoVid19 o modificazione dei parametri vitali (saturazione < 95-93% e temperatura corporea > 37,5°C), veniva contattato il servizio di emergenza urgenza del 112 e le persone venivano trasportate in ospedale. Infatti, è stata creata una centrale Operativa dedicata che permetteva di poter individuare la struttura più idonea rispetto alla sintomatologia riferita.
Nel centro di accoglienza le misure attuate sono state diverse. A differenza dell’unità di strada sono stati eseguiti tamponi a partire da fine marzo 2020, grazie alla collaborazione con ATS della città di Milano e attraverso il supporto di un’unità specialistica di Villa Marelli.
Le altre misure attuate sono state: continuo processo di educazione sanitaria, riduzione dei posti disponibili, accesso scaglionato ai servizi interni, distribuzione DPI, garantire il distanziamento, limitare le uscite e igienizzare l’ambiente e gli oggetti personali.
A differenza dell’unità di strada, non era presente un sistema di trasporto sicuro per persone sintomatiche o positive, ma in caso di sintomi o di caso sospetto veniva contattato il servizio di emergenza urgenza del 112 e venivano accompagnati in pronto soccorso. E nell’attesa della conferma dell’esito del tampone da parte dell’ospedale, in struttura venivano isolati i contatti stretti, attraverso l’individuazione di opportuni spazi di isolamento, in ottemperanza alle misure di quarantena.
Dopo aver eseguito i tamponi su tutti gli ospiti sono stati identificati i casi asintomatici, i quali venivano trasferiti, su indicazione di ATS, in Hotel adibiti provvisoriamente all’accoglienza di casi positivi, sul territorio di Milano, per effettuare la quarantena. Le persone risultate positive e sintomatiche proseguivano il ricovero in ospedale.
Un’ulteriore misura attuata è stata quella di informare tutti gli ospiti; una problematica riscontrata è stata quella della lingua, per questo motivo hanno creato un documento scritto in varie lingue e hanno svolto riunioni organizzate per provenienza. Un continuo aggiornamento veniva effettuato con ATS, Prefettura e Comune, al fine di aggiornare procedure e protocolli secondo le indicazioni del Ministero della Salute.
Gli interventi assistenziali o infermieristici attuati in unità di strada sono stati molteplici: è stata data alta priorità all’informazione sanitaria su comportamenti da seguire per la riduzione della trasmissione e al contenimento del virus, per l’utilizzo in modo corretto dei DPI, per favorire il distanziamento (“il senza dimora non sta mai da solo. Anche in strada sono sempre a gruppetti. Ma mentre prima costruivano il giaciglio matrimoniale e dormivano in coppie, adesso li vedi che sono distanziati”), informazioni su a chi rivolgersi in caso di malessere e dove ottenere indicazioni, informazioni su come riconoscere precocemente segni e sintomi paragonabili alla patologia CoVid19. L’obiettivo è stato quello di non generare confusione ma trasmettere poche, chiare e semplici informazioni. Altri interventi attuati sono stati: il monitoraggio ad ogni uscita dei parametri vitali (saturazione e temperatura corporea) e in caso di modificazione veniva contattato il servizio di emergenza urgenza del 112 e la distribuzione di beni di prima necessità, come pasti e vestiti. Inoltre, è stato attivato un servizio di supporto psicologico per gli operatori.
Anche nel centro di accoglienza il primo intervento attuato è stato l’educazione sanitaria. L’educazione sanitaria verteva principalmente su: corretta igiene personale e dell’ambiente, corretta gestione degli spazi, distanziamento, evitare assembramenti, utilizzo mascherine, riconoscere sintomi della patologia e comunicarlo prontamente. (“il luogo dove ho potuto esercitare maggiormente il ruolo di educazione sanitaria è il dormitorio, spesso aiutandoli a trovare una soluzione a una situazione in cui tu domani potresti non esserci ma loro continueranno a viverla e probabilmente in strada”). L’aspetto sanitario di rilevazione dei parametri e il monitoraggio delle condizioni cliniche veniva svolto regolarmente all’interno della struttura. È stato fornito, come per l’unità di strada, supporto psicologico agli operatori che permettesse un confronto sul lavoro di equipe. Vi era infatti la possibilità di avvalersi del supporto di due consulenti nominati nel periodo di quarantena, con i quali si potevano avere incontri a livello personale oppure come equipe. Il supporto psicologico per gli ospiti è risultato più difficoltoso ma hanno comunque cercato di attuarlo; hanno cercato di mantenere gli incontri da remoto con lo psicologo o psichiatra di riferimento ma sono state incontrate due problematiche principali: non tutti gli psicologi o psichiatri hanno aderito a questa attività e non tutti gli ospiti erano in grado di gestire o non hanno accettato di svolgere gli incontri da remoto. Per poter garantire un supporto psicologico hanno organizzato degli incontri, con lo psicologo della struttura, pur non avendo molte ore a disposizione.
Inoltre, solo per il centro di accoglienza, sono state riscontrate problematiche psicosociali legate all’isolamento. È stato riscontrato un aumento di episodi di violenza tra gli ospiti e aggressività nei confronti degli operatori che gestivano e limitavano le uscite, ci sono stati episodi di delirium tremens (a causa dell’impossibilità di poter uscire e procurarsi l’alcool) che hanno necessitato dell’intervento del 112. Le strategie che sono state attuate per contenere e ridurre gli episodi di agitazione e aggressività sono state distribuire vino o tabacco agli ospiti che lo richiedevano, in modo da evitare crisi d’astinenza e limitare la necessità ad uscire, e un’altra soluzione che hanno adottato è stata richiedere alle forze dell’ordine di stazionare fuori dalla struttura, ed a ogni cambio della pattuglia entrare e fare un giro tra gli ospiti.

Quarta parte: considerazioni e opinioni delle intervistate
Le considerazioni esposte sia dalla referente dell’unità di strada che dalla referente del centro di accoglienza mostrano che ci sono stati diversi cambiamenti tra la prima ondata (marzo 2020) e la seconda (novembre 2020): le associazioni sono maggiormente presenti sul territorio, come ad esempio il centro aiuto della stazione centrale; anche servizi quali, docce e mense, sono rimaste attive nella seconda ondata e questo ha permesso un maggiore soddisfacimento dei bisogni di igiene e di alimentarsi e idratarsi. Per l’unità di strada, l’obiettivo futuro è quello di rendere più efficace la nuova unità di strada sanitaria con lo scopo di garantire la presenza di un professionista sanitario a tutela delle persone che vivono in strada.
Per il centro di accoglienza sarebbe utile, come obiettivo futuro, rendere possibile la prenotazione e l’attivazione di alcuni servizi, accedendo online anche senza l’uso della tessera sanitaria fisica. (“Sicuramente una cosa da cambiare è smettere di fare teoria e iniziare con la pratica e il problem solving, in cui gli infermieri sono tanto bravi e avrebbero molto da insegnare”).
Per quanto riguarda le sensazioni provate si aspettavano sarebbe successo e anche per questo sono arrivati maggiormente preparati (DPI più semplici da recuperare). A livello emotivo hanno avuto maggiori difficoltà “nella prima ondata ti sentivi da solo ed eri da solo. Mentre adesso siamo in strada in tanti, non ti senti più solo come potevi sentirti l’altra volta e quanto meno hai un minimo di visione contro chi stai combattendo”.

 

CONCLUSIONI

L’indagine evidenzia che la situazione di emergenza sanitaria causata da CoVid19 ha esacerbato delle problematiche che già erano presenti e ne ha create di nuove nella popolazione dei senza dimora. Queste problematiche hanno riguardato sia le persone senza dimora che le persone che si occupano di fornire loro assistenza.
Dall’inizio dell’emergenza il disagio sociale è in aumento, sono sempre più le persone che si ritrovano in condizioni di fragilità. Il motivo dell’aumento delle persone in situazioni di fragilità è ricollegabile alla perdita del lavoro, alle difficoltà economiche delle famiglie di basso reddito e all’aumento degli sfratti. (Benfer et al., 2021).
Ciò che emerge dalle interviste è come il ruolo dei professionisti e in particolar modo dell’infermiere sia fondamentale per ottenere e garantire la presa in cura ed evitare la frammentazione dell’assistenza.
Coinvolgere nella presa in cura, non solo gli infermieri ma anche professionisti come medico, assistente sociale, psicologo, educatore e volontari e quindi creare un’integrazione tra sanitario e sociale garantisce una corretta ed efficace presa in cura. (Fio.PSD, 2020a). Ma emerge anche che il ruolo e l’intervento dell’infermiere non è continuativo nelle 24 ore. Per questo motivo, specialmente in unità di strada, per quanto riguarda i BAI si è rivolta l’attenzione all’immediato, cercando di risolvere i problemi evidenziati e prioritari al momento. Non è stato perciò possibile identificare obiettivi infermieristici a lungo termine. Questo perché la tipologia di servizio svolto non garantisce la possibilità di seguire la persona in modo continuativo e stabilire incontri per poter rivalutare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Nel centro di accoglienza invece, è stato possibile identificare i vari bisogni assistenziali e le loro caratteristiche. Emerge inoltre come i bisogni tra prima e dopo la pandemia siano rimasti gli stessi, ma con minori possibilità di soddisfarli dovuto all’impossibilità di fare affidamento su associazioni esterne, in quanto esse durante i mesi da marzo a maggio 2020 hanno interrotto la loro attività. (Spinnewijn et al., 2020). In entrambe le realtà l’obiettivo è quello di porre al centro del percorso di cura la persona senza dimora e prendere in considerazione non solo i bisogni assistenziali ma anche quelli sociali. (fio.PSD, 2020a).
Gli homeless spesso sono persone con patologie croniche trascurate e presentano in entrambi i casi comorbidità e in letteratura si evidenzia che la presenza di comorbidità, unito alle condizioni abitative inadeguate, mettono le persone senza dimora a maggior rischio di contrarre la patologia CoVid19 e, una volta contratta, a sviluppare complicanze maggiori aumentando il rischio di mortalità. Dai risultati emersi dall’intervista svolta nel centro di accoglienza emerge invece che, nonostante la copresenza di più patologie e l’età elevata, gli ospiti che hanno necessitato del ricovero in terapia intensiva con necessità di supporto ventilatorio sono stati una piccola parte (5 su 160). L’intervento educativo o informativo, nello specifico durante la situazione di emergenza sanitaria, era mirato all’educare sulle pratiche igieniche da seguire, sia personali che dell’ambiente, per ridurre la trasmissione del virus, a fornire informazioni e indicazioni su a chi rivolgersi, a come riconoscere segni e sintomi di infezione. Ciò che emerge è come le persone assistite siano state attente e predisposte ad ascoltare e mettere in atto gli interventi spiegati, dimostrandosi anche informate.
Un ulteriore elemento che emerge dalle interviste è la mancanza, durante la pandemia, dei servizi che normalmente erano presenti sul territorio da parte di organizzazioni del terzo settore, le quali sono quelle che maggiormente offrono assistenza alle persone senza dimora. Questo dato viene confermato anche in letteratura, il Fifth overview of housing exclusion in Europe 2020 evidenzia come durante la pandemia è venuta a mancare la parte della rete dei servizi sul territorio fornita del terzo settore, quindi oltre ai centri di accoglienza chiusi, sono stati ridotti i servizi territoriali a cui facevano affidamento le persone che decidevano di restare in strada. (Spinnewijn et al., 2020).
Dal lavoro svolto emerge in modo evidente che l’integrazione tra sociale e sanitario e la presenza di un’equipe multidisciplinare siano fondamentali per una presa in cura della persona homeless. Tra questi professionisti l’infermiere ha un ruolo di spicco in quanto spesso le organizzazioni che si occupano di senza dimora sono basate sulla metodologia del case management, in cui l’infermiere riveste il ruolo di case manager.

 

BIBLIOGRAFIA

 

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Cristina Angelini

Tutor corso di laurea in Infermieristica, docente MED/45. Università degli studi, Milano, Sezione ASST Fatebenefratelli Sacco, Ospedale Luigi Sacco, Milano
RN, MSc. Tutor of undergraduate nursing course, adjunct professor, university of Milan, ASST Fatebenefratelli Sacco Section, Luigi Sacco Hospital, Milan
cristina.angelini@unimi.it

Alice Fontana 

Infermiere, Policlinico San Pietro – Forlanini (BG)
RN, Policlinico San Pietro – Forlanini (BG)

Agnese Zucchetti

Infermiere presso CPM, CRM e CD cooperativa Seriana 2000,  ASST Santi Paolo e Carlo, Milano
Mental Health nurse for Cooperativa Setiana 2000 ASST Santi Paolo e Carlo,  Milano