Frailty syndrome: tra geriatria e chirurgia. Una revisione della letteratura

Fraility syndrome in surgical erderly patients: a systematic review

ABSTRACT

Introduzione. La fragilità è una sindrome medica che comporta ridotta capacità di recupero, perdita di capacità adattativa, maggiore vulnerabilità agli stress. Il 10% dei soggetti con più di 65 anni e il 40% dei soggetti over80 è fragile. Pertanto, scopo di questo lavoro è riassumere le evidenze disponibili in letteratura rispetto agli interventi infermieristici o multidisciplinari nella gestione degli utenti fragili nell’esperienza chirurgica. Metodi. nel 2019 è stata condotta una revisione narrativa della letteratura sui database biomedici PubMed e CINAHL, secondo specifici criteri di inclusione ed esclusione. Risultati. Sono stati inclusi 35 studi. Dall’analisi emerge che ad oggi non esiste un gold standard per la valutazione della fragilità. Tuttavia, gli strumenti brevi per la valutazione della fragilità preoperatoria sono risultati essere estremamente funzionali nei contesti chirurgici. La letteratura è concorde nel definire che la fragilità ha un impatto negativo sugli outcome chirurgici quali mortalità, complicanze, necessità di dimissioni protette, durata della degenza. La valutazione della fragilità dovrebbe rappresentare l’occasione per discutere con il paziente dei rischi della chirurgia e eventualmente predisporre un piano di cure personalizzato. Sono necessari, invece, ulteriori studi in merito ai metodi di prevenzione o pre-abilitazione volti a invertire o modificare i caratteri di fragilità nel preoperatorio. Conclusioni. Visto l’impatto che la fragilità ha sugli esiti postoperatori, sarebbe utile in un’ottica di assistenza multidisciplinare, creare unità operative chirurgiche, in cui chirurghi e geriatri lavorino con personale infermieristico e professionisti della riabilitazione, per gestire il percorso clinico-assistenziale perioperatorio del soggetto anziano fragile. Inoltre è auspicabile aumentare l’attenzione posta al tema della fragilità nel corso dei programmi di formazione infermieristica sia di base che post-base. Parole chiave. Fragilità, anziano, chirurgia, valutazione geriatrica

ABSTRACT

Background. Frailty is a medical syndrome that results in reduced resilience, loss of adaptive capacity, increased vulnerability to stress. About 10% of over65 patients and 40% over80 are frail. The aim of this study was to summarize the evidence available in literature about multidisciplinary interventions in managing frailty patients during their surgical experience. Methods. a narrative review was conduct on the main biomedical databases as PubMed and CINAHL in 2019 ; specific inclusion and exclusion criteria was defined. Results. 35 studies were included. Literature review shown that a gold standard for frailty assessment is not available yet. However, shorter preparatory frailty tools have proved to be useful in surgical contexts. The literature agrees in defining that frailty has a negative impact on surgical outcomes such as mortality, complications, need for assisted discharge, and length of hospital stay. Thus, frailty evaluation should represent an opportunity to discuss with patient some risks of the surgical procedure and to draft a personalized care. Instead, further studies are needed to identify strategies in managing the frailty status during preoperative phase. Conclusion. Given the impact of fragility on postoperative outcomes, it would be useful to create surgical operative units, in which surgeons and geriatricians work closely with nursing staff and rehabilitation professionals, to manage the perioperative clinical-assistance pathway of frail elderly subject. Finally, it is also desirable to increase the attention on this topic during basic and post-basic nursing education programs. Keywords. Frailty, Frail elderly, Surgery, Geriatric Assessment

INTRODUZIONE

Nel mondo occidentale la popolazione sta invecchiando rapidamente e ci si aspetta che il numero dei soggetti con età uguale o maggiore di 80 anni duplicherà nelle prossime tre decadi (Isharwal et al., 2017; Raats et al., 2015; Richards et al., 2018). Di pari passo a questa transizione demografica, si sta verificando un cambiamento nella composizione demografica della popolazione sottoposta ad intervento chirurgico: attualmente, più della metà degli interventi chirurgici negli Stati Uniti d’America sono eseguiti su soggetti over 65 (Ambler et al., 2015; Joseph et al., 2016; Mazzola et al., 2017; McRae et al., 2016; Revenig et al., 2015; Townsend and Robinson, 2015). Gli anziani sono sottoposti a interventi chirurgici più frequentemente rispetto a qualsiasi altra fascia d’età ed inoltre hanno un rischio maggiore di essere sottoposti a interventi in regime di emergenza, con maggior impiego di risorse e esiti postoperatori avversi legati all’età (McIsaac et al., 2017b). Più che l’età cronologica, il declino della riserva fisiologica e della capacità funzionale legato all’avanzare degli anni è inevitabile e influenza tutti i sistemi di organi (Chan et al., 2019): gli strumenti comunemente usati per la valutazione preoperatoria non possono misurare la riserva fisiologica dei pazienti anziani, in quanto soggettivi e limitati a un singolo sistema di organi o creati per determinare il rischio di eventi sfavorevoli a livello cardiaco, renale, polmonare o epatico (Joseph et al., 2016; Revenig et al., 2015; Townsend and Robinson, 2015). Per questo motivo, a partire dal 2009, è aumentata esponenzialmente nella letteratura chirurgica l’attenzione rispetto al concetto di fragilità (Richards et al., 2018). La fragilità è una sindrome medica con molteplici cause e fattori contribuenti che si caratterizza per la diminuzione della forza e della resistenza e per le ridotte funzionalità fisiologiche che aumentano la predisposizione di un individuo allo sviluppo di un’aumentata dipendenza e/o della morte (Hewitt et al., 2015; Ronchi et al., 2019); è un declino progressivo che si traduce in una ridotta capacità di recupero, perdita di capacità adattativa, maggiore vulnerabilità agli stress, (Chan et al., 2019) come quelli comportati da un intervento chirurgico, o minore capacità di farvi fronte (Kraiss et al., 2015). Si stima che circa il 10% dei soggetti con più di 65 anni e il 40% dei soggetti over80 sia fragile (Chan et al., 2019; Vermillion et al., 2017); la fragilità ha una prevalenza maggiore nelle donne e spesso è registrata in soggetti sottoposti a chirurgia in regime d’urgenza (Accardi et al., 2018; Axley and Schenning, 2015; Chan et al., 2019; Lusignani et al., 2018; McIsaac et al., 2017b).

OBIETTIVI

All’attuale, sono stati condotti numerosi studi soprattutto nei contesti ortopedici e cardiochirurgici; meno evidenze rispetto al tema della fragilità nel paziente chirurgico sono disponibili per gli altri ambiti chirurgici e, soprattutto, non sono state condotte sintesi ampie delle evidenze. Si è quindi sentita la necessità di condurre una revisione della letteratura per chiarire quali siano gli aspetti costituenti della fragilità e quali interventi infermieristici o multidisciplinari è possibile porre in atto per supportare gli assistiti fragili nell’esperienza chirurgica.

MATERIALI E METODI

Per raggiungere lo scopo è stata condotta una revisione della letteratura interrogando le banche dati PubMed e CINAHL (Cumulative Index for Nursing and Allied Health Literature) nel mese di luglio 2019. Per la banda dati bibliografica PubMed sono stati utilizzate le seguenti stringhe di ricerca:
((((“Specialties, Surgical”[Mesh]) OR “Surgical Procedures, Operative”[Mesh])) AND “Frail Elderly”[Majr])) AND (((“Outcome and Process Assessment (Health Care)”[Mesh]) OR “Geriatric Assessment”[Mesh]) OR “Cohort Studies”[Mesh])
[“Digestive System Diseases/surgery”[Mesh]) OR “Respiratory Tract Diseases/surgery”[ Mesh]) OR “Vascular Diseases/surgery”[Mesh] OR “Neoplasms/surgery”[ Mesh]) OR (“Male Urogenital Diseases/surgery”[Mesh]) OR “Female Urogenital Diseases/surgery”[ Mesh])] AND “Frail Elderly”[Majr])) AND (((“Outcome and Process Assessment (Health Care)”[Mesh]) OR “Geriatric Assessment”[Mesh]) OR “Cohort Studies”[Mesh]) NOT (((((“Specialties, Surgical”[Mesh]) OR “Surgical Procedures, Operative”[Mesh])) AND “Frail Elderly”[Majr])) AND (((“Outcome and Process Assessment (Health Care)”[Mesh]) OR “Geriatric Assessment”[Mesh]) OR “Cohort Studies”[Mesh])
identificando un totale di 292 pubblicazioni. Sono stati quindi selezionati tramite filtri di ricerca solo i risultati inerenti agli ultimi 5 anni, ottenendo quindi 164 articoli. Il processo di selezione degli articoli ha seguito le fasi del PRISMA flow-chart (Figura 1).
La ricerca su CINAHL, condotta utilizzando la stringa “Frailty” AND “Surgery” e applicando filtri di ricerca a livello temporale (ultimi 5 anni) e sulla fascia d’età (>18 anni), ha portato all’identificazione di 173 pubblicazioni; sono stati quindi rimossi i duplicati presenti in MedLine ottenendo 62 risultati. Sono state incluse le pubblicazioni correlate agli studi individuati tramite la ricerca sulle banche dati.
Si è quindi proceduto a eseguire una selezione sulla base di titolo ed abstract, includendo:
i documenti e gli articoli in lingua italiana, inglese o spagnola;
gli articoli con testo integrale (full-text);
studi o revisioni della letteratura che fossero focalizzati su pazienti ospedalizzati e, per la letteratura primaria, che prevedessero una valutazione della fragilità in fase preoperatoria tramite strumenti specifici;
studi condotti nelle specialità chirurgiche di interesse: chirurgia vascolare, urologica e ginecologica, maxillofacciale, addominale e toracica.
Si è scelto di non includere la chirurgia ortopedica e la cardiochirurgia in quanto rappresentano le procedure chirurgiche maggiormente eseguite e studiate sulla popolazione anziana; le conoscenze in merito a questi due ambiti chirurgici ed ai relativi outcome dell’anziano fragile appaiono già molto sviluppate.
Si è quindi proceduto alla lettura integrale da parte di due autori e all’analisi e sintesi in tabelle sinottiche. La figura 1 riassume il processo di selezione della letteratura.

RISULTATI

A seguito della selezione sono stati inclusi 34 articoli di varia natura identificati con la ricerca; ad essi, si aggiunge una pubblicazione correlata edita in anni precedenti al 2015; l’analisi ha permesso l’identificazione di quattro tematiche:

1. Metodi e strumenti di valutazione della fragilità
2. Impatto della fragilità sugli outcome postoperatori
3. Ruolo della fragilità nel decision making
4. Interventi applicabili per il trattamento della fragilità

Tema 1. Metodi e strumenti di valutazione della fragilità

Gli studi condotti in letteratura rispetto alla definizione della fragilità hanno permesso l’identificazione di due approcci fondamentali per la valutazione:
Il metodo fenotipico è più strettamente associato al lavoro di Fried et al. (2001) ed allo sviluppo del Hopkins Frailty Score. È focalizzato sul riconoscimento di caratteristiche fisiche o somatiche che definiscono la fragilità e include 5 domini quali la perdita di peso non intenzionale, il senso di stanchezza soggettiva, la debolezza valutata come un calo della forza di presa, la diminuzione della velocità di cammino e la riduzione dell’attività fisica (Chan et al., 2019; Kraiss et al., 2015; Richards et al., 2018).
Il modello di accumulo di deficit è stato sviluppato da Rockwood et al. (2005) nell’ambito dello studio canadese sulla salute e l’invecchiamento (Canadian Study on Health and Aging); prende in considerazione deficit clinici negli aspetti relativi a comorbidità, disturbi dell’umore, cognizione, stato funzionale e nutrizione: la fragilità aumenta con l’accumulo di deficit in più di una categoria analizzata (Chan et al., 2019; Kraiss et al., 2015; Richards et al., 2018).
Entrambi i modelli sono stati modificati e studiati anche in popolazioni chirurgiche (Chan et al., 2019); al momento, infatti, non vi è consenso riguardo agli strumenti che dovrebbero essere utilizzati nella valutazione preoperatoria della fragilità (Kenig et al., 2015a; Mazzola et al., 2017): entrambi i modelli possono essere predittivi di diversi esiti postoperatori e studiano lo stesso concetto da una prospettiva differente (Kenig et al., 2015a). D’altro canto, sia il modello fenotipico che il modello per accumulo di deficit hanno suscitato critiche perché richiedono tempo e risorse per la valutazione. In particolare, i criteri di fragilità di Fried richiedono l’uso di attrezzature speciali come un dinamometro e la misurazione della velocità dell’andatura, mentre l’indice di fragilità originale di Rockwood prevede la valutazione di 70 potenziali item clinici (Chan et al., 2019). Inoltre, un metodo di valutazione della fragilità strettamente “fenotipico” potrebbe non tenere sufficientemente in considerazione importanti problemi cognitivi e sociali che hanno un impatto significativo sugli esiti chirurgici. Di contro, il modello per accumulo di deficit necessita di molto tempo per la valutazione e potrebbe richiedere una consulenza geriatrica formale, riducendone l’utilità in molti contesti chirurgici (Kraiss et al., 2015). Questo eccessivo dispendio di risorse, soprattutto in termini di tempo, costituisce la principale barriera alla valutazione della fragilità in ambito clinico (Amrock et al., 2014; Bras et al., 2015; Griebling, 2015; Kenig et al., 2015b; Revenig et al., 2015; Vermillion et al., 2017). Per questo motivo, nel tentativo di migliorare l’efficienza identificando rapidamente le informazioni utili, sta crescendo l’interesse per la creazione e la validazione di strumenti brevi che utilizzino dati facilmente ricavabili dalla cartella clinica (Griebling, 2015); le scale di valutazione abbreviate sembrano mostrare buoni esiti, essendo predittive quasi quanto metodi molto più dettagliati e inoltre risultano semplici da somministrare (Kraiss et al., 2015). L’esperienza di Hirpara et al. (2019) nell’uso del Modified Frailty Index, che si compone di 11 items tratti dal Canadian Study on Health and Aging nell’ambito della chirurgia toracica, ha visto l’entusiasmo di tutti i professionisti della salute coinvolti, con l’inclusione dell’83% dei pazienti nei test di fragilità preoperatoria (Hirpara et al., 2019); ciò indica, dunque, che l’utilizzo di strumenti brevi per la valutazione della fragilità preoperatoria può essere il giusto compromesso fra la necessità di una valutazione specifica e la tempistica ristretta dei contesti chirurgici. Alcuni degli strumenti brevi per la valutazione della fragilità presentano una versione italiana validata, ma l’uso in ambito clinico è ancora ridotto.

Tema 2. Impatto della fragilità sugli outcome postoperatori

Molti studi presenti in letteratura hanno analizzato le relazioni intercorrenti tra fragilità e outcome chirurgici. In appendice, una tabella che mostra gli studi, gli esiti indagati e le associazioni individuate.
Per quanto riguarda la mortalità, la maggior parte degli studi dimostrano che la presenza di fragilità è correlata ad un aumento del rischio di mortalità sia nell’immediato post-operatorio (Isharwal et al., 2017; McIsaac et al., 2017b) che a 30 (Kumar et al., 2017; Revenig et al., 2015; Vermillion et al., 2017; Zattoni et al., 2019), 90 (Zattoni et al., 2019) e 365 giorni (Ambler et al., 2015; McIsaac et al., 2017b, 2016). Lo studio di Kenig et al., condotto tra il 2014 e il 2015, mostra che il peggioramento degli outcome si verifica negli interventi svolti in urgenza-emergenza (odds ratio: 3.4 (IC 1.2–9.7); p = 0.02) (Kenig et al., 2016). Rispetto alle complicanze, 9 studi su 10 hanno individuato una relazione positiva tra grado di fragilità e sviluppo di complicanze postoperatorie; questi hanno coinvolto campioni sottoposti a interventi afferenti a diverse specialità chirurgiche quali la chirurgia addominale (Joseph et al., 2016; Kenig et al., 2016; McGuckin et al., 2018; Orouji Jokar et al., 2016; Vermillion et al., 2017; Zattoni et al., 2019), la chirurgia delle vie aeree e toracica (Hirpara et al., 2019; Wachal et al., 2017), la chirurgia onco-ginecologica (Kumar et al., 2017) e urologica, (Isharwal et al., 2017; Lascano et al., 2015) la chirurgia vascolare (Arya et al., 2016). La letteratura analizzata è tendenzialmente concorde nel definire che la durata della degenza è negativamente influenzata dalla presenza di fragilità, con un aumento progressivo dell’ospedalizzazione in relazione al grado di fragilità (Ambler et al., 2015; Isharwal et al., 2017; Joseph et al., 2016; Kenig et al., 2016; McIsaac et al., 2017b; McRae et al., 2016; Vermillion et al., 2017; Wachal et al., 2017; Zattoni et al., 2019). Secondo McIsaac et al., (2017) oltre ad un prolungamento della degenza, vi è una maggiore richiesta di ricovero presso le terapie intensive per i pazienti fragili rispetto ai non fragili (McIsaac et al., 2017b). Inoltre, emerge un aumentato rischio di dimissioni protette (Ambler et al., 2015; Arya et al., 2016; Isharwal et al., 2017; McIsaac et al., 2017b; McRae et al., 2016; Orouji Jokar et al., 2016; Shimizu et al., 2018; Wachal et al., 2017) e di riammissione in ospedale entro 30 giorni dalla dimissione (Ambler et al., 2015; Fang et al., 2017; Isharwal et al., 2017) nei pazienti fragili. In uno studio retrospettivo del 2011-2015, nei soggetti sottoposti a chirurgia urologica, la riammissione è spesso legata alla necessità di successivi reinterventi (Isharwal et al., 2017). Un aspetto sicuramente interessante da tenere in considerazione riguarda quanto emerge dai risultati di uno studio retrospettivo condotto in Canada da McIsaac et al. negli anni dal 2002 al 2014: lo studio ha messo a confronto diversi centri ospedalieri con un differenti bacini d’utenza e, soprattutto, con differenti volumi di pazienti fragili trattati. Dai risultati emerge che negli ospedali in cui venivano trattati chirurgicamente più soggetti fragili, il rischio di mortalità postchirurgica per questi soggetti era ridotto rispetto a quello ottenuto in contesti meno specializzati nel trattamento della fragilità, a fronte di un aumento dei costi molto limitato (3%) (McIsaac et al., 2017c).

Tema 3. Ruolo della fragilità nel decision making

Largo spazio in letteratura è stato attribuito al ruolo che la valutazione preoperatoria può avere nel processo decisionale condiviso tra equipe sanitaria e assistito, rispetto alla scelta dell’intervento più appropriato e più in linea con le aspettative o le volontà della persona. Dato l’impatto che la fragilità può avere sugli esiti postchirurgici avversi, la letteratura indica come auspicabile la creazione di team multidisciplinari comprendenti medici, infermieri e altri professionisti sanitari o socio-sanitari, per affrontare il tema della fragilità e condurre un adeguato counselling per l’assistito (Ambler et al., 2015; McRae et al., 2016). Il counselling preoperatorio per una persona fragile deve essere volto non solo a sottolineare i rischi di esiti avversi ma a chiarire con l’assistito cosa può realmente aspettarsi dall’intervento chirurgico, in modo tale che possa prendere decisioni valutando i possibili rischi e benefici (Fang et al., 2017; Isharwal et al., 2017; McIsaac et al., 2016; Townsend and Robinson, 2015): un anziano potrebbe dare maggiore importanza alla qualità della vita piuttosto che alla sopravvivenza per un numero maggiore di anni. Per questa popolazione, infatti, spesso il condurre una vita autonoma e l’indipendenza nelle attività di vita quotidiana costituiscono risultati sanitari a cui è attribuito un maggiore valore (Townsend and Robinson, 2015). Inoltre, la necessità di una dimissione protetta a struttura sanitaria per un anziano può avere gravi implicazioni sociali legate ad esempio all’abbandono dell’ambiente abituale di vita, un impatto psicologico importante con la comparsa di depressione e pesanti ripercussioni a livello economico per le aumentate spese sanitarie (Wachal et al., 2017).
La valutazione della fragilità non deve precludere all’assistito la possibilità di ricevere trattamenti chirurgici potenzialmente salva-vita (Vermillion et al., 2017): può invece, soprattutto per la chirurgia elettiva, spingere alla riflessione sul rapporto rischio-beneficio, orientando le scelte (Wachal et al., 2017) verso un approccio meno invasivo possibile in modo da ridurre al minimo lo stress chirurgico indotto da un intervento maggiore (Chan et al., 2019). A questo proposito, lo studio di Hall et al. del 2017, ha dimostrato che un programma basato sullo screening preoperatorio per la fragilità nei soggetti sottoposti a chirurgia elettiva a cui seguiva, per i pazienti fragili, una rivalutazione del percorso chirurgico e anestesiologico con chirurghi, anestesisti e palliativisti e una migliore gestione dell’assistenza postoperatoria, ha migliorato la sopravvivenza a medio e lungo termine delle persone più fragili (Hall et al., 2017). La valutazione preoperatoria della fragilità può anche consentire di prevedere proattivamente la destinazione di dimissione, migliorando la pianificazione delle dimissioni e riducendo la durata della degenza ospedaliera non necessaria alle cure chirurgiche, gestendo quindi meglio le risorse finanziare a disposizione degli enti ospedalieri (Wachal et al., 2017). Alcuni studi hanno infine indicato che la valutazione preoperatoria deve essere volta ad indicare la necessità di trattare alcune variabili fragilità-correlate prima dell’intervento chirurgico, in modo tale da ridurre il grado di fragilità dell’assistito, attraverso un’adeguata terapia nutrizionale, la partecipazione a programmi di esercizio fisico, il supporto farmacologico per la correzione degli stati di anemia e sarcopenia (Chan et al., 2019; Vermillion et al., 2017).

Tema 4. Interventi applicabili per il trattamento della fragilità

Il rischio relativamente elevato di esiti negativi chirurgici nei pazienti fragili porta alla domanda se la fragilità preoperatoria possa essere modificata per migliorare gli outcome. In letteratura un approccio chiamato pre-abilitazione è stato valutato come mezzo per migliorare la riserva fisiologica di pazienti ad alto rischio (Kraiss et al., 2015). La revisione di Richards et al., pubblicata nel 2018 e comprendente la letteratura a partire dagli anni Novanta, evidenzia come le pre-abilitazioni basate sugli esercizi fisici preoperatori abbiano un impatto positivo non solo sulle componenti muscolo-scheletriche ma anche sulla riduzione delle complicanze respiratorie e sulla durata della degenza (Richards et al., 2018). Risultati simili emergono dalla revisione di Townsend et al., (2015) che segnalano che la fisioterapia dei muscoli inspiratori nel preoperatorio può portare outcome polmonari positivi a seguito della chirurgia cardiotoracica (Townsend and Robinson, 2015). Secondo Kraiss et al.,(2015) le strategie di pre-abilitazione basate su un singolo intervento hanno restituito risultati variabili; la pre-abilitazione multimodale, che agisce su più domini della fragilità, ha mostrato risultati più promettenti ma non definitivi (Kraiss et al., 2015). Rispetto alla pre-abilitazione multidimensionale, uno studio italiano condotto su un campione di soggetti candidati a interventi chirurgici in elezione per tumori esofagei, gastrici o alla testa del pancreas ha dimostrato che la pre-abilitazione multidimensionale potrebbe essere davvero efficace nel migliorare la resistenza dei pazienti a eventi stressanti come interventi di chirurgia maggiore: infatti, nel gruppo di soggetti fragili coinvolti nella pre-abilitazione basata su supporto nutrizionale iniziato nel preoperatorio (due settimane prima dell’intervento) ed esercizi atti a migliorare lo stato muscolare e la funzione respiratoria, si presentava un più basso tasso di mortalità e una migliore ripresa postoperatoria, con una minore durata della degenza rispetto a quanto avveniva nel gruppo di pazienti che non riceveva interventi (Mazzola et al., 2017). Nonostante vi siano alcune evidenze che il supporto nutrizionale e la pre-abilitazione motoria, con esercizi fisici preoperatori, possano essere utili nel migliorare la prognosi (Shimizu et al., 2018), la maggior parte degli studi reperiti, che prendono in analisi campioni chirurgici sottoposti a interventi di vario tipo, indicano la necessità di condurre ulteriori studi (Axley and Schenning, 2015; Kraiss et al., 2015; McIsaac et al., 2017a, 2016; Shimizu et al., 2018; Townsend and Robinson, 2015). Lo studio caso-controllo di Chia-Hui Chen et al., (2019) prevedeva un approccio di tipo riabilitativo, intrapreso nel postoperatorio a seguito di interventi a carico dell’apparato gastrointestinale. La riabilitazione si basava sul protocollo HELP (Hospital Elder Life Program) modificato, che comprendeva interventi di mobilizzazione precoce (deambulazione o mobilizzazione attiva degli arti per 3 volte al giorno), di supporto nutrizionale e attività cognitivo-relazionali. L’applicazione del protocollo era operata da un infermiere formato fino alla dimissione. I soggetti che ricevevano il trattamento basato sul protocollo HELP presentavano un tasso di sviluppo o di persistenza di fragilità durante il ricovero inferiori rispetto al gruppo di controllo (12.0% vs 21.7%, P = 0.022 e 50.0% vs 92.9%, P = 0.03, rispettivamente) e pertanto il protocollo mHELP si è dimostrato efficace nel ridurre il peggioramento dello stato nutrizionale, nel prevenire lo sviluppo della fragilità e nel migliorare le condizioni di fragilità già presenti prima del ricovero (Chia-Hui Chen et al., 2019).

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

La fragilità in Italia nei soggetti sottoposti a intervento chirurgico è un fenomeno diffuso (Accardi et al., 2018; Lusignani et al., 2018). La letteratura analizzata è tendenzialmente concorde nel definire che vi è una relazione fra fragilità ed esiti sfavorevoli nel postoperatorio. Il dato che emerge dallo studio di McIsaac et al., (2017) rispetto all’aumentata mortalità nei soggetti fragili operati in ospedali con volumi di attività più ridotti, chiarisce da una parte, che i processi di cura messi in atto negli ospedali che trattano un più esteso bacino di utenza di soggetti fragili non richiedono sostanziali risorse economiche aggiuntive per ottenere risultati migliori e, dall’altra, che concentrare le cure perioperatorie nei centri che trattano frequentemente pazienti fragili ad alto rischio potrebbe migliorare gli esiti chirurgici (McIsaac et al., 2017c). In Italia, non sono stati condotti studi simili: non è noto se il fenomeno rilevato dagli autori canadesi sia presente in egual misura nel contesto italiano; potrebbe pertanto essere utile eseguire studi specifici volti a valutare l’effettivo verificarsi di questo fenomeno. Difatti, sono disponibili prove, supportate dalla letteratura scientifica, relative all’associazione tra volumi di attività e migliori esiti delle cure, in una varietà di ambiti chirurgici e ostetrico-ginecologici. Il principio della sicurezza delle cure, che ha guidato la chiusura dei punti nascita con volume di attività inferiore ai 500 parti/anno come da Decreto Ministeriale n.70/2015, (Ministero della Salute, 2015) potrebbe guidare la scelta di ripensare l’assistenza per i soggetti fragili, eventualmente accentrandone le cure in centri di riferimento, aumentando così la sicurezza delle procedure chirurgiche. Dalla letteratura emerge che, se da un lato il riconoscimento delle caratteristiche di fragilità di un individuo può essere d’aiuto nel processo di decision making clinico, volto a stabilire un percorso chirurgico che dia l’esito ritenuto più favorevole per la persona, dall’altro l’equipe sanitaria dovrebbe mettere in atto una serie di interventi volti a contenere possibili outcome negativi derivati dalla chirurgia. Dalla revisione condotta emerge però che l’utilità della pre-abilitazione nel migliorare lo stato di fragilità del soggetto e quindi ridurne l’impatto sugli outcome chirurgici è una variabile tuttora controversa, su cui il dibattito rimane aperto. Al momento, si ritiene che gli interventi mutidimensionali, volti a trattare la fragilità a più livelli siano più efficaci degli interventi rivolti a trattare unicamente gli aspetti relativi al sistema muscoloscheletrico o i deficit nutrizionali, ma le conoscenze risultano ancora scarse e poco approfondite. Potrebbe quindi essere utile, come proposto da McIsaac et al., lo sviluppo di un trial clinico randomizzato multicentrico e ampio, a basso rischio di bias, per valutare l’efficacia di interventi promettenti, nei soggetti anziani fragili (McIsaac et al., 2017a). Per quanto riguarda la gestione postoperatoria dell’anziano, nell’ultimo trentennio sono state sperimentate unità operative specificatamente individuate per l’assistenza postoperatoria degli anziani sottoposti a chirurgia ortopedica. Queste unità operative, definite come “ortogeriatrie” prevedevano la presa in carico congiunta da parte di un chirurgo ortopedico e di un geriatra: è stato dimostrato che questo approccio integrato ha un effetto positivo sugli outcome postoperatori ed in particolar modo sulla mortalità post-chirurgica (Frondini and Lunardelli, 2010; Grigoryan et al., 2014; Incalzi et al., 1995). Pertanto, potrebbe essere utile, in un’ottica di assistenza multidisciplinare, estendere l’esperienza dell’ortogeriatria ad altre specialità, creando unità operative di tipo chirurgico, in cui chirurghi e geriatri lavorino a stretto contatto con personale infermieristico e professionisti della riabilitazione, per gestire il percorso clinico-assistenziale perioperatorio del soggetto anziano fragile, al fine di migliorarne gli outcome. La valutazione dello stato di fragilità di un anziano non dovrebbe, quindi, essere fine a se stessa ma dovrebbe fornire l’occasione di discutere riguardo alle aspettative ed ai desideri del paziente per cui si prevede un esito postoperatorio sfavorevole ed eventualmente pianificare prima dell’intervento chirurgico strategie volte alla miglior gestione del percorso chirurgico, che prevedano anche, se necessario, l’eventualità di ricorrere alle dimissioni protette. L’infermiere ha un ruolo chiave all’interno dell’equipe multidisciplinare in quanto rappresenta la figura che trascorre più tempo con l’assistito: pertanto, risulta in grado di cogliere progressi o segnali di esiti sfavorevoli che potrebbero insorgere nel postoperatorio. È dunque fondamentale e necessario che, nell’ottica dei grandi cambiamenti socio-demografici che si stanno verificando, si ripensi la formazione dell’infermiere, attribuendo maggiore spazio e approfondimento agli argomenti relativi alla fragilità e all’assistenza geriatrica sia nel piano di studi di base che nei percorsi post-.base, affinché il professionista futuro sia in grado di fronteggiare le richieste e le necessità di questa popolazione sempre più emergente.

BIBLIOGRAFIA

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Silvia Ronchi

Direzione Professioni Sanitarie, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
RN, MSN, Health professions directorate, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milan

Emanuela Racaniello

Direzione Professioni Sanitarie, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
RN, MSN. Health professions directorate, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milan

Roberto Accardi

Direzione Professioni Sanitarie, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
RN, MSN, PhD. Health professions directorate, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milan