Flussi migratori, tratta e violenza contro le donne: uno spaccato letto attraverso la revisione della letteratura

Migration flows, trafficking, and violence against women: a cross-section read through literature review

 

RIASSUNTO

Introduzione. La migrazione, presente da millenni, è oggi di estrema attualità interessando soprattutto l’Europa. Molti sono i fattori che interessano la migrazione in cui le differenze di genere sono fondamentali e le donne sono maggiormente esposte a rischi. Nel 2019 il numero di migranti ha raggiunto oltre 270 milioni di persone, di cui il 48% erano donne. Spesso i flussi migratori sono correlati al fenomeno della ‘tratta di esseri umani’. Obiettivi. Analizzare, gli studi che hanno descritto i flussi migratori in termini di violenza sul genere femminile e conseguenze, con attenzione alla tratta. Metodi. È stata condotta una revisione della letteratura considerando le donne adulte, immigrate, che avevano subito violenza, anche durante la tratta. L’analisi ha interessato il periodo 2012-2022 con la consultazione delle banche dati Medline/Pubmed, CINAHL, PsycINFO e GOOGLE SCHOLAR. Risultati. Sono stati inclusi 6 articoli da cui è emerso che le donne migranti e vittime di tratta di esseri umani subiscono violenza e sono esposte a rischi per la salute fisici e psicologici; sono oggetto di Sexual Gender-Based Violence e si evidenzia un bisogno di natura sociale. Conclusioni. Si incoraggia l’implementazione alla ricerca di interventi, politiche ed approcci appropriati a questi fenomeni per migliorare le condizioni di vita delle donne, prevenire i danni conseguenti, valutare i bisogni e fornire un’assistenza mirata auspicando anche un maggior dialogo con la letteratura antropologica. Società, politiche, educazione, Paesi coinvolti, sistemi di cura e assistenza devono essere coinvolti nella risposta alla sofferenza delle donne migranti anche nella tratta. Parole chiave. Assistenza Infermieristica, Donne, Tratta di esseri umani, Viaggio di migrazione, Violenza

 

ABSTRACT

Background. Mobility is a topical phenomenon affecting Europe today involving gender differences as crucial. Women are at greater risk during migration. In 2019, the migrants’ number reached over 270 million people, female migrants accounted for 48%. Migration flows are often linked to the ‘human trafficking’ phenomenon. Objectives. Analyze, studies that have described migration flows in terms of female gender violence and consequences, with a focus on trafficking. Methods. The study was based on a literature review with a focus on phenomena related to violence against women in migration flows and during trafficking. The temporal analysis includes articles from the last 10 years. Medline/Pubmed, CINAHL, PsycINFO and GOOGLE SCHOLAR databases were consulted. Results. The literature review reported the inclusion of six articles; female migrants and trafficking victims experience violence and are exposed to physical and psychological health risks; female migrants and trafficking victims are subjected to Sexual Gender-Based Violence and a need of a social nature is highlighted. Conclusions. The implementation and research of interventions, policies and approaches appropriate to these phenomena are encouraged to improve the living conditions of women, prevent consequential damage, assess needs and provide targeted assistance, also hoping for greater dialogue with the anthropological literature. Society, policies, education, countries involved, care and assistance systems must be involved in responding to the suffering of migrant women also in trafficking. Key words. Human Trafficking, Migration journey, Nursing Care, Violence, Women.

 

INTRODUZIONE

La mobilità, fenomeno universale presente da millenni, è ancora oggi di estrema attualità soprattutto per gli aspetti geopolitici, che riguardano sia l’Europa, attraverso il Mediterraneo e i confini naturali oltralpe, sia gli spostamenti interni al continente africano. Molti sono i fattori che intercorrono nel fenomeno migratorio e le differenze di genere, nell’accezione più ampia, sono fondamentali. Nonostante la molteplicità dei percorsi e la diversità delle rotte, le donne sono maggiormente esposte a rischi durante le migrazioni (La Cascia, Cossu et al., 2020). Contestualizzare i fenomeni legati ai flussi migratori non è impresa facile per molteplici ragioni e per le difformità dei processi che costituiscono il fenomeno migratorio. Dal punto di vista semantico l’Organizzazione Mondiale per le Immigrazioni (OIM) nel 2019 ha definito il ‘flusso migratorio’ come ‘lo spostamento delle persone dal loro luogo di residenza, attraverso un confine internazionale o all’interno di uno Stato’. Negli ultimi anni i flussi migratori, soprattutto via mare, hanno raggiunto livelli molto elevati coinvolgendo un grande numero di persone, tra cui molte donne provenienti principalmente dai paesi più colpiti dalle guerre, come Siria, Afghanistan, Sud Sudan e Venezuela.
Si stima che nel 2019 il numero di migranti abbia raggiunto oltre 270 milioni di persone, pari al 3,5% della popolazione mondiale; le donne migranti rappresentavano il 48% e le migrazioni sono state categorizzate in “volontarie” e “forzate”, in base alle motivazioni che muovevano il percorso; in Italia 75.065 migranti sono sbarcati dal 01 gennaio al 14 luglio 2023 (Ministero dell’Interno). Tali dati sono in forte aumento, se si paragonano ai 173 milioni del 2000 o ai 102 milioni del 1980 (Diritto Consenso, 2020). Spesso, i flussi migratori sono correlati al fenomeno della ‘tratta di esseri umani’ intesa come ‘un processo che comporta il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’accoglienza o l’ospitalità di persone attraverso la minaccia, la forza, la coercizione, il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere, la consegna e la ricezione di pagamenti a scopo di sfruttamento, ivi compresa la prostituzione e altre forme di sfruttamento sessuale, lavoro e servizi forzati, schiavitù e pratiche simili, servitù involontaria ed espianto di organi’ (Perera, 2011). Secondo stime recenti, quasi 21 milioni di persone si trovano in situazioni di lavoro forzato in tutto il mondo come risultato della tratta di esseri umani (ILO, 2012). Le donne e soprattutto le bambine rappresentano il 70% di tutte le vittime della tratta di esseri umani nel mondo (United Nations Office on Drugs and Crime, 2014). Sistemi patriarcali, pratiche che tendono ad alimentare la violenza, discriminazione di genere, approcci politici e misure legali discutibili alimentano il mercato della tratta delle donne. In Africa, le disuguaglianze di opportunità portano le donne a fuggire diventando vulnerabili alle reti della tratta.
Le donne e le ragazze sono vittime della tratta a scopo di prostituzione o lavoro forzati subendo abusi di tipo fisico, sessuale, economico e psicologico. I rapporti di Caritas e Fondazione Migrantes degli ultimi anni confermano che, secondo gli operatori del sistema di accoglienza, quasi la totalità delle donne migranti ha subìto nel viaggio una qualche forma di violenza, soprattutto sessuale (Vita, 2020 ).
Secondo l’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere (2019), le forme della violenza fisica sono classificate come aggressioni da lievi a gravi, a seconda del danno fisico che producono sulla vittima. La ‘Violenza sessuale’, invece, è definita come un atto che include ogni comportamento agito o ottenuto senza consenso (Magesa and Kitula, 2020). Anche la violenza psicologica è un fenomeno altrettanto devastante che si manifesta come un abuso atto a intimare o perseguire, assumendo talvolta le forme dell’abbandono, del confinamento, dell’umiliazione, del controllo (Gass, Wilson et al., 2019). Alla violenza psicologica segue, spesso, la violenza economica che comporta la negazione del cibo e dei bisogni primari, il controllo dell’accesso all’assistenza sanitaria e ai fondi finanziari (Magesa and Kitula, 2020).
La ‘Convenzione di Istanbul’ è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto alla tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014. Ad oggi la Convenzione è stata siglata da 44 Stati parte del Consiglio d’Europa e dall’Unione Europea, ed è stata ratificata da 27 Stati, tra cui l’Italia (Senato della Repubblica). Per ciò che concerne la legislazione italiana, lo Stato, già molto anticipatamente rispetto alla Convenzione, si è mosso a tutela dell’immigrazione. Già la legge Martelli del 1990, rafforzata dalla Legge 6 marzo 1998, n. 40, cosiddetta Turco – Napolitano, furono le prime a trattare l’immigrazione verso l’Italia in modo sistemico e non solo emergenziale, applicandosi a tutti i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi, cui vengono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana, tra cui dignità, uguaglianza, libertà e salute. Dunque, un articolato normativo garantista e tutelante i diritti dell’individuo migrante, sostenuto da quanto disciplinato nella Costituzione Italiana, in particolare con l’articolo 32 che ribadisce la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività (Governo Italiano).
Dal 2002 e più recentemente il Parlamento ha adottato nuovi provvedimenti, in materia di protezione internazionale e per il contrasto all’immigrazione illegale (Avviso Pubblico, 2017).
Spostando il focus normativo in altri Paesi, ad esempio nell’Africa subsahariana, la Carta africana, il Protocollo di Maputo, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women-CEDAW, 1979) e altri strumenti regionali e internazionali, prevedono meccanismi per affrontare la violenza contro le donne, la discriminazione e la disuguaglianza di genere (Amahoro, 2021). In Afghanistan una legge contro la violenza sulle donne esiste dal 2009 sotto forma di Decreto del Presidente, ma non è stata mai approvata dal Parlamento (Il Post, 2013). Anche in Messico la violenza contro le donne è molto diffusa (Mondo Internazionale, 2022).
Coloro che giungono in Italia a seguito di migrazione sono accolti in Centri di Accoglienza (CdA) per un primo soccorso, vengono identificati negli hot-spot presenti in particolare sulle coste di prossimità dei Paesi di provenienza e, se sussistono le circostanze atte a formalizzare la richiesta di asilo politico, i migranti vengono trasferiti nei centri di prima accoglienza dove effettuano visite mediche e vengono raccolte le dichiarazioni dalle autorità competenti per definire la legittimità della loro permanenza nel territorio (Di Martino, Leccesi et al., 2017). Ogni CdA prevede la presenza di una equipe multidisciplinare che si occupa del migrante e spesso, oltre agli operatori socio – sanitari come lo psicologo e l’educatore, sono presenti i mediatori linguistico – culturali. In questo contesto ‘speciale’ per l’équipe si realizza un modello organizzativo multiculturale fondato sulla presa in carico dei bisogni fondamentali di ciascun migrante e orientato a fornire risposte che valutino le possibili barriere linguistiche, le differenze culturali, di costume che potrebbero, in qualche modo, ostacolare una buona assistenza (Nursetimes, 2022). Proprio sulla scorta di questa affermazione, si rinnova il concetto che la presa in carico del migrante, a prescindere dal genere, è sostenuta da professionisti sanitari che rispondono a bisogni di salute ma anche da professionisti con competenze burocratiche e legali specifiche in materia di protezione internazionale, umanitaria e sociale, di diritti e doveri dei richiedenti asilo e rifugiati, della normativa italiana ed europea di riferimento e delle procedure e pratiche da espletare (Bates, Casciola et al., 2018).

 

OBIETTIVI

Con queste premesse, lo scopo di questo studio è stato quello di analizzare, tra la letteratura disponibile, gli studi che hanno descritto i flussi migratori in termini di violenza sul genere femminile e sue conseguenze, con particolare attenzione all’aspetto della tratta.

 

METODI

Lo studio si fonda su una revisione della letteratura con particolare attenzione ai fenomeni legati alla violenza contro le donne nei flussi migratori. Per la ricerca è stato identificato il quesito considerando come target le donne con età maggiore di 18 anni, immigrate, che avevano subito una qualsiasi tipologia di violenza durante la tratta. L’analisi temporale comprende gli articoli degli ultimi 10 anni (2012-2022) in lingua italiana ed inglese, free full text. La ricerca si è fondata sull’identificazione delle Parole chiave (violence, immigrant women, ‘Centri di Prima Accoglienza (CPA)’, migratory flows, places of disembarkation in all the world, nursing care, human trafficking, female violence) e la costruzione delle stringhe di ricerca (Tabella 1). Sono state consultate le banche dati Medline/Pubmed, CINAHL, PSYCINFO e GOOGLE SCHOLAR nel periodo compreso tra aprile e giugno 2022.

 

 

RISULTATI

La revisione della letteratura ha riportato l’inclusione di 6 articoli e l’esclusione di 41 perché concentrati nello specifico solo sul disturbo da stress post traumatico, su malattie sessualmente trasmissibili, o in quanto studi concentrati su minori o genere maschile o ricerche basate sul traffico di esseri umani per reclutare combattenti (Figura 1). Vengono quindi ricompresi nello studio, una revisione narrativa, una revisione sistematica, due studi trasversali, uno studio trasversale quanti-qualitativo e uno studio retrospettivo (Bronsino, Castagneri et al., 2020, La Cascia, Cossu et al., 2020, Magesa and Kitula, 2020, Oram, Abas et al., 2016, Ottisova, Hemmings et al., 2016, Stockl, Fabbri et al., 2021). Come setting di provenienza delle migranti non è stato escluso alcun Paese. (Figura 1)

 

 

Paesi e contesti in cui sono stati condotti gli studi
Una revisione sistematica (Ottisova, Hemmings et al., 2016), che mirava a stabilire la prevalenza della violenza e di altri rischi per la salute (fisica, mentale e sessuale) sperimentati dalle persone vittime di tratta ha considerato studi condotti nell’Asia meridionale e sudorientale, in Europa, in America Latina e in Nord America comprendendo donne, prevalentemente in situazioni di sfruttamento sessuale o reclutate dai servizi di supporto dopo la tratta, in contesti clinici e di comunità. Un altro studio (Oram, Abas et al., 2016) ha indagato la salute fisica e mentale anche di donne sopravvissute alla tratta in un Paese ad alto reddito, come l’Inghilterra poiché la maggior parte della ricerca ad oggi è stata condotta nei paesi a basso-medio reddito, principalmente del Sud e del Sud-Est asiatico e negli Stati post-sovietici. I partecipanti provenivano da oltre 30 paesi tra cui Nigeria, Polonia e Albania. Sono state determinate le diverse forme di abuso subite dalle vittime della tratta di esseri umani durante il viaggio e dopo aver raggiunto il luogo di destinazione, concentrandosi sulle giovani donne della regione di Arusha in Tanzania (Magesa and Kitula, 2020).
Una revisione narrativa della letteratura (La Cascia, Cossu et al., 2020), sulle esperienze delle donne durante il processo migratorio aveva come focus geografico le donne che migrano nel Mediterraneo.

Donne vittime di tratta di esseri umani e violenza
Quando le donne sono trafficate a scopo di tratta, spesso si raccolgono esperienze di violenza fisica e sessuale (oltre il 30% in Cambogia fino al 90% in un’indagine europea) avvenute prima, durante o dopo la tratta (Magesa and Kitula, 2020, Oram, Abas et al., 2016, Ottisova, Hemmings et al., 2016). Nello studio di Oram S. (Oram, Abas et al., 2016), la maggior parte delle donne aveva subito violenza fisica o sessuale durante la tratta. La violenza era perpetrata prevalentemente da partner, familiari, datori di lavoro, clienti, anche con gravidanze indesiderate (Magesa and Kitula, 2020, Oram, Abas et al., 2016). Uno studio sulle donne migranti arrivate in Grecia, ha rilevato che le politiche di immigrazione e l’asilo rappresentano un fattore di rischio per le donne poiché possono subire soprusi anche dalle autorità, prima e durante il viaggio. In particolare, le donne che viaggiano da sole o senza partner maschile sono particolarmente vulnerabili alle aggressioni (La Cascia, Cossu et al., 2020).
Lo studio di Stöckl H. (Stockl, Fabbri et al., 2021) si è proposto di descrivere i casi documentati di violenza tra i sopravvissuti alla tratta e i fattori associati, attingendo alla più grande banca dati globale finora esistente, Victim of Trafficking Dadabase (VoTD), dell’IOM. Di oltre 10.000 vittime di tratta il 54% erano donne che hanno riportato più violenza fisica (54% vs 45%) e sessuale (25% vs 2%) rispetto agli uomini. La maggior parte aveva tra i venti e i trent’anni e la violenza fisica e/o sessuale è risultata significativamente associata al sesso femminile, alla giovane età e allo status socio-economico elevato. L’essere donna e lo status socio-economico più elevato sono rimasti significativamente associati alle segnalazioni di violenza fisica e/o sessuale, considerando anche i fattori legati al transito e allo sfruttamento (Stockl, Fabbri et al., 2021).
Uno studio ha descritto le Violenze Sessuali di Genere (Gender-Based Sexual Violence-SGBV) denunciate dalle donne richiedenti asilo durante il viaggio dal paese d’origine all’Italia, utilizzando dati derivanti dalle cartelle cliniche di uno dei più grandi hub regionali italiani. All’arrivo in Italia si è riscontrata una maggiore prevalenza di malattie [del sangue, dell’apparato digerente, neurologiche, psicologiche, genitali, infezioni da Human Immunodeficiency Virus (HIV) (‘Acquired Immune Deficiency Sindrome-AIDS’)]. Più del 50% erano gravide in media al 2°-3° mese di gestazione; il 70% ha richiesto un’interruzione volontaria di gravidanza. Questi dati nelle donne vittime di SGBV erano più elevati in relazione alle altre donne migranti. Dalle cartelle cliniche è stato possibile identificare circa il 16% di donne vittime di tratta anche se si sospettavano percentuali maggiori, spesso con la complicità dei familiari. Quasi il 70% ha riferito alla prima visita di aver subito violenza ricevendo così supporto psicologico immediato. Solo l’8% ha denunciato ufficialmente la SGBV all’Autorità giudiziaria (Bronsino, Castagneri et al., 2020).
Dallo studio condotto in Inghilterra (Oram, Abas et al., 2016), emerge che le donne sono state più spesso vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, lavorativo o di servitù domestica; generalmente più giovani degli uomini e con un grado di istruzione inferiore, talvolta sole ma con la medesima probabilità di generare figli. Oltre il 40% delle donne viveva con i propri figli e aveva subito una qualche situazione di sfruttamento in media per 12 mesi; più dell’80% aveva subito forti limitazioni negli spostamenti. Nello studio condotto in Tanzania (Magesa and Kitula, 2020) la maggior parte del campione di donne aveva un’età compresa tra i 20 e i 24 anni, il 44% era sposata e il 74% aveva completato almeno l’istruzione primaria. Gli abusi inflitti alle giovani donne erano perpetrati da persone diverse, soprattutto dai datori di lavoro e dai trafficanti. In un altro studio (La Cascia, Cossu et al., 2020) è riportato che oltre un terzo delle donne ha dichiarato di aver subito molestie sessuali da parte degli agenti nei centri di accoglienza e durante la visita medica oltre il 40% dei richiedenti asilo dichiarava di aver subito violenza e torture a scopo sessuale.

Donne migranti e diverse forme di violenza
Nello studio condotto in Italia (Bronsino, Castagneri et al., 2020) quasi 2.500 donne hanno avuto accesso al CdA, oltre il 50% aveva un’età compresa tra i 18 e i 24 anni e la maggior parte proveniva dall’Africa subsahariana. Si sono evidenziati circa una cinquantina di casi di tortura e violenza sessuale, per la maggior parte avvenuti durante la permanenza in Libia. Nonostante la scarsità di dati sulla salute delle donne africane migranti arrivate in un Paese europeo, uno altro studio italiano (La Cascia, Cossu et al., 2020) ha mostrato che quasi tutte le donne coinvolte avevano subito abusi in Libia, con violenze sessuali e mutilazioni genitali femminili (Female Genital Mutilation-FGM).
La violenza da partner intimo (Intimate Partner Violence Against Women-IPVAW), nonostante le conseguenze per la salute generale e mentale, secondo un’analisi comparativa su 17 paesi subsahariani è considerata un atto giustificabile dagli uomini e dalle donne in talune circostanze come l’ ‘abbandono dei figli’, le ‘uscite senza informare il marito’, l’‘obiezione al marito’ e il ‘rifiuto dei rapporti sessuali con il coniuge’. Sembra essere più accettabile per i giovani meno istruiti, più poveri, che vivono nelle zone rurali. Anche tra i richiedenti asilo nei Paesi ad alto reddito, l’incidenza di SGBV era elevata. In Tanzania, si stima che quasi 8 milioni di donne e ragazze siano state sottoposte a FGM; il 69% delle partecipanti ad uno studio riferiva FGM a varie età (La Cascia, Cossu et al., 2020).

Donne migranti, tratta di esseri umani e salute mentale
I dati generali sulla salute mentale dei migranti rivelano livelli elevati di ansia, depressione, Disturbo Post-Traumatico da Stress (Post-Traumatic Stress Disorder-PTSD), disturbo da panico e agorafobia. Questi dati sono raramente disaggregati per genere, rendendone difficile lo studio per le donne. La salute mentale dei migranti sembra essere influenzata dalle esperienze vissute nel paese d’origine (pre-migrazione), dal processo migratorio stesso e dalle condizioni di vita nel Paese di insediamento (post-migrazione) (La Cascia, Cossu et al., 2020).
Alcuni studi sulla salute mentale delle vittime di tratta di esseri umani riportano la presenza di depressione, ansia, PTSD, sintomi clinicamente significativi di disagio psicologico fino all’ideazione suicidaria (Magesa and Kitula, 2020, Oram, Abas et al., 2016, Ottisova, Hemmings et al., 2016).
Durata ed esperienza traumatiche nel viaggio di migrazione rendono le donne particolarmente vulnerabili al disagio psicologico. Anche i rifugiati sono particolarmente a rischio di problematiche legate alla salute mentale. L’isolamento sociale è un fattore predittivo di problematiche legate alla salute mentale. Durante la fase post-migratoria, è possibile che i migranti restino nei campi profughi per mesi o anni, dove le condizioni di vita possono esporre allo sviluppo di disturbi legati allo stress; le donne sono particolarmente esposte e hanno una probabilità doppia di sviluppare un PTSD rispetto agli uomini per differenti ragioni (insufficienza di risorse per il supporto sociale, reazioni psicobiologiche acute al trauma specifiche per sesso, violenze da parte di aggressori) (La Cascia, Cossu et al., 2020).
Depressione, psicosi e disturbi correlati al trauma sono esiti comuni di persecuzioni legate al genere; alcuni studi hanno indicato un’alta prevalenza nell’uso di droghe e alcol tra le donne vittime di tratta (La Cascia, Cossu et al., 2020, Oram, Abas et al., 2016, Ottisova, Hemmings et al., 2016).

Donne migranti, tratta di esseri umani, sintomi e altre patologie
I sintomi fisici più comunemente riferiti dalle vittime di tratta, in percentuali superiori al 50% sono cefalea, dorso-lombalgia, dolore addominale, odontalgia, stanchezza e vertigini (Oram, Abas et al., 2016, Ottisova, Hemmings et al., 2016). La stima della prevalenza dell’HIV nelle donne vittime di tratta in uno studio era del 18% nonostante una elevata eterogeneità. Una maggiore durata dello sfruttamento è associata a maggiori probabilità di infezione e una potenziale associazione vi è tra probabilità di infezione e prevalenza dell’HIV nelle aree geografiche verso o da cui le donne sono state vittime di tratta (Ottisova, Hemmings et al., 2016). Alcuni studi hanno riportato una prevalenza di sintomi legati alle Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST) che variava dal 6% per le donne sfruttate sessualmente in Israele al 66% per le prostitute vittime di tratta in Tailandia (Oram, Abas et al., 2016, Ottisova, Hemmings et al., 2016).

Donne migranti, aspetti socio-culturali e acceso ai servizi
In relazione al soddisfacimento dei bisogni, uno studio evidenzia una scarsità di risposta alle richieste di natura sociale e di budgeting, con ridotta disponibilità economica per i beni essenziali, accesso ai sussidi o limitata vita sociale, spesso correlata a mancanza di conoscenza dei servizi di supporto psicologico e clinico nei Paesi di accoglienza (Oram, Abas et al., 2016). Altre barriere all’accesso alle cure sono rappresentate dalla lingua, dal background culturale e dalla pressione sociale. Le donne immigrate che subivano violenza da parte del partner spesso non riuscivano ad allontanarsi da quella relazione per l’elevato livello di insicurezza sociale e finanziaria nel Paese di destinazione. Uno studio condotto in Spagna ha similmente evidenziato che può sussistere una forte associazione tra lo stato di immigrazione, il sostegno personale, sociale, familiare e la violenza da parte del partner. L’esposizione al rischio di subire ulteriori violenze una volta arrivate nei Paesi ospitanti per le donne migranti è molto elevata. Spesso le donne non riescono ad accedere alle cure per la violenza subita né durante il viaggio, né una volta arrivate nel Paese ospitante. Uno studio condotto a Pavia ha mostrato che solo la metà del campione di donne migranti aveva avuto accesso ad una procedura diagnostica e/o aveva avuto una prescrizione di farmaci; solo un terzo aveva fruito del servizio di prevenzione/controllo per le malattie croniche (La Cascia, Cossu et al., 2020).

 

DISCUSSIONE

Nonostante le recenti modifiche geopolitiche relative alla capacità ricettiva dei migranti nei Paesi europei, la situazione rimane complessa per molteplici aspetti (La Cascia, Cossu et al., 2020). Allo stato attuale il numero dei migranti sbarcati in Italia a decorrere dal 01 gennaio al 14 luglio 2023 è di 75.065 persone contro le 31.920 e 24.624 del 2022 e 2021 rispettivamente. Le principali nazionalità dichiarate al momento dello sbarco sono la Costa d’Avorio, la Guinea, l’Egitto, il Bangladesh, il Pakistan, la Tunisia, Burkina Faso, Siria, Camerun e il Mali (Ministero dell’Interno).
La revisione condotta aveva lo scopo di descrivere i flussi migratori in termini di violenza sul genere femminile e sue conseguenze, con particolare attenzione all’aspetto della tratta.
Gli studi considerati sono stati condotti nei paesi dell’Asia meridionale e sud-orientale, Europa, America latina, nord America, Inghilterra, Africa e considerando anche le donne che migrano attraverso il mediterraneo. Le donne vittime di SGBV avevano un’età compresa tra i 18 e i 30 anni ad eccezione di un solo caso (Bronsino, Castagneri et al., 2020). Si sono evidenziati aspetti che riguardavano le donne, la migrazione, la violenza, la tratta, i rischi per la salute fisica e mentale e bisogni di natura sociale (Bronsino, Castagneri et al., 2020, La Cascia, Cossu et al., 2020, Magesa and Kitula, 2020, Oram, Abas et al., 2016, Ottisova, Hemmings et al., 2016, Stockl, Fabbri et al., 2021).
Emerge dallo studio che la tratta di esseri umani per le donne si sovrappone alla violenza nelle sue differenti forme (fisica, sessuale, psicologica, economica) e nelle diverse fasi temporali che la caratterizzano perpetrata prevalentemente dai trafficanti, nella sfera familiare o lavorativa ma anche da parte di coloro che nelle diverse fasi del viaggio della migrazione dovrebbero garantirne l’incolumità. Le ragioni che spingono le donne alla migrazione variano in base al Paese d’origine e possono comprendere circostanze politiche, culturali e religiose. Nell’ambito del lavoro domestico nei Paesi in cui la tratta è fenomeno comune la violenza rivolta alle donne sfruttate da parte dei membri della famiglia è un comportamento raramente condannato; la IPVAW in molti paesi sub-sahariani è giustificata sia dagli uomini che dalle donne. Per molte donne la fine del viaggio rappresenta l’inizio di nuove forme di violenza che subiscono nei CdA, perché sovraffollati e poco protetti o controllati.
Le donne sono maggiormente esposte alla violenza se sole, più giovani, con un basso grado di scolarità, segnalando maggiormente se appartenenti ad uno status socio-economico più elevato. Nello specifico della SGBV e in relazione alla notevole disponibilità di dati sui migranti in Italia emerge una maggiore prevalenza di malattie tra cui le sessualmente trasmesse e di gravidanze indesiderate per cui in elevata percentuale ne è richiesta l’interruzione. L’SGBV assieme alle altre forme di violenza rappresenta un rischio costante per le donne migranti in tutte le fasi del viaggio verso l’Europa (La Cascia, Cossu et al., 2020, Lopez-Domene, Granero-Molina et al., 2019, Vu, Adam et al., 2014). Da ciò deriva che probabilmente il fenomeno risulta maggiormente esteso in relazione al fatto che sia poco indagato anche per difficoltà metodologiche e che molte donne non denunciano la loro condizione soprattutto quando le violenze avvengono durante il viaggio. In letteratura è riportata questa difficoltà di stimare il fenomeno nelle sue diverse forme assieme ad una prevalenza eterogenea (Araujo, Souza et al., 2019) che ne suggerisce una sottostima legata alla mancata segnalazione per paura di ritorsioni (De Schrijver, Vander Beken et al., 2018, Keygnaert, Dias et al., 2015).
La violenza legata alla tratta è dunque da considerarsi a tutti gli effetti come violenza di genere essendo le donne maggiormente coinvolte (Kiss, Pocock et al., 2015, Stockl, Fabbri et al., 2021) ed è associata anche ad altri fattori legati alla modalità di reclutamento e di transito nei diversi Paesi (Kiss and al., 2019, Passos and al., 2020). Le donne migranti sono anche oggetto di violenza in termini di abusi, torture e FGM.
In generale per quanto riguarda l’ambito della salute mentale dei migranti emergono livelli elevati di disturbi di diversa natura (es. ansia, depressione, PTSD, ecc.) legati ai differenti vissuti dal pre- al post-migrazione e per cui è difficile stimare una differenziazione di genere. Tuttavia, proprio in relazione ad alcuni elementi specifici come la durata del viaggio e la natura delle esperienze vissute e condizioni dal pre- al post-migrazione (es. isolamento, sfruttamento, violenza, mancanza di risorse) le donne sono particolarmente vulnerabili a problematiche legate alla salute mentale come ad esempio l’abuso di sostanze.
Nonostante nello specifico dell’Italia ad una elevata percentuale di migranti che hanno subito violenza venga offerto supporto psicologico in seguito alla prima visita i disturbi mentali permangono nel tempo anche dopo violenze e/o tratta; per questa ragione si rende necessario prevedere una rete di servizi dedicati alla salute per le vittime di questi fenomeni, che esprimono bisogni anche di natura sociale che, se non soddisfatti, ostacolano la ricostruzione della loro vita, nei paesi sia a basso che a medio reddito (Abas, Ostrovschi et al., 2013, Oram, Abas et al., 2016, Ottisova, Hemmings et al., 2016).
Le donne che hanno subito una SGBV sperimentano più malattie e riferiscono difficoltà ad accedere alle cure sia durante il viaggio che a destinazione, esprimendo un bisogno di assistenza sanitaria (Center for Reproductive Rights, 2017) spesso non riconoscendo, per ragioni culturali i problemi psicologici post trauma violento, anche a lungo termine e non riportando ai sanitari la violenza subita (Oliveira, Oliveira Martins et al., 2019, WHO, 2019). Ancor di più pertanto si alimenta la scarsità di dati relativi alle violenze subite dalle donne nella migrazione che arrivano nei Paesi del Mediterraneo e sull’esposizione a malattie anche di natura psicologica nonché sulla presenza di servizi dedicati.
Limitata risulta ancora la risposta ad un bisogno di sussistenza e di natura sociale legato a barriere quali la mancata conoscenza della presenza di servizi dedicati sia durante il viaggio della migrazione che nel Paese di accoglienza, la lingua, il background culturale, la pressione sociale.
Dalla revisione non emergono nel dettaglio aspetti legati alla competenza specifica e alla tipologia dei professionisti in relazione alla presa in carico delle donne migranti una volta giunte nei Paesi di destinazione. Tali aspetti potrebbero risultare strategici nella tutela delle persone accolte nei centri e meriterebbero attenzione. Nello specifico, per l’infermiere sarebbe interessante avere maggiore dettaglio sulla modalità di reclutamento e di allocazione nelle strutture. Questi aspetti organizzativi non sono secondari e la competenza dell’Infermiere può e deve esprimersi a favore delle vittime di violenza e di tratta che si avvicinano al nostro Paese, contestualizzata in un setting inusuale, come quello dei CdA, dove la multidisciplinarietà è l’elemento vincente della presa in carico. A tal proposito si richiamano gli articoli del Codice Deontologico del 2019 che trattano nello specifico la tutela della presa in carico dell’assistito oltre il pregiudizio, l’etnia, la religione, il credo, la cultura. Multidisciplinarietà e multi-professionalità consentono di valorizzare le interazioni umane che devono essere permeabili al mutamento, alle novità e alla ricostruzione degli eventi una volta accaduti.

 

LIMITI

Non sono stati inclusi gli studi pubblicati in lingue diverse dall’inglese se non la lingua italiana. L’eterogeneità, il numero limitato degli studi, le modalità di campionamento di alcuni studi (non probabilistico, numerosità campionaria ridotta) limitano le conclusioni di questa revisione. L’elaborazione di dati offerti da data-set non rappresenta un’indagine sistematica basata su strumenti validati ed è di natura trasversale con i conseguenti limiti legati alla causalità. Non vi è la certezza della rappresentatività della popolazione complessiva delle vittime di tratta se si considerano solo coloro che sono entrati in contatto con i servizi post-tratta. Differenze di glossario sono state riscontrate in alcuni studi.

 

CONCLUSIONI

Nonostante l’entità e la gravosità della migrazione per le donne la letteratura epidemiologica è limitata sull’argomento in relazione ad aspetti specifici legati al genere, al disagio legato alla salute in tutte le sue forme e in relazione alle diverse fasi della tratta di esseri umani che ancor oggi rappresenta un crimine di ampia portata. È necessario che la ricerca si attivi con priorità per la grande popolazione globale di donne abusate e sfruttate nella migrazione e nella tratta di esseri umani. Riconoscere le forme di violenza e concentrare gli sforzi della presa in carico multidisciplinare, potrebbe rappresentare una svolta per riconsegnare alle donne fiducia e autostima.
La nostra revisione, in accordo con la letteratura considerata, sottolinea la necessità stringente non solo di ricerca ma anche di interventi, politiche ed approcci appropriati a questo fenomeno per migliorare le condizioni di vita delle donne, prevenire i danni conseguenti, valutare i bisogni e fornire un’assistenza mirata. In questo senso, auspichiamo un maggior dialogo con la letteratura antropologica e, in particolare, con quella branca dell’antropologia sociale che si è occupata di analizzare “da vicino” e “da basso” tanto gli effetti della migrazione sulle traiettorie di vita e di lavoro – ma anche sulla salute e sulla salute riproduttiva – delle donne, sia le modalità utilizzate dagli apparati istituzionali che, a diversi livelli, sottraendo agency alle donne, inquadrandole come vittime, hanno contribuito a renderle soggettività ancor più marginali.
Tutte le parti interessate (società, politiche, educazione, Paesi coinvolti, sistemi di cura e assistenza) con responsabilità dovrebbero essere coinvolte con prontezza per affrontare e rispondere alla vulnerabilità e sofferenza delle donne migranti anche nello specifico delle diverse fasi della tratta di esseri umani per favorire il diritto per le donne a riprendere una vita libera e indipendente anche nell’ottica di una piena integrazione nei Paesi ospitanti.

 

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Conflitto di Interesse

Nessun autore ha conflitti di interesse da dichiarare
Fonti di finanziamento
La revisione condotta non ha ricevuto finanziamenti
Contributo degli autori
Tutti gli autori hanno contribuito all’ideazione, alla conduzione alla stesura o revisione critica dello studio e ne hanno approvato la versione finale. Tutti gli autori sono in accordo sull’ordine in cui i nomi sono elencati nel manoscritto

Il nostro gruppo di ricerca è profondamente interessato alla salute e al benessere delle donne. La mobilità è ancora oggi di grande attualità e il fenomeno migratorio coinvolge molti fattori, tra cui le differenze di genere. Le tappe del viaggio possono portare a situazioni di disagio e le donne sono più a rischio durante la migrazione. I flussi migratori sono spesso collegati al fenomeno della “tratta di esseri umani”.
La revisione presentata ha analizzato la letteratura disponibile che descrive l’assistenza alle donne nei flussi migratori, con particolare attenzione alla tratta. Le donne migranti e trafficate subiscono violenza, sono esposte a rischi per la salute fisica e psicologica, sono soggette a violenza sessuale di genere e manifestano anche un bisogno sociale.
Tutti gli autori hanno partecipato all’ideazione e alla stesura o alla revisione critica, e hanno approvato la versione finale dell’esperienza proposta.
Gli autori dichiarano assenza di conflitto di interessi e di fonti di finanziamento.

Corresponding Author Stefania Tinti

Corso di Laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Milano, Sezione di Rho, Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Rhodense, Garbagnate Milanese, Milano
stinti@asst-rhodense.it
stefania.tinti@unimi.it
Annalisa Alberti, Corso di Laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Milano, Sezione di Rho, Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Rhodense, Garbagnate Milanese, Milano

 

Aurora Bertoli, Clinica San Carlo – Casa di Cura Polispecialistica, Paderno Dugnano, Milano

 

Paola Ripa, Corso di Laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Milano, Sezione San Giuseppe, Milano

 

Franca Di Nuovo, Dipartimento di prevenzione, ASST-Rhodense, Garbagnate Milanese, Milano

 

Lorenzo Furcieri, Corso di Laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Milano, Sezione di Rho, Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Rhodense, Garbagnate Milanese, Milano

 

Luca Rimoldi, Dipartimento di scienze umane per la formazione ‘Riccardo Massa’, Università degli studi di Milano-Bicocca, Milano

 

Martino Trapani, Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Rhodense, Garbagnate Milanese, Milano

 

John Tremamondo, già in Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Rhodense, Garbagnate Milanese, Milano

 

Adelina Salzillo, già in Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Rhodense, Garbagnate Milanese, Milano