Determinanti di salute ed esiti sensibili alle cure infermieristiche: solitudine ed isolamento sociale

Health determinants and sensitive nursing outcomes: loneliness and social isolation

 

INTRODUZIONE

Secondo fonti statistiche di Eurostat, emerge che il 42% della popolazione europea over 65 vive da sola, con un aumento medio del 2.4% nell’ultimo decennio. È inoltre prevedibile che nei prossimi anni si osservi più di un raddoppio delle persone over 80 in tutta Europa, dal 4.7% al 12.7% (Ascanio JH et al., 2019). Il vivere soli ed incompresi, quali condizioni esacerbate dall’isolamento pandemico rappresentano insieme a malattie cardiache, depressione, ansia e demenza, i maggiori fattori di rischio per la solitudine, che a sua volta può essere causa o concausa di una ridotta qualità di vita, impattando negativamente sulla mortalità stessa delle persone, specie se associata ad una condizione di disabilità psicofisica (Leigh-Hunt et al., 2017; Berg-Weger, Morley, 2020; Rico et al., 2018). Lo scopo di questo articolo è quello di divulgare e discutere criticamente le evidenze riguardanti la solitudine e l’isolamento sociale, quali determinanti ed esiti di salute, sensibilizzando gli stakeholder coinvolti a tutti i livelli del processo di cura. La solitudine dovrebbe essere misurata e controllata rispettivamente tramite adeguati accertamenti ed interventi clinico-assistenziali, a partire dagli infermieri, promuovendo il benessere psico-sociale degli assistiti nella comunità intera, quale pietra angolare della salute pubblica.

Esiti di salute e solitudine: cosa sappiamo?
L’International Consortium for Health Outcomes Measurement (ICHOM), organizzazione internazionale con la mission di definire standard globali sugli esiti misurabili delle cure erogate, ha declinato outcome clinico-assistenziali specifici per la popolazione geriatrica assistita. Esse sono ascrivibili al grado di partecipazione al processo decisionale di cura da parte dell’assistito, l’umore e la salute emotiva, l’isolamento e la solitudine, l’autonomia nelle attività di vita quotidiane, eventi avversi in politerapia medica e cadute (Akpan et al., 2018). Tra i determinanti di salute, emergono quindi, in modo prevalente, esacerbati dal contesto pandemico, la solitudine e l’isolamento sociale. La solitudine si definisce nell’assenza percepita e quindi soggettiva di soddisfacenti relazioni sociali. L’isolamento sociale, invece, come una oggettiva mancanza di interazioni con gli altri o con la comunità in generale (Leigh-Hunt et al., 2017). Studi di alta qualità integrati in revisioni sistematiche condotti negli Stati Uniti (Berg-Weger, Morley, 2020)e in Europa (Leigh-Hunt et al., 2017;Rico et al., 2018) suggeriscono che fino al 57% delle persone sperimenta la solitudine, stima che aumenta inoltre per coloro che versano in precaria salute psicofisica, in particolare in persone con malattie cardiache, depressione, ansia e demenza.

Solitudine e isolamento, a loro volta, possono rappresentare cause e concause di stress, depressione, diminuzione della qualità del sonno, riduzione della salute e qualità della vita percepita, malattie cardiovascolari e cognitive fino a disabilità e istituzionalizzazione, impattando negativamente sull’uso dei servizi sanitari e sulla mortalità stessa della persona (Leigh-Hunt et al., 2017; Berg-Weger, Morley, 2020; Rico et al., 2018). Rico-Uribe et al. (2018), attraverso una meta-analisi di 35 studi, comprendente 77.220 partecipanti, hanno dimostrato che la solitudine rappresenta un fattore di rischio in ogni popolazione di studio, associabile ad ogni causa di mortalità studiata. Il peso complessivo combinato di ogni studio (HR in pool = 1,22, 95% CI = 1,10- 1,35; p = 0,001) indica un effetto significativamente nocivo della solitudine sulla mortalità (41.94%). Valtorta et al. (2018) in una revisione sistematica (n=126) hanno descritto una forte evidenza, dal 75% degli studi di alta qualità, che sussiste una correlazione significativa tra inadeguata qualità-quantità di relazioni sociali ed una riammissione anticipata e maggiore durata di degenza ospedaliera. Queste prove rispecchiano l’importanza delle relazioni sociali ed il suo supporto ai fini della prognosi stessa.

I ricercatori asseriscono inoltre che la letteratura epidemiologica, in rifermento a morbilità e mortalità, suggerisce che le relazioni interpersonali svolgono un ruolo maggiormente evidente in una condizione di malattia (Valtorta et al., 2018). Il supporto sociale è infatti associato a livelli più elevati di compliance alle cure, mentre gli individui che non ne beneficiano sono meno propensi ad attuare meccanismi di coping. Questi dati sono in linea con il modello di stress-buffering, in base al quale le relazioni incidono fortemente sugli esiti di salute con maggior rilievo nelle persone che si trovano in situazioni stressogene, tra cui l’ospedalizzazione (Valtorta et al., 2018). In termini economici e di accesso alle cure Shaw et al. (2018) hanno valutato l’impatto dell’isolamento e della solitudine sulla spesa sanitaria nazionale, prendendo in esame la spesa sanitaria pro-capite in un campione di 5.270 cittadini statunitensi sottoposti al questionario psicosociale HRS. È emerso che le persone oggettivamente isolate incidono mediamente per 1643 dollari in più all’anno sulla spesa sanitaria e con rischio di morte superiore ad oltre il 30% rispetto a persone non isolate. Inoltre i dati forniscono prove a sostegno che l’isolamento in sé, determina una maggiore tendenza ad evitare assistenza in regime ambulatoriale, sostituita con quella ospedaliera, dal costo ben più elevato e con un accesso tardivo alle cure, in risposta a problemi di salute trattabili in regime extraospedaliero. L’aumento dell’ospedalizzazione suggerisce inoltre che le persone che vivono una condizione di solitudine, in particolare quelle anziane, possono rivolgersi all’istituzione come sostitutivo alle relazioni sociali (Shaw et al., 2018). Tuttavia, la solitudine, non solo può determinare effetti negativi diretti o indiretti sulla salute pubblica e la collettività in generale, ma a sua volta può rappresentare un esito correlato a molteplici fattori di rischio. Vivere da soli, sentirsi incompresi, possedere una spiccata intelligenza emotiva e saggezza rappresentano i predditori più rilevanti di solitudine (Berg-Weger, Morley, 2020). Altri indicatori di deprivazione socio-economica possono determinare solitudine, tra i quali: basso reddito ed istruzione, cattivo stato funzionale nelle attività di vita quotidiane, lutti e perdite umane come ad esempio nella vedovanza e nelle amicizie (Berg-Weger, Morley, 2020). In termini di prevenzione e promozione della salute pubblica è rilevante constatare che le persone che vivono in una condizione di isolamento o solitudine sono più propense ad incorrere in stili di vita nocivi quali tabagismo, consumo di alcool, eccessi alimentari ed una sessualità a rischio, con l’intento di alleviare tale sofferenza psicologica (Leigh-Hunt et al., 2017; Rico et al., 2018). Per i sistemi sanitari risulta quindi necessario comprendere chi può essere maggiormente suscettibile a solitudine ed isolamento e con quali fattori di rischio sociodemografici. Uno studio di prevalenza di interesse nazionale in UK (Bu et al., 2020), attraverso un campione di 60.341 persone, è emerso che giovani adulti, persone che vivono da sole, con un basso livello di istruzione o di reddito, donne, gruppi etnici minoritari e residenti urbani, hanno avuto un maggiore rischio di sentirsi soli sia prima che durante la pandemia.

Ma quali interventi assistenziali possono essere introdotti a partire dalle cure primarie?
Tra gli interventi proposti, Ascanio et al. (2019) hanno sviluppato un protocollo di studio randomizzato controllato per valutare l’efficacia di un intervento multicomponente per la riduzione dell’isolamento sociale, della solitudine e per migliorare qualità della vita legata alla salute, in favore di assistiti anziani non istituzionalizzati. L’intervento promosso nella sperimentazione clinica è un adattamento del programma CARELINK proposto da Nicholson e Shellman nel 2013, di derivazione infermieristica (Ascanio JH et al., 2019). Esso, adattato al contesto delle cure primarie, comprende un intervento di 16 settimane (uno ogni tre settimane) sviluppato in sei sessioni (di 30 minuiti) a domicilio dell’assistito o in spazi pubblici dove la persona si sente a proprio agio. Ad esso sono associate cinque sessioni telefoniche (da 20 minuti) con cadenza personalizzata. L’intervento combina aspetti comunicativi, la valorizzazione della competenza e la partecipazione alle attività sociali da parte dell’assistito. Si esplica con la discussione, il coaching e la condivisione verbale durante esercizi o attività di vita quotidiane. La misurazione delle variabili dipendenti utilizza strumenti di misurazione in self-report quali il Functional Social Support Questionnaire (DUFSS) che permette di descrivere la disponibilità di altre persone ad offrire aiuto nelle difficoltà, sulle competenze nelle relazioni sociali e sulla comunicazione empatica ed emotiva. La De Jong-Gierveld Loneliness Scale, viene utilizzata per la percezione alla partecipazione sociale e all’isolamento emotivo, mentre la Euroqol-5D Scale per permettere di descrivere lo stato di salute attraverso dimensioni di mobilità, cura personale, attività quotidiane, dolore, ansia/depressione, attribuendovi un livello di gravità associato.

Concludendo, visto l’impatto negativo della solitudine sui determinanti di salute, e di conseguenza sul benessere psico-fisico della comunità, risulterebbe appropriato integrare nella pratica clinica ed assistenziale interventi per la prevenzione ed il trattamento della solitudine, quale esito alle cure infermieristiche. Il monitoraggio della solitudine e l’efficacia degli interventi rispondenti, potrebbero guidare la politica sanitaria, considerando anche una loro sostenibilità a partire dalle cure primarie (Shaw et al., 2018). Gli interventi integrati nei percorsi di cura potrebbero essere condotti da Infermieri ed operatori sanitari adeguatamente formati. L’utilizzo da parte dei clinici di strumenti di valutazione, quali Ucla loneliness scale (UCLA – 3) per la solitudine e Medical Outcome Study-Short Form (SF-36), per domini di funzionalità biopsicosociale e salute generale (Akpan et al., 2018); possono promuovere, inoltre, nei sistemi sanitari, un miglioramento della qualità, erogata e percepita nei percorsi di cura.

Eventuali Finanziamenti
Questa analisi non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento.

Conflitti di interesse
Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Ascanio JH. et al., (2019), Effectiveness of a multicomponent intervention to reduce social isolation and loneliness in community dwelling elders: A randomized clinical trial. Study protocol, J Adv Nurs; 76(1):337-346.
  2. Leigh-Hunt N. et al., (2017), An overview of systematic reviews on the public health consequences of social isolation and loneliness, Public Health; 152:157-171.
  3. Berg-Weger M., Morley J., (2020) Loneliness in old age: an unaddressed health problem, J Nutr Health Aging;24(3):243-245.
  4. Rico L., Caballero F., Martìn M., Cabello M., Ayuso-Mateos, Miret M. , (2018), Association of loneliness with all-cause Mortality. A meta-analysis. PLoS One; 13(1):e0190033.
  5. Akpan A. et al. (2018), Standard set of health outcome measures for older persons. BMC Geriatrics;18:36.
  6. Valtorta NK. et al.,(2018), Older Adults’ Social Relationships and Health Care Utilization: A Systematic Review, Am J Public Health;108(4):e1-e10.
  7. Shaw JG. Et al., (2018), Social Isolation and Medicare Spending: Among Older Adults, Objective Social Isolation Increases Expenditures while Loneliness Does Not, J Aging Health; 29(7): 1119–1143.
  8. Bu F. et al., (2020), Who is lonely in lockdown? Cross-cohort analyses of predictors of loneliness before and during the COVID-19 pandemic. Public Health; 186: 31-34.

Alessio Pesce

Infermiere, Dipartimento di Medicina Interna, ASL2 Savonese, Albenga, Italia
RN, Nurse, Department of Internal Medicine, ASL2 Savonese, Albenga, Italy
al.pesce@asl2.liguria.it