Da infermiere boyscout a Cavaliere della Repubblica

The journey of a nurse: from boyscout to officer of the Italian Republic

Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Questa è l’onorificenza conferita il 27 dicembre scorso a Salvatore Romano, 56 anni, Coordinatore Infermieristico al Poliambulatorio dell’Ospedale di Sesto San Giovanni. Segnalato al Presidente della Repubblica dalle migliaia di persone alle quali Salvatore, con il suo spirito di iniziativa, ha saputo regalare un sorriso, Romano non ha dubbi:

«Non sempre le persone comprendono il valore della nostra professione, ma noi infermieri l’abbiamo ben chiaro. La divisa, ce la dobbiamo cucire sul cuore. E i risultati arrivano di conseguenza».

Solare e ottimista, da quasi trent’anni Romano organizza iniziative a scopo benefico fra cui le partite di calcio della Nazionale Cantanti e gli eventi della Lega del Filo d’Oro. La sua ispirazione è racchiusa nel nodo al fazzoletto dei boyscout, che gli ricorda l’importanza di compiere una buona azione, ogni giorno.

Cavaliere della Repubblica per “le innate qualità umane nell’organizzare eventi al servizio del prossimo”. Come si arriva a un titolo tanto prestigioso?
«A piccoli passi, senza pensarci. Una delle mie convinzioni è che si debba fare del bene e dimenticarsene».

Certo. Ma ci sarà stato un primo passo, no?
«Indubbiamente. Il mio primo passo è stato diventare boyscout. Sembra incredibile, ma l’esperienza da boyscout ha plasmato tutta la mia vita, da un lato per i valori che ho interiorizzato, dall’altro lato per la promessa, simboleggiata dal nodo al fazzoletto, di compiere una buona azione quotidiana. È stata proprio questa promessa a portarmi a Castelnuovo di Conza, in Irpinia, come volontario e a farmi diventare infermiere»

In che senso?
«Avevo diciassette anni e stavo facendo, appunto, il volontario in Irpinia. Improvvisamente sento una scossa di terremoto fortissima e, senza quasi accorgermene, vengo travolto. Sono rimasto intrappolato sotto alle macerie per ben tre giorni, con un pensiero fisso: “Se ne uscirò vivo, farò qualcosa per aiutare gli altri”. Non so come, ma ce l’ho fatta e dopo qualche mese, superato il trauma che mi svegliava ogni notte, ho messo a fuoco la mia vita. “Farò l’infermiere”, mi sono detto. E subito mi sono scritto alla Scuola di Infermieri di Palermo. Poi, nell’87, è arrivato il trasferimento in Lombardia».

Cosa è accaduto qui?
«La svolta. Lavoravo nel reparto di Medicina e tra gli altri avevo un paziente cardiopatico con cui ero in buoni rapporti. Sapeva di essere arrivato quasi alla fine della vita e aveva intenzione di farsi perdonare qualche marachella, così una sera mi chiama e mi dice: “Salvatore, se riesci a organizzare un evento a favore di un’associazione benefica, io te lo sponsorizzo”. Non avevo mai organizzato iniziative di questo tipo e non sapevo nemmeno a chi rivolgermi. Perplesso, torno a casa rimuginando la sua richiesta ed ecco che trovo nella cassetta delle lettere una busta: Lega del Filo d’Oro. Perché no?, mi domando. Il giorno dopo presento l’idea al paziente».

E come è andata?
«Entro in camera sorridente e gli dico: “Ho trovato a chi dare il contributo”. Ma lui sembra perplesso: “Salvatore – mi dice – non voglio fare della semplice beneficienza. Voglio qualcosa che resti impresso, qualcosa di grande”. Era tifoso del granata, per questo ho subito pensato a una partita di calcio. Così mi sono messo in contatto con due carabinieri, due poliziotti, poi assessori, consiglieri, medici e infermieri e ho dato vita alla “Nazionale degli Enti Locali”, che nel mio progetto si sarebbe dovuta scontrare con la “Nazionale degli Artisti TV”. L’idea mi sembrava eccellente, quindi sono partito come un razzo: mi sono rivolto al Ministro della TV e dello Spettacolo che mi ha dato il patrocinio e nel giro di pochissimo tempo ho visto un’intera città offrire la propria collaborazione per quello che è stato un evento di successo a tutti gli effetti. Era il 19 ottobre del ’91, esattamente due anni dopo la nascita di mia figlia, e lo stadio Breda di Sesto San Giovanni brulicava di persone, tutte per assistere al nostro match, con artisti del calibro di Abatantuono, Bonolis e Scotti. La sera stessa abbiamo festeggiato e versato circa 45milioni di lire alla Lega del Filo d’Oro».

Il suo paziente ha assistito all’evento?
«Sì, è morto solo pochi giorni dopo, ma con il sorriso sulle labbra. Da allora ho capito che nulla è impossibile. Non solo assisto le persone come professionista, nel quotidiano, facendo del mio meglio, umanamente e professionalmente; ma cerco anche di offrire loro l’occasione per un sorriso. Se un paziente vuole incontrare una persona del mondo dello spettacolo per ritrovare forza e ottimismo, cerco di metterli in contatto; se un gruppo di bambini ammalati vuole essere accolto dal Papa, organizzo una visita; se è necessaria una raccolta fondi, magari abbinata a un evento, per Telethon, Unicef o per acquistare materiale o finanziare una ricerca, io sono qui. Non mi tiro indietro e lo faccio volentieri».

Cosa ottiene in cambio?

«I visi delle persone che ho reso felici, quel momento di gioia che rimane impresso nell’aria. Non soldi, questo è certo. Non posso raccontare, per riservatezza, l’episodio in dettaglio, ma vi posso dire che una volta un grandissimo medico americano mi ha offerto del denaro in cambio dell’organizzazione di un incontro. Io l’ho rifiutato e qualche settimana dopo, quel medico mi ha fatto recapitare un dollaro scrivendo sul biglietto di accompagnamento: “Il denaro è un ottimo servitore, ma un pessimo padrone”. Condivido appieno le sue parole. Come infermiere sono chiamato ad assistere persone in difficoltà, che hanno bisogno di supporto materiale, certo, di professionalità e competenza, ma anche di tanta umanità. Come boyscout, inoltre, sono cresciuto con certi valori, che porto con me e che faccio vivere nella mia professione. Sono fiero di quello che sono».

Una sorta di “infermiere boyscout”, a quanto pare, che si dà molto da fare.
«A dire la verità non è poi così impegnativo, ci vuole solo un po’ di buona volontà. Aiutare gli altri, in fondo, è solo un modo di vivere».

Il suo prossimo obiettivo?
«Il 6 gennaio ci sarà a Milano il Megashow della Polizia di Stato. Ma ho anche un obiettivo meno tangibile, che cerco di realizzare ogni giorno nel mio piccolo e che forse tutti noi dovremmo ai nostri figli».

Quale?
«Lasciare un mondo migliore di come l’abbiamo trovato».

Elisa Crotti

Consulente Ordine delle Professioni Infermieristiche (OPI) di Milano, Lodi, Monza e Brianza
Consultant of OPI in Milan, Lodi, Monza and Brianza