Case report di un paziente schizofrenico: un caso complesso

A complex case study of a patient with schizophrenia

 

ABSTRACT

In questo lavoro è stato analizzato il caso clinico del sig. L., paziente maschio di 28 anni, con disturbo schizofrenico insorto durante l’adolescenza 10 anni prima. Fin dall’esordio e presa in carico del Servizio Psichiatrico presenta poca consapevolezza di malattia con conseguente scarsa compliance nel progetto di cura. In questi 10 anni è stato ripetutamente ricoverato nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) ed ha alternato periodi di intenso malessere con ripetuti ricoveri a periodi di sufficiente compenso. Sono pressoché costanti, pur con intensità variabile, i deliri a carattere persecutorio e paranoideo, allucinazioni uditive e olfattive e gli episodi di aggressività verbale e fisica nei confronti di oggetti e familiari che si verificano soprattutto al domicilio. Le ripercussioni della malattia sono state determinanti sul funzionamento scolastico, sociale e lavorativo di L.
La motivazione alla descrizione di questo caso è determinata dalla storia clinica del paziente, che dura da 10 anni e nella quale non vi sono stati miglioramenti significativi. Fino ad oggi i servizi di cura hanno incontrato insuccessi nell’ideare e attuare interventi di aiuto al paziente, sono state provate diverse terapie farmacologiche e interventi psico-educazionali ma periodicamente il paziente presenta ricadute con riacutizzazione dei sintomi deliranti e atteggiamenti aggressivi per i quali si rendono necessari ricoveri in SPDC e talvolta accertamenti o trattamenti sanitari obbligatori (ASO o TSO).

 

MATERIALI E METODI

È stato possibile osservare questo caso durante l’esperienza di lavoro e attraverso informazioni reperite dalla documentazione clinica – medica e infermieristica – del reparto nel quale il paziente è stato ricoverato. È stato confrontato il percorso clinico-riabilitativo promosso dal gruppo di cura con le evidenze scientifiche più recenti riguardanti la comprensione del fenomeno della malattia mentale e gli interventi di aiuto del paziente schizofrenico. Tutti i dati necessari sono stati raccolti nel rispetto della privacy e dell’anonimato previo consenso da parte del paziente, dei suoi genitori, del Direttore e del Coordinatore di U.O. SPDC. Ho assistito in prima persona all’assistenza del paziente durante l’esperienza di lavoro in SPDC.

 

RISULTATI

Fino ad oggi non è stato possibile trovare traiettorie assistenziali e di cura efficaci per permettere a L. di vivere in maniera funzionale nel contesto sociale, nonostante la malattia. La terapia farmacologica risulta efficace solo nel breve termine in quanto il paziente, adeguandosi senza convinzione alle cure, le abbandona facilmente di sua iniziativa. I tentativi di reinserimento sociale e lavorativo non hanno portato a risultati significativamente positivi.

 

CONCLUSIONI

Il presente case report conferma la complessità del disturbo schizofrenico e la difficoltà nel suo trattamento. Esso evidenzia la necessità di potenziare la gamma di interventi non farmacologici, di tipo relazionale, psicologico ed educativo e permette di intercettare il contributo dell’assistenza infermieristica, nell’evoluzione della malattia alla conquista di condizioni di vita migliori attraverso lo sviluppo di empowerment e autodeterminazione del paziente e della sua famiglia.

 

PRESENTAZIONE DEL CASO

L’idea di sviluppare questa analisi è nata dall’interesse personale per l’area psichiatrica che ho avuto modo di coltivare durante l’esperienza di lavoro nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Ho deciso di trattare il tema dell’assistenza al paziente schizofrenico sotto forma di case report, in quanto ho ritenuto che presentare un caso clinico reale fosse il modo migliore per raffigurare la dimensione della complessità nella comprensione e assistenza alla persona affetta datale patologia psichiatrica. Il caso preso in esame riguarda la storia di L., un ragazzo di 28 anni, da 10 anni affetto da schizofrenia, ricoverato numerose volte in SPDC. Durante il ricovero presenta allucinazioni uditive e olfattive, deliri di persecuzione e di influenzamento. Il suo comportamento è caratterizzato da un evidente ritiro sociale, da uno scarso e difficoltoso controllo degli impulsi, soprattutto di natura aggressiva e da una forte difficoltà a gestire la relazione con i familiari, che si manifesta sotto forma di scontri fisici e verbali da entrambe le parti. Altri punti critici risultano essere la marcata difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, la scarsa consapevolezza di malattia e la mancata aderenza ad ogni progetto di cura che viene pianificato e proposto. Nel corso degli anni sono stati pianificati diversi interventi che non si sono mostrati efficaci nel prevenire le ricadute e nel migliorare il benessere del paziente; lo schema terapeutico è stato modificato più volte e si è tentato di reinserire L. in un contesto sociale, familiare e lavorativo per lui soddisfacente attraverso interventi di tipo riabilitativo e psico-educazionale. L’obiettivo principale che si è posto il gruppo di cura consiste nel mantenere il paziente coinvolto nel progetto di cura e aumentare le sue capacità funzionali contenendo i sintomi positivi della schizofrenia e limitando il più possibile le conseguenze negative dello stigma e del ritiro sociale. Scrivendo questo report ho voluto sottolineare l’importanza dell’assistenza medico-infermieristica centrata sul paziente e sulla sua famiglia e sulla necessità di integrare la terapia farmacologica con interventi di tipo relazionale e riabilitativo che devono essere continuamente verificati e all’occorrenza modificati. Infine, trattandosi di una malattia che spesso accompagna la persona per il resto della vita, è importante garantire una continuità assistenziale potenziando le reti non solo tra i servizi del Dipartimento di salute mentale ma anche con i servizi sociali e la collettività. Ecco dunque che diventano importanti gli interventi di informazione, educazione, counselling e di intercettazione, potenziamento o mantenimento di reti a sostegno del paziente e della sua famiglia.
Il termine anglosassone “insight”, che può essere tradotto nella lingua italiana con l’espressione “vedere dentro” alle cose, a una situazione, è un termine entrato nel lessico psichiatrico per definire il grado di consapevolezza che una persona ha di essere malata e di avere bisogno di cure e assistenza. Freud affermava che anche nelle forme più gravi di psicosi rimane “celata una persona normale”, che osserva “come spettatore imparziale il trascorrere della malattia e del suo tumulto”(Freud, 1938). Questo rappresenta il punto di partenza per una riflessione che si apre alla possibilità di riconoscere nel soggetto schizofrenico la persistenza di parti preservate dalla patologia e con esse la presenza di una certa capacità di giudizio di sé e della propria malattia. L’insight assume in quest’ottica anche una valenza clinica oltre che psicopatologica: il terapeuta può cogliere ciò che non è del tutto scomparso, può rafforzare la parte consapevole del paziente in modo da permettergli di “appropriarsi” della sua malattia e quindi di accedere ad una più attiva e solida adesione al trattamento determinando un miglioramento della prognosi del disturbo (Vender, Fraticelli, Moalli, & Poloni, 2010). In una revisione sistematica, Lincoln, Lullmann e Rief (2013) hanno dimostrato come una percentuale compresa tra il 50% e l’80% dei pazienti schizofrenici, dimostrava di avere un insight parziale o totalmente assente. Alcuni aspetti correlati alla consapevolezza di malattia sono la compliance al trattamento, la capacità di riconoscere come patologici e disfunzionali alcuni sintomi attribuibili alla psicosi e le conseguenze sociali di tali disturbi. In particolare un buon insight si correla con la compliance al trattamento, con minori riospedalizzazioni e con una migliore qualità di vita del paziente schizofrenico(Mc Gorry,& Mc Conville, 1999). Sebbene siano numerosi i dati a conferma dell’importante ruolo svolto dall’insight nel determinare un migliore decorso ed esito della malattia schizofrenica, non bisogna trascurare che vi è anche un’alta correlazione tra insight, sviluppo di depressione post-psicotica e rischio di suicidio; di conseguenza, non necessariamente l’assenza di insight ha effetti negativi sulla prognosi ma può svolgere invece un’importante funzione difensiva messa in atto dal soggetto per cercare di sviluppare un adattamento più funzionale alla malattia (Mc Glashan, 1987).

 

TRATTAMENTO

L’effetto principale dei farmaci antipsicotici è la riduzione dei sintomi “positivi” della malattia, ovvero deliri, allucinazioni e disforia. Tuttavia l’assunzione di neurolettici peggiora la sintomatologia “negativa”, aumentando gli episodi di apatia, mancanza di affetto emotivo, mancanza di interesse nelle interazioni sociali, pensieri disordinati e una ridotta capacità di pianificare ed eseguire attività (Hartling et al., 2012).
Un uso prolungato di neurolettici va ad interferire con altre vie dopaminergiche, generando in alcuni casi la sindrome neurolettica maligna, nella quale si verifica una riduzione di movimenti spontanei, e la sindrome extrapiramidale, che determina un quadro sintomatologico simile a quello della malattia di Parkinson, con tremore, bradicinesia e rigidità.
Tra gli effetti extrapiramidali vengono inclusi: rigidità muscolare, mancanza di espressività del volto, rallentamento dell’ideazione e dei riflessi e altri disturbi del movimento (Cipriani et al., 2013).
Gli effetti collaterali più comuni sono: pesantezza del capo, torpore, debolezza, senso di svenimento, secchezza della bocca e difficoltà di accomodazione visiva, impotenza, stitichezza, difficoltà nell’emissione dell’urina, eruzioni cutanee, alterazione del ciclo mestruale, aumento di peso, aumento della temperatura corporea, instabilità della pressione arteriosa.
La scarsa aderenza alle prescrizioni del medico è la principale causa di non efficacia delle terapie farmacologiche ed è associata a un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, della morbilità e della mortalità, rappresentando un danno sia per i pazienti che per il sistema sanitario e per la società.
Per aderenza alla terapia si intende il conformarsi del paziente alle raccomandazioni del medico riguardo ai tempi, alle dosi e alla frequenza nell’assunzione del farmaco per l’intero ciclo di terapia. Nel paziente schizofrenico la compliance si riferisce al numero di assunzioni di farmaci comparate al numero di prescrizioni terapeutiche (Rocca, Pulvirenti, & Giugiario, 2006).
Vi è una differenza tra i due concetti di compliance e aderenza: il primo rimanda all’obbedienza passiva del paziente a seguire lo schema terapeutico prescritto, mentre con il secondo si intende l’alleanza terapeutica che avviene secondo decisioni consensuale tra paziente (e famiglia) e medico.
Le statistiche hanno dimostrato che circa il 50% dei pazienti schizofrenici non sono aderenti alla terapia e una buona parte dei pazienti che si attengono alle prescrizioni del medico abbandonano il trattamento dopo un anno (Oehl, Hummer, & Fleischacker, 2000).
In letteratura è ampiamente dimostrata la correlazione tra un’inadeguata compliance ed un aumento delle ricadute psicotiche, delle emergenze e delle riospedalizzazioni nei pazienti schizofrenici.
La compliance, essendo un fenomeno complesso e multifattoriale, non va intesa semplicemente come l’assunzione della terapia ma coinvolge anche una serie di cambiamenti di comportamento e di stile di vita e include, per esempio, il rispetto delle visite ambulatoriali, l’esecuzione di test ematochimici per il monitoraggio del livello plasmatico dei farmaci assunti, l’accettazione di un ricovero ospedaliero quando si rileva necessario (Mencacci, Cerveri, & Anniverno, 2003).

 

CONCLUSIONI

La schizofrenia è una forma di malattia mentale caratterizzata da complessità e peculiarità di volta in volta uniche, determinando nei gruppi di cura difficoltà nella comprensione dei bisogni e dei relativi interventi di aiuto per una qualità di vita migliore, più consapevole e autodeterminata, del paziente e della sua famiglia.
Scopo e finalità del presente case report retroattivo è migliorare – attraverso la comparazione di dati clinici e con dati scientifici – la comprensione dei bisogni di un paziente psicotico e delle sue percezioni sulla malattia, in un’ottica “patient-centred”, dei fattori scatenanti che determinano le ricadute e la riacutizzazione del malessere e dell’influenza dello stigma della malattia mentale nel percorso di cura. Osservare come l’infermiere può concorrere, attraverso il processo di assistenza, a prestare aiuto e ad individuare le soluzioni più idonee e percorribili tenuto conto della storia del paziente e della sua famiglia, delle possibilità offerte dal contesto sociale.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. S. Vender, C. Fraticelli, M. Moalli, N. Poloni, Ampliamento del concetto di insight nella terapia del disturbo schizofrenico, Journal of Psychopathology, Issue 1-2010.
  2. Lincoln TM, Lüllmann E, Rief W. Correlates and long-term consequences of poor insight in patients with schizophrenia. A systematic review. Schizophr Bull. 2007 Nov;33(6):1324-42. doi: 10.1093/schbul/sbm002. Epub 2007 Feb 8. PMID: 17289653; PMCID: PMC2779879.
  3. McGorry PD, McConville SB. Insight in psychosis: an elusive target. Compr Psychiatry. 1999 Mar-Apr;40(2):131-42. doi: 10.1016/s0010-440x(99)90117-7. PMID: 10080260.
  4. McGlashan, T. H. (1987). Recovery style from mental illness and long-term outcome. Journal of Nervous and Mental Disease, 175(11), 681–685.
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  6. Cipriani A, Hawton K, Stockton S, Geddes JR. Lithium in the prevention of suicide in mood disorders: updated systematic review and meta-analysis. BMJ. 2013 Jun 27;346:f3646. doi: 10.1136/bmj.f3646.
  7. Rocca P., Pulvirenti L., Giugiario M., Bogetto F., Settembre-Ottobre 2006, Vol. 41, N. 5, Riv Psichiatr 2006;41(5):301-306 doi 10.1708/165.1797
  8. M. Oehl,M. Hummer,W. W. Fleischhacker, Compliance with antipsychotic treatment, Acta Psychiatrica Scandinavica, Volue 102, Issue s407, December 2000, p.83-86, https://doi.org/10.1034/j.1600-0447.2000.00016.x
  9. Mencacci C., Anniverno R., Bramante A., Cerveri G., Depressione di genere, Quaderni Italiani di Psichiatria, Volume 28, Issue 1, March 2009, Pages 6-14, ISSN 0393-0645, http://dx.doi.org/10.1016/j.quip.2008.11.012

Anna Arnone

Infermiera, A.O.U. Federico II, Napoli
RN, MSC, A.O.U. Federico II, Naples (Italy)
anna.arnone93@live.it