Assistenza alla persona morente in ospedale: limiti e difficoltà percepite dagli infermieri

Assistance to the dying person in the hospital: limits and difficulties perceived by nurses

RIASSUNTO

Background. Dall’analisi della letteratura emergono diverse criticità legate all’offerta di cure palliative, soprattutto in ambito ospedaliero. Ad oggi non è ancora sviluppata e diffusa ovunque una metodologia “proattiva” che preveda un coinvolgimento precoce del paziente e della sua famiglia nel percorso di cura. Obiettivo. L’obiettivo della revisione è quello d’indagare quali siano le principali difficoltà, percepite dagli infermieri, nel fornire cure ai pazienti morenti, per provare a identificare degli interventi rivolti a migliorare le cure offerte ai pazienti che si trovano in strutture ospedaliere durante le fasi finali della loro vita. Metodi. È stata condotta una ricerca bibliografica su tre banche dati biomediche: PUBMED, CINAHL ed EMBASE, considerando i records pubblicati tra il 2010 e il 2020 sul tema. Risultati. Diciannove studi sono risultati pertinenti secondo i criteri d’inclusione. Nove studi qualitativi, sette studi quantitativi e tre revisioni della letteratura. Complessivamente, tenendo conto dei partecipanti arruolati nei vari studi, sono stati coinvolti un totale di 2237 infermieri. Conclusioni. Quando gli infermieri assistono pazienti morenti in ambiente ospedaliero, devono confrontarsi con problematiche di diversa natura, principalmente organizzative, educative ed emotive. È necessario andare ad implementare le strategie formative, soprattutto per ciò che concerne lo sviluppo di abilità comunicative che possano aiutare gli infermieri ad affrontare le conseguenze emotive legate allo svolgimento della professione e riformare l’organizzazione del lavoro, in modo da creare un ambiente adeguato ad accogliere e rispondere anche ai bisogni dei pazienti che si trovano nelle ultime fasi della loro vita. Parole chiave. Cure palliative, fine vita, assistenza infermieristica, ospedali, ostacoli.

 

ABSTRACT

Background. Different criticalities related to the offer of palliative care, especially related to the hospital setting, emerge from the literature analysis. Today, a “proactive” methodology that provides for an early involvement of the patient and his family in the path of care has not yet been developed and disseminated everywhere. Objective. The objective of this paper is to investigate the main difficulties perceived by nurses in providing care to dying patients, to try to identify interventions aimed at improving the care offered to patients who are in hospital during the final stages of their lives.
Methods. A bibliographic research has been conducted by on three biomedical databases: PUBMED, CINAHL and EMBASE. Only records from 2010 to 2020 where considered. Results. Nineteen studies were considered pertinent according to the inclusion criteria, of which there are nine qualitative studies, seven quantitative studies and three reviews. Overall, considering all the study participants, a total of 2237 nurses were involved. Conclusions. When nurses assist dying patients, in a hospital setting, they need to face various problems, which are mainly organizational, educative and emotional. For this reason, it is needed to implement training policies, especially for communicative skills development, that can help nurses to face the emotional consequences related to their profession and reform the organization of work, to create a suitable environment to accommodate and respond also to the needs of patients who are in the last stages of their lives. Keywords. Palliative care, end of life, nursing, hospital, difficulties.

 

BACKGROUND

Per cure palliative s’intende “l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici” (Legge n.38/10 Art. 2). Si rivolgono principalmente alle persone giunte alla fase terminale di ogni malattia cronica ed evolutiva, ma non solo, si rivolgono anche a chi ancora riceve terapie volte alla risoluzione della malattia, accostando ai trattamenti la gestione del sintomo dolore. L’intento principale è quello di assicurare la miglior qualità di vita possibile al malato, senza accelerarne né ritardarne la morte. Prevedono di fornire sollievo dal dolore e dai sintomi e di assicurare una presa in carico globale del malato che tenga conto degli aspetti psicologici, sociali e spirituali dell’assistenza oltre che di quelli fisici (Istituto Superiore di Sanità, 2018).
Ad oggi, in Italia, i servizi della Rete locale di cure palliative si trovano a doversi confrontare ogni giorno con la necessità di fornire risposte nuove e adeguate ai bisogni di una popolazione sempre più anziana, colpita sempre più frequentemente da malattie croniche, spesso complesse, che fanno emergere in misura maggiore rispetto al passato bisogni di cure palliative. Gli operatori sanitari, in ospedale e sul territorio, non sono ancora sufficientemente preparati a riconoscere ed affrontare per tempo questi bisogni e ad offrire un intervento precoce, integrato e complesso, che sia anche efficace nel prendersi carico, certamente, delle condizioni cliniche ma anche dei problemi psicosociali e delle fragilità che possono colpire i malati e le loro famiglie (Ministero della Salute, 2019). In pochi casi vengono espressamente richieste cure domiciliari o presso servizi specializzati in cure palliative per la gestione di malattie croniche, per la maggior parte delle situazioni si ricorre all’ospedale (Toscani et al., 2005). Nel 2015, in Italia, il 14% dei pazienti con diagnosi primaria di neoplasia è deceduto in una struttura ospedaliera, con un’alta variabilità regionale e con percentuali che variano dal 4% della Campania e Sicilia, al 32% del Veneto e valori di mediana pari al 16%. Per l’anno 2016 il rapporto rimane invariato al 14% e si riconferma l’alta variabilità regionale (Ministero della Salute, 2019). Dallo studio “Eolo”, il cui obiettivo fu quello di indagare come le persone muoiono negli ospedali italiani, emergono diversi dati riguardanti la gestione dei sintomi e del dolore dei pazienti terminali in ambiente ospedaliero. Per quanto riguarda i pazienti più severamente colpiti da malattia, nel 75% dei casi i sintomi sono risultati mal controllati durante gli ultimi giorni di vita. Il 72% dei pazienti ha sperimentato sensazioni di fatigue accompagnati da anoressia, il 45% ha accusato episodi di dispnea severa e il 42% ha accusato dolore severo ma solo al 52% di questi è stato garantito un trattamento analgesico, da cui solo il 19% dei pazienti ha tratto beneficio. La richiesta per quanto riguarda l’intervento da parte di un terapista del dolore è stata inoltrata solo per il 7% dei pazienti. Nonostante la difficoltà dimostrata nel trattare efficacemente i sintomi e lo scarso uso di analgesici, quando è stato chiesto agli infermieri di giudicare come fossero qualitativamente le cure fornite ai pazienti durante il fine vita, nell’88% dei casi sono state valutate come “buone” o “molto buone”. Secondo l’autore il giudizio espresso dagli infermieri potrebbe essere influenzato dalla cultura ospedaliera che spesso sovrastima la tecnica e la cura interventistica attribuendo un ruolo secondario alla qualità della vita. Lo stesso studio dimostra che in ambiente ospedaliero gli interventi per prolungare la vita vengono messi in atto anche quando la diagnosi infausta e la morte sono chiaramente annunciate. Per quanto riguarda i pazienti considerati in fase terminale di malattia, nel 9% dei casi sono state effettuate trasfusioni di emocomponenti, nel 71% sono stati somministrati fluidi per via endovenosa e nel 57% dei casi sono stati effettuati esami di routine. Nel 7% è avvenuta l’inserzione di un catetere venoso centrale, nell’8% è stata effettuata la dialisi emoperitoneale e nel 4% dei casi è stata comunque effettuata la chemioterapia. Tutti questi interventi sono stati messi in atto fino a 24 ore prima dalla morte (Toscani et al., 2005). Le criticità ascrivibili al contesto italiano sono sovrapponibili a realtà presenti anche in altri Paesi. In uno studio di Filierman et al. (2019), che va ad indagare l’identificazione della “fase palliativa” da parte di medici e infermieri in reparti di medicina specialistica di sei differenti ospedali Olandesi, emerge che nella pratica quotidiana, medici e infermieri spesso non avviano un programma di cure palliative fino a quando la morte del paziente è imminente e le condizioni cliniche sono ormai scadenti. Di conseguenza, l’identificazione della necessità di ricevere cure palliative avverrà in ritardo, impedendo ai pazienti e ai loro parenti di beneficiare dei vantaggi di un’integrazione precoce (Filierman et al., 2019). In ambiente ospedaliero spesso si verifica una contrapposizione tra interventi propriamente “curativi”, che mirano alla risoluzione completa dello stato morboso e le cure “palliative”. L’orientamento di queste ultime richiede una certa flessibilità, perché si passa da una visione focalizzata sulla medicalizzazione delle cure ad un concetto multidisciplinare di “prendersi cura” (Borbasi et al., 2005). Gli interventi messi in atto durante il fine vita sono spesso eccessivi, escludono la vicinanza di amici e familiari e aumentano la sofferenza dei malati (Sallnow et al., 2022). Implementare i servizi di cure palliative, soprattutto domiciliari, potrebbe ridurre il numero delle morti in luoghi inappropriati come unità operative di medicina e chirurgia, dove l’esperienza per quanto riguarda i problemi correlati al morire è molto limitata (Filierman et al., 2019). Nel 2022 il report stilato dalla Lancet commission on the value of death evidenzia che con l’avvento della pandemia di Covid-19 la situazione è tutt’altro che migliorata. L’attenzione è stata concentrata esclusivamente sulle cure intensive, lasciando da parte la gestione del dolore e del fine vita. In questo scenario la morte e la sua gestione sembrano appartenere sempre più ai professionisti sanitari e alle istituzioni invece che alle famiglie e alla comunità, riducendo anche la familiarità con la morte e la sua comprensione a livello sociale (Sallnow et al., 2022).

 

OBIETTIVO

L’obiettivo della revisione è quello d’indagare quali siano le principali difficoltà, percepite dagli infermieri, nel fornire cure ai pazienti morenti, per provare a identificare degli interventi rivolti a migliorare le cure offerte ai pazienti che si trovano in strutture ospedaliere durante le fasi finali della loro vita.

 

METODI

Il quesito di ricerca è stato formulato secondo il metodo PIO (Tabella 1). Sono stati inclusi nella revisione gli studi riguardanti pazienti adulti in contesto prettamente ospedaliero, considerando quelli condotti nelle medicine e nelle chirurgie, che si concentrassero sull’identificazione delle difficoltà individuate dagli infermieri nel fornire cure durante il fine vita. Pertanto, sono stati esclusi gli studi in setting specializzati in cure palliative come hospice o servizi di cure palliative domiciliari, gli studi condotti in contesti di emergenza-urgenza e gli studi condotti in ambito pediatrico. Sono stati considerati i lavori pubblicati nel decennio 2010-2020 (prima della pandemia di COVID-19) in lingua inglese, italiana e spagnola. Non sono stati posti limiti per quanto riguarda le tipologie di studio.
La ricerca bibliografica è stata effettuata sulle seguenti banche dati: CINAHL, EMBASE e PUBMED in un periodo compreso tra giugno e luglio 2020. Le parole chiave utilizzate per la ricerca degli articoli sono state: palliative, terminal, end of life, nurse, nursing, hospital, ward, unit, acute setting, barrier, challenge, obstacle, difficult. I termini sono stati combinati tra loro a formare stringhe di ricerca utilizzando gli operatori booleani AND e OR (Tabella 2).
Dalla ricerca bibliografica attraverso le tre banche dati consultate sono emersi rispettivamente 179 articoli provenienti dalla ricerca su PUBMED, 163 articoli da CINAHL e 107 da EMBASE, per un totale di 449 records. Questi sono poi stati sottoposti ad uno screening per identificare l’eventuale presenza di duplicati. Dopo aver rimosso i duplicati, i 394 articoli rimasti sono stati sottoposti ad un’ulteriore selezione per determinare quali fossero pertinenti per rispondere al quesito di ricerca, secondo i criteri di inclusione ed esclusione precedentemente individuati. In seguito all’analisi di titolo ed abstract di tutti i 394 articoli, ne sono stati esclusi 339 e sono stati valutati per l’eleggibilità un totale di 55 articoli. In particolare: 31 articoli provenienti da PUBMED, 9 da EMBASE, 8 da CINAHL e altri 7 articoli individuati analizzando la bibliografia degli articoli rimasti. Tutti i 55 articoli sono stati poi letti integralmente e analizzati. Di questi, 36 sono stati esclusi e 19 sono stati inclusi nella revisione (Figura 1).

 

 

Valutazione della qualità metodologica
Tutti gli studi qualitativi e quantitativi inclusi sono stati sottoposti a valutazione della qualità metodologica, ad eccezione delle revisioni della letteratura. Per effettuare una valutazione qualitativa degli studi inseriti nella revisione sono stati utilizzati due strumenti differenziati. Per la valutazione degli studi qualitativi è stata utilizzata la Checklist for assessing the quality of qualitative studies, mentre per gli studi quantitativi è stata utilizzata la Checklist for assessing the quality of quantitative studies, entrambe stilate da L.M. Kmet, R.C. Lee, L.S. Cook (2004) per iniziativa dell’Alberta Heritage Foundation for Medical Research (AHFMR). Sono stati inclusi nel campione tutti gli studi, qualitativi e quantitativi, con un punteggio percentuale relativo alla qualità metodologica superiore o uguale all’80%.

 

RISULTATI

Sono stati inclusi 19 studi ritenuti utili per la revisione. Dalla lettura degli articoli sono emersi sostanzialmente cinque temi, i quali riguardano, la gestione del rapporto e della comunicazione con pazienti e famiglie, la comunicazione interdisciplinare e il lavoro in gruppo, la difficoltà nella transizione tra cure “attive” e cure palliative, la mancanza di conoscenze specifiche sul tema e le carenze legate a fattori organizzativi e ambientali.

Gestione del rapporto e della comunicazione con pazienti e famiglie
Le famiglie, in molti casi, non riescono ad accettare la prognosi quando infausta e, non comprendendo gli obiettivi di cura insiti nelle cure palliative, le confondono con un mancato trattamento. Spesso accade che per questo motivo, le famiglie stesse, scelgano di non far comunicare ai malati le informazioni inerenti alla propria prognosi (Chuah et al., 2017). Il fatto che il paziente non sia a conoscenza della propria prognosi, o addirittura della diagnosi, rende difficile l’accettazione individuale della morte (Guardia Mancilla et al., 2018) e intacca la qualità della comunicazione con i pazienti poiché, con i malati che non sono a conoscenza delle proprie condizioni di salute, stabilire un dialogo sincero e un rapporto di fiducia diventa impossibile (Lai et al., 2018). Nei casi in cui è mancato il consenso delle famiglie, i pazienti che non erano in grado di autodeterminarsi, non hanno potuto accedere ai servizi di cure palliative e ai farmaci per il controllo del dolore (Oliveira et al., 2016). Spesso, gli infermieri coinvolti negli studi hanno affermato di sentirsi impreparati nel comunicare con pazienti e famiglie in condizioni di sofferenza, nel gestire le loro risposte emotive e nel comprenderne le differenze culturali nell’affrontare la morte individuale o di un familiare (Omar Daw Hussin et al., 2018).

Comunicazione interdisciplinare e lavoro in gruppo
Costruire un rapporto basato sul dialogo aperto con i colleghi, sulla condivisione e sul supporto, è fondamentale (Oliveira et al., 2016). Quando obiettivo e piano di cura vengono apertamente riconosciuti ed accettati da tutti i membri del gruppo di lavoro si crea una coesione che permette di ottenere risultati migliori (O’Shea et al., 2014). L’importanza del lavoro in gruppo è ampiamente riconosciuta, per questo la mancanza di comunicazione all’interno del team multidisciplinare e la mancanza di coinvolgimento degli infermieri nel processo decisionale vengono segnalati come grandi ostacoli nel fornire cure palliative (Omar Daw Hussin et al., 2018). Un riscontro simile purtroppo si può ritrovare in molti degli studi analizzati. Ad esempio, nello studio di Hjorleifsdottir and Stefánsdóttir (2016) gli infermieri esprimono la volontà di essere resi più partecipi nelle decisioni riguardanti la transizione verso le cure palliative e l’interruzione dei trattamenti, poiché sentono di essere la figura professionale più vicina ai bisogni del paziente, ma lamentano di essere poco coinvolti da parte dei medici quando si tratta di assumere decisioni importanti.

Difficoltà nella transizione tra cure attive e cure palliative
Il processo decisionale relativo al cambiamento degli obiettivi di cura spesso si verifica molto tardi nella storia clinica dei pazienti (Oliveira et al., 2016). Molte testimonianze raccolte da O’Shea (2014) riportano che, nella loro esperienza, gli infermieri intervistati hanno visto contattare un team specializzato in cure palliative per la presa in carico del paziente solo quando ormai si era giunti in una fase tardiva della malattia. Spesso i medici sottovalutano la gravità della prognosi, rimandandone la comunicazione alle famiglie e ai pazienti stessi. Questo porta ad un ritardo nell’interruzione dei trattamenti attivi e nel rivolgersi, di contro, a servizi specializzati (Blaževičienė et al., 2017). Il fatto di concentrarsi fino alla fine sul sottoporre il paziente a test clinici e cure protratte, invece di avviare programmi di cure palliative, viene considerato come un ostacolo al fornire cure ottimali (Guardia Mancilla et al., 2018).

Mancanza di conoscenze ed esperienze legate al fine vita
Il 57, 5% dei partecipanti allo studio di Ozlem et al. (2017), il cui campione è composto da 120 infermieri, afferma che gli infermieri non sono in grado di recepire la necessità di ricevere cure palliative da parte dei pazienti e il 55% afferma che le conoscenze degli infermieri relative a questo ambito sono carenti. Il 75,9% dei partecipanti dichiara che gli piacerebbe ricevere un intervento formativo sul tema delle cure palliative. Risultati sovrapponibili si possono ritrovare anche in Chan et al. (2020), dove il 42,6% dei partecipanti dichiara di avere delle lacune per quanto riguarda la formazione in ambito di cure palliative. Emerge anche che, gli infermieri che hanno seguito un percorso di formazione post base riguardante questo ambito specifico, hanno identificato meno barriere nel fornire cure rispetto a chi non ha ricevuto una formazione ulteriore rispetto a quella di base. Gli infermieri più giovani possono essere meno attrezzati per affrontare pesanti carichi emotivi. Al contrario, gli infermieri con più esperienza professionale hanno maggiori probabilità di intraprendere una comunicazione più efficace con i pazienti morenti (Park et al., 2020). Viene percepita come un limite la mancanza di linee guida specifiche per la EOL care, soprattutto dagli infermieri neolaureati, che esprimono il bisogno di ricevere direttive che li possano guidare nelle scelte. Le principali carenze formative emerse riguardano l’incapacità di comunicare con i pazienti e le famiglie in condizioni di sofferenza e la gestione dei sintomi, in particolare del sintomo dolore (Omar Daw Hussin et al., 2018). Comunicare efficacemente significa essere in grado di aumentare la consapevolezza dei pazienti sulla gravità delle loro condizioni cliniche, discutere le opzioni per il trattamento, aiutarli a prendere decisioni in merito ai trattamenti e promuovere l’uso di servizi sanitari appropriati. La maggior parte degli operatori sanitari, però, non ha ricevuto una formazione sufficiente per avviare e discutere argomenti impegnativi e difficili come la pianificazione delle cure nel fine vita (Garner et al., 2013).

Difficoltà legate a fattori organizzativi e ambientali
L’ospedale è considerato un luogo non idoneo per rispondere in modo adeguato ai bisogni dei pazienti morenti e delle loro famiglie (Hjorleifsdottir et al., 2016).
Spostare il focus da pazienti in stato di acuzie a pazienti morenti, adattandosi a bisogni differenti in breve tempo, è una delle principali difficoltà che si presentano agli infermieri nella pratica quotidiana (Chuah et al., 2020). Accade che la priorità venga rivolta ai pazienti in stato di acuzie, mentre i bisogni dei pazienti morenti, spesso anche spirituali ed emozionali, vengano messi in secondo piano (Gagnon et al., 2014).
Il lavoro strutturato su turni, il turnover frequente dei malati, il numero consistente di posti letto per reparto, la complessità dei pazienti e risorse limitate a disposizione sono tutti fattori che fanno percepire agli infermieri di fornire un’assistenza frammentata (O’Shea et al., 2014). Anche l’ambiente fisico del reparto, senza camere singole che possano garantire il rispetto della privacy, caratterizzato da un arredamento impersonale, è un fattore che va ad incidere negativamente sulla qualità delle cure (Mc Court et al., 2013). Queste condizioni di lavoro sono considerate fattori predisponenti all’affaticamento emotivo e possono culminare nell’esaurimento delle risorse emotive (burnout). La diminuzione del senso di realizzazione personale e lavorativa impedisce agli infermieri di svolgere il loro ruolo nel modo corretto. Tutto ciò è particolarmente intensificato quando si assistono pazienti durante il fine vita (Karbasi et al., 2018).

 

 

DISCUSSIONE

Dall’analisi della letteratura, emerge che, quando gli infermieri assistono pazienti terminali in ambiente ospedaliero, devono confrontarsi con problematiche di diversa natura, principalmente organizzative, formative ed emotive (Karbasi et al., 2018).
In ambiente ospedaliero spesso si verifica la mancanza di un riconoscimento precoce del processo di morte e manca una formazione specifica su come gestirlo (O’Shea et al., 2014). Una delle difficoltà principali che si presentano ai professionisti è quella di entrare nell’ottica che lenire il dolore e ottenere il massimo confort del paziente siano trattamenti comunque efficaci ma con finalità diverse rispetto agli interventi propriamente curativi (Chuah et al., 2020). La necessità di ricevere un’ulteriore formazione in merito all’assistenza nel fine vita, rispetto a quella già fornita durante il percorso accademico, viene espressa nella totalità degli articoli analizzati.
Nello studio di Ozlem et al. (2017) parte degli infermieri identifica la presenza di lacune e inesattezze nella propria formazione riguardo alle cure palliative e al fine vita. Alcuni affermano di non essere in grado di riconoscere quando il paziente necessita di ricevere cure palliative e di non conoscere chiaramente la differenza tra il termine cure palliative e hospice (Ozlem et al., 2017).
Si dimostra quindi necessario implementare le strategie formative, in modo che il tema delle cure palliative sia affrontato in modo approfondito anche da chi non prosegue gli studi con una formazione ulteriore rispetto a quella di base (Garner et al., 2013).
In molti casi gli infermieri, soprattutto neolaureati, non sembrano sempre essere in grado di definire in modo coerente gli obiettivi di cura con gli assistiti in stato terminale di malattia e non si sentono preparati ad affrontare conversazioni in cui si discuta di decisioni legate al fine vita con pazienti e famiglie (Garner et al., 2013). Non a caso, le maggiori problematiche emerse sono quelle connesse al rapporto e alla comunicazione con i pazienti e con i familiari, considerate come l’ostacolo principale che si pone tra gli infermieri e il fornire cure di qualità. Il rapporto con le famiglie è di difficile gestione, soprattutto nel caso in cui ci deve confrontare con chi fatica ad accettare la prognosi. In queste circostanze diventa impossibile far emergere, e di conseguenza comprendere, i reali desideri del paziente soprattutto quando, per diversi motivi, accade che non possa esprimerli in prima persona (Ryo et al., 2017).
Il poco tempo da dedicare all’interazione con pazienti e famiglie, incide sulla qualità sia della comunicazione sia del processo decisionale, e viene imputato principalmente alla carenza di personale. Questa causerebbe un aumento del carico di lavoro difficilmente conciliabile con la necessità di prendersi del tempo dedicato esclusivamente alla comunicazione con i pazienti (Chuah et al., 2017).
Nello studio di Oliveira et al. (2016), viene usata l’espressione “Prendersi cura nella complessità”. La complessità viene definita come un numero consistente di pazienti per singolo infermiere, con diverse comorbilità, età differenti e condizioni patologiche molto diversificate all’interno dello stesso reparto (Oliveira et al., 2016). Accade che la priorità venga rivolta ai pazienti che presentano bisogni fisici “acuti”, mentre i bisogni dei pazienti morenti vengano messi in secondo piano (Gagnon and Duggleby, 2014). Nello studio di Ozlem et al. (2017) il 78,3% dei partecipanti, rappresentati da un campione formato da 120 infermieri, segnala come barriera l’assenza di un numero adeguato di infermieri per turno. Il lavoro strutturato su turni, il frequente turnover dei pazienti, la mancanza di personale e di un ambiente adeguato a garantire la privacy e la scarsa comunicazione e condivisione di intenti tra infermieri e medici, restituiscono la percezione di fornire cure frammentate, poiché queste variabili rendono difficile garantire una continuità assistenziale (O’Shea et al., 2014).
Nello studio di Johnson and Gray (2013), alcuni dei partecipanti, riferiscono di aver provato senso di colpa nei confronti dei pazienti, anche a distanza di tempo, quando le cure non hanno dato gli esiti sperati, soprattutto quando la morte è avvenuta in maniera improvvisa. In questo modo si vengono a creare diversi problemi nel gestire le conseguenze emotive della vita professionale (McCourt et al., 2013). Il livello di soddisfazione legato al lavoro diminuisce (Karbasi et al., 2018), si genera paura di essere coinvolti emotivamente nel creare un rapporto con i pazienti e un sentimento di inadeguatezza per l’incapacità di dare a pazienti e familiari ciò di cui hanno bisogno (Gagnon and Duggleby, 2014). Dalla revisione di McCourt et al. (2013) si può rilevare che parte degli infermieri manifestano un senso di incompetenza che genera a sua volta sensazioni di stress e fatica, soprattutto quando si trovano a dover seguire contemporaneamente più pazienti in stato terminale (McCourt et al., 2013).

 

CONCLUSIONI

I possibili interventi da mettere in atto a livello pratico dovrebbero prevedere in primo luogo la formazione e l’aggiornamento continuo dei professionisti, in modo da permettere anche a chi non ha ricevuto una formazione post base di acquisire competenze specifiche, integrare e approfondire le conoscenze legate alle cure palliative, al trattamento del sintomo dolore e alla gestione dei bisogni legati al fine vita. Uno degli interventi dovrebbe essere quello di ottimizzare l’organizzazione del lavoro in modo da creare un carico di lavoro equo e tollerabile, permettendo così agli infermieri di svolgere il proprio lavoro con professionalità e attenzione, assegnando il giusto numero di professionisti sanitari per turno, tenendo conto della complessità assistenziale dei pazienti ricoverati nelle diverse unità operative.
Sarebbe utile, inoltre, far sviluppare ai professionisti infermieri efficaci capacità comunicative ed un’intelligenza emotiva in modo che acquisiscano gli strumenti necessari ad affrontare conversazioni in cui si discuta di decisioni legate al fine vita con pazienti e famiglie, diventando così parte attiva nel processo di cura. Questo aiuterebbe i professionisti anche nell’affrontare il carico emotivo derivante dall’esercizio della professione, allontanerebbe la paura di un eccessivo coinvolgimento personale e migliorerebbe la percezione della qualità delle cure offerte, rendendo il giusto valore al lavoro e aumentando anche la soddisfazione personale. Ritagliare spazi dedicati ai pazienti in stato terminale di malattia, creando un ambiente che sia in grado di garantire la privacy e la tranquillità dei pazienti e delle famiglie, rendendolo personale e adatto alla condivisione libera delle emozioni, potrebbe migliorare notevolmente la qualità delle cure offerte a chi si trova a dover passare l’ultima fase della propria vita in ambiente ospedaliero.

 

LIMITI

Tra i limiti individuabili nel presente lavoro, citiamo l’eterogeneità dei disegni di ricerca dei diversi studi, che non ha permesso una revisione sistematica ma solo una presentazione dei diversi temi emersi. Inoltre, l’assenza di lavori svolti nella realtà italiana non ha consentito di valutare se il problema sia presente e come sia affrontato nei nostri contesti.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Blaževičienė, A., Newland, J.A., Čivinskienė, V. and Beckstrand, R.L. (2017), “Oncology nurses’ perceptions of obstacles and role at the end-of-life care: cross sectional survey”, BMC Palliative Care, Vol. 16 No. 1, p. 74.
  • Bloomer, M.J., Endacott, R., O’Connor, M. and Cross, W. (2013), “The ‘dis-ease’ of dying: Challenges in nursing care of the dying in the acute hospital setting. A qualitative observational study”, Palliative Medicine, Vol. 27 No. 8, pp. 757–764.
  • Borbasi, S., Wotton, K., Redden, M. and Champan, Y. (2005), “Letting go: a qualitative study of acute care and community nurses’ perceptions of a ‘good’ versus a ‘bad’ death”, Australian Critical Care, Vol. 18 No. 3, pp. 104–113.
  • Campos-Calderón, C., Montoya-Juárez, R., Hueso-Montoro, C., Hernández-López, E., Ojeda-Virto, F. and García-Caro, M.P. (2016), “Interventions and decision-making at the end of life: the effect of establishing the terminal illness situation”, BMC Palliative Care, Vol. 15 No. 1, p. 91.
  • Chan, C.W.H., Chow, M.C.M., Chan, S., Sanson Fisher, R., Waller, A., Lai, T.T.K. and Kwan, C.W.M. (2020), “Nurses’ perceptions of and barriers to the optimal end of life care in hospitals: A cross sectional study”, Journal of Clinical Nursing, Vol. 29 No. 7–8, pp. 1209–1219.
  • Chuah, P.F., Lim, M.L., Choo, S.L., Woo, G.Y., To, H.K., Lau, K.Y., Chen, J., et al. (2017), “A qualitative study on oncology nurses’ experiences of providing palliative care in the acute care setting”, Proceedings of Singapore Healthcare, Vol. 26 No. 1, pp. 17–25.
  • Flierman, I., Nugteren, I.C., van Seben, R., Buurman, B.M. and Willems, D.L. (2019), “How do hospital-based nurses and physicians identify the palliative phase in their patients and what difficulties exist? A qualitative interview study”, BMC Palliative Care, Vol. 18 No. 1, p. 54.
  • Gagnon, J. and Duggleby, W. (2014), “The provision of end-of-life care by medical-surgical nurses working in acute care: A literature review”, Palliative and Supportive Care, Vol. 12 No. 5, pp. 393–408.
  • Garner, K.K., Goodwin, J.A., McSweeney, J.C. and Kirchner, J.E. (2013), “Nurse Executives’ Perceptions of End-of-Life Care Provided in Hospitals”, Journal of Pain and Symptom Management, Vol. 45 No. 2, pp. 235–243.
  • Guardia -Mancilla, P., Montoya-Juarez, R., Marti-Garcia, C., Herrero Hahn, , R. and Cruz Quintana, F. . (2018), “Perceptions of health care professionals about end-of-life care, obstacles and ethical dilemmas in hospitals, primary care and nursing homes.”, Anales Del Sistema Sanitario de Navarra, Vol. 41 No. 1, available at:https://doi.org/10.23938/ASSN.0170.
  • Hjorleifsdottir, E. and Stefánsdóttir , B. (2016), “Maybe it is just Hard to let go of the Patient: Nurses’ Attitudes and Experiences of End-of-Life Care in Acute Hospital Wards”, Jacobs Journal of Nursing and Care, Vol. 2 No. 1, pp. 5–8.
  • Istituto Superiore di Sanità. (2018), “Cure palliative: cosa sono e quando attivarle”, ISSalute, 23 April, available at: https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/c/cure-palliative (accessed agosto 2020).
  • Johnson, S.C. and Gray, D.P. (2013), “Understanding Nurses Experiences of Providing End-of-Life Care in the US Hospital Setting”: , Holistic Nursing Practice, Vol. 27 No. 6, pp. 318–328.
  • Karbasi, C., Pacheco, E., Bull, C., Evanson, A. and Chaboyer, W. (2018), “Registered nurses’ provision of end-of-life care to hospitalised adults: A mixed studies review”, Nurse Education Today, Vol. 71, pp. 60–74.
  • Kmet, L.M., Lee, R.C., Cook, L.S., Alberta Heritage Foundation for Medical Research, A., Health Technology Assessment Unit, University of Calgary, Faculty of Medicine, et al. (2004), Standard Quality Assessment Criteria for Evaluating Primary Research Papers from a Variety of Fields, Alberta Heritage Foundation for Medical Research, Edmonton.
  • Lai, X.B., Wong, F.K.Y. and Ching, S.S.Y. (2018), “The experience of caring for patients at the end-of-life stage in non-palliative care settings: a qualitative study”, BMC Palliative Care, Vol. 17 No. 1, p. 116.
  • Lee, J., Choi, M., Kim, S., Kim, H. and Kim, D. (2013), “Korean nurses’ perceived facilitators and barriers in provision of end-of-life care: Nurses’ perceptions in end-of-life care”, International Journal of Nursing Practice, Vol. 19 No. 3, pp. 334–343.
  • Maubach, N., Batten, M., Jones, S., Chen, J., Scholz, B., Davis, A., Bromley, J., et al. (2019), “End of life care in an Australian acute hospital: a retrospective observational study”, Internal Medicine Journal, Vol. 49 No. 11, pp. 1400–1405.
  • McCourt, R., Power, J.J. and Glackin, M. (2013), “General nurses’ experiences of end-of-life care in the acute hospital setting: a literature review”, International Journal of Palliative Nursing, Vol. 19 No. 10, pp. 510–516.
  • Ministero della Salute. (2019), Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010. Available at: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2814_allegato.pdf (accessed settembre 2020).
  • Odachi, R., Tamaki, T., Ito, M., Okita, T., Kitamura, Y. and Sobue, T. (2017), “Nurses’ Experiences of End-of-life Care in Long-term Care Hospitals in Japan: Balancing Improving the Quality of Life and Sustaining the Lives of Patients Dying at Hospitals”, Asian Nursing Research, Vol. 11 No. 3, pp. 207–215.
  • Oliveira, I., Fothergill-Bourbonnais, F., McPherson, C. and Vanderspank-Wright, B. (2016), “Battling a Tangled Web: The Lived Experience of Nurses Providing End-of-Life Care on an Acute Medical Unit”, Research and Theory for Nursing Practice, Vol. 30 No. 4, pp. 353–378.
  • Omar Daw Hussin, E., Wong, L.P., Chong, M.C. and Subramanian, P. (2018), “Nurses’ perceptions of barriers and facilitators and their associations with the quality of end of life care”, Journal of Clinical Nursing, Vol. 27 No. 3–4, available at:https://doi.org/10.1111/jocn.14130.
  • Ozlem , U., Hatice , M., Murat , B., Aslı Akdeniz , K., Tugba, Yavuzsen and Kamer , M. (2017), “Examination of the Perceptions of Nurses Working in a University Hospital towards the Palliative Care and the Obstacles in Practices ”, International Journal of Caring Sciences , Vol. 10 No. 3, pp. 1448–1455.
  • O Shea, M.F. (2014), “Staff nurses’ perceptions regarding palliative care for hospitalized older adults”, AJN, American Journal of Nursing, Vol. 114 No. 11, pp. 26–34.
  • Park, H.-J., Lee, Y.-M., Won, M.H., Lim, S.-J. and Son, Y.-J. (2020), “Hospital Nurses’ Perception of Death and Self-Reported Performance of End-of-Life Care: Mediating Role of Attitude towards End-of-Life Care”, Healthcare, Vol. 8 No. 2, p. 142.
  • Pattison, N. (2020), “End-of-life decisions and care in the midst of a global coronavirus (COVID-19) pandemic”, Intensive and Critical Care Nursing, Vol. 58, p. 102862.
  • Legge n. 38 del 15 marzo 2010, “Disposizioni per Garantire l’accesso Alle Cure Palliative e Alla Terapia Del Dolore” (2010), 10G0056.
  • Ryo , O., Tomoko , T., Mikiko , I., Taketoshi , O., Yuri, K. and Tomotaka , S. (2017), “Nurses’ Experiences of End-of-life Care in Long-term Care Hospitals in Japan: Balancing Improving the Quality of Life and Sustaining the Lives of Patients Dying at Hospitals”, p. 9.
  • Sallnow, L., Smith, R., Ahmedzai, S., Bhadelia, A., Chamberlain, C., Cong, Y., Doble, B., Dullie, L., Durie, R., Finkelstein, E., Guglani, S., Hodson, M., Husebø, B., Kellehear, A., Kitzinger, C., Knaul, F., Murray, S., Neuberger, J., O’Mahony, S., Rajagopal, M., Russell, S., Sase, E., Sleeman, K., Solomon, S., Taylor, R., Tutu van Furth, M. and Wyatt, K., 2022. Report of the Lancet Commission on the Value of Death: bringing death back into life. The Lancet, 399(10327), pp.837-884.
  • Toscani, F., Di Giulio, P., Brunelli, C., Miccinesi, G. and Laquintana, D. (2005), “How People Die in Hospital General Wards: A Descriptive Study”, Journal of Pain and Symptom Management, Vol. 30 No. 1, pp. 33–40.

Alessia Scopinaro

Infermiera, ASST Ovest Milanese
RN, ASST Ovest Milanese, Milan (Italy)
alessia.scopinaro@outlook.it

Ivana Maria Rosi

Direzione Professioni Sanitarie, Corso di Laurea in Infermieristica, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Directorate of Nursing Profession, BSc in Nursing, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milan (Italy)

Stefania Rancati

Direzione Professioni Sanitarie, Corso di Laurea in Infermieristica, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Directorate of Nursing Profession, BSc in Nursing, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milan (Italy)