Algoritmo delle mie brame, chi è il più interessante del reame?

Algorithm on the wall, who is the most interesting of them all?

 

Mi occupo di comunicazione e a volte per lavoro mi capita di dovermi spingere nelle lande remote dei social network.
Confesso di avere pochissima confidenza con Tik Tok, che rimane appannaggio quasi esclusivo dei miei figli, ma con i tradizionalissimi Facebook, Instagram e LinkedIn ho spesso a che fare. Eppure, ne esco sempre stupita.
Come quella volta in cui il figlio di un’amica, 11 anni suonati, si apre con il consenso (ma bisognerebbe dire la connivenza) dei genitori un account fresco e nuovo, pubblica un video su una partita di calcio e, nel giro di 12 ore, raggiunge più di 2mila persone. Ogni volta che aggiornava la pagina, erano centinaia di visualizzazioni. Interessante, considerata la fatica che a volte dobbiamo fare per averne 200, di visualizzazioni.
Il segreto è presto svelato, e si chiama algoritmo.
È una parola, questa, che mette timore, vuoi perché gli algoritmi vengono spesso modificati e rimangono un segreto come la ricetta della Coca-Cola, vuoi perché l’idea che qualcosa orienti e governi il mio mondo mi genera un certo fastidio.
Ma, come per tutto quel che ci riguarda, conoscere è un primo modo per governare. Allora cerchiamo di fare un po’ di luce sui misteri degli algoritmi dei social, pensandoli con una doppia visione. La prima, quella più tradizionale, che ci illustra come ottimizzare i nostri messaggi per renderli “appetibili” per l’algoritmo e quindi replicabili. Diciamo che qui abbiamo una logica di tipo commerciale: come diffondere il proprio messaggio. La seconda, quella più riflessiva, riguarda il senso e le conseguenze anche solo dell’esistenza degli algoritmi e del loro inconsapevole (?) modo di plasmare, modellare e dare forma ai nostri pensieri e di riflesso alla società.
È un viaggio affascinante, con un background cupo: uno scenario fantascientifico dove l’intelligenza artificiale, senza che quasi ce ne rendiamo conto, arriva a delineare i nostri pensieri.

Algoritmo, uno sconosciuto?
Ormai c’è un algoritmo per tutto: acquistare on-line, cercare informazioni, promuovere un evento, programmare una vacanza, scegliere un ristorante o arredare casa. Ogni nostro passo nella rete è governato da un algoritmo. Anzi, a ben vedere non solo nella rete: pensate che anche alcuni lavoratori (i driver in primis) sono condizionati dall’algoritmo, che li premierà per velocità ed efficacia, e li penalizzerà in caso di performance non ritenute all’altezza.
Ma cos’è questo algoritmo? Potremmo definirlo come una serie di passi o istruzioni finiti e ben definiti, progettati per eseguire un compito o risolvere un problema specifico. Ad esempio, per trovare C devi fare A+B. Quindi prendi i due numeri A e B, sommali ed ecco che trovi C, ossia il tuo output. Questo è un algoritmo semplicissimo, ma ne abbiamo di più complessi. Quelli dei social sono costituiti da una serie di regole matematiche in grado di mostrare al pubblico risultati in linea con i loro interessi. Bene attenti, la parola chiave qui, come in tutto il mondo della comunicazione, non è “importante”, ma “interessante”. Si parla di interessi perché sono proprio quelli a essere considerati rilevanti per i social media. Semplificando, se guardo determinati contenuti, li commento o metto mi piace, l’algoritmo continuerà a propormi contenuti simili.
La motivazione è facilmente intuibile: l’interesse mi terrà letteralmente incollato alla piattaforma. E mentre io continuerò a stare immerso nel mio mondo social, fornirò preziosissime informazioni, che verranno poi rivendute agli inserzionisti.
Tornando all’algoritmo, in linea generale il suo funzionamento è abbastanza semplice: ogni volta che pubblichiamo un contenuto, l’algoritmo della piattaforma lo fa vedere a una piccola parte dei follower. In base a come reagiscono i primi utenti, decide se “spegnere” il contenuto o promuoverlo, rendendolo visibile. Ed ecco spiegati le 2mila visualizzazioni del piccolo Jacopo.
Se la logica è sempre la stessa, ossia dare maggiore visibilità a un contenuto interessante (parola sulla quale si potrebbe scrivere un intero libro), è vero poi che ogni piattaforma, proprio in virtù della sua natura, ha regole diverse. Non vorrei qui proporvi un trattato sugli algoritmi, ma dare un’idea di come muoversi nei vari territori, in considerazione del fatto che anche la comunicazione scientifica passa dai social e che un buon professionista della salute deve essere consapevole degli strumenti e dei canali che sta utilizzando.

 

 

Facebook e le sue 4 fasi
No, Facebook non è morto, e rimane tutt’oggi un canale molto interessante per una certa fascia d’età, ossia quella degli “anta”.
Il suo algoritmo si struttura in 4 fasi: inventory, signals, prediction e score. Nella prima fase vengono raccolti tutti i contenuti pubblicati da amici, familiari, personaggi pubblici, gruppi e pagine che stiamo seguendo, per capire quali informazioni proporre nel feed.
Quindi ecco l’analisi dei segnali del contesto e del contenuto. Per il contesto viene analizzato il dispositivo con il quale ci si sta collegando, il tipo di connessione, ad esempio se in wifi o in 4G, e il luogo geografico dal quale ci si collega. Sulla base di queste tre informazioni, Facebook comincia a selezionare alcune notizie piuttosto che altre. Per il contenuto, l’algoritmo si pone alcune domande: chi ha pubblicato? È un profilo personale o è una pagina? Cosa è stato pubblicato? Quale formato è stato condiviso? Qui l’algoritmo cerca di capire se vale la pena o meno proporre questa informazione; quindi valuta le reazioni: l’algoritmo monitora i commenti e like, ma anche quante persone hanno nascosto o bannato il post. Analizza inoltre il tempo di permanenza e i link cliccati. Più like, commenti, condivisioni e click il post riceve, e più sarà promosso.
Raccolte tutte queste informazioni, l’algoritmo “predice” quali saranno i contenuti che potrebbero essere più interessanti per l’utente e, come ultima fase, rilascia un punteggio di qualità (score) per i contenuti in base all’analisi dei segnali di contesto e di contenuto. Va da sé come i contenuti che hanno uno score più alto, vengano presentati all’interno della news feed.
Ecco perché a volte non mettiamo il like al post dell’amico: semplicemente, l’algoritmo non ce l’ha fatto vedere.

Instagram: interesse, tempismo e relazione
Instagram ha voluto chiarire dettagliatamente con un comunicato stampa il funzionamento del suo algoritmo. Questo perché, se agli esordi il social network mostrava i post in ordine cronologico, oggi il feed è organizzato in base al criterio della pertinenza.
Secondo i dati di Instagram, prima di questa modifica gli utenti non riuscivano a visualizzare il 70% dei post complessivi e il 50% di quelli dei propri amici. Con la nuova versione dell’algoritmo, è stato dimostrato che ora gli utenti vedono il 90% dei post dei loro amici, oltre a quelli delle aziende che seguono.
Ma quali sono i fattori che influenzano la visione dei post dei “seguiti”? Si tratta di 3 concetti: interesse, tempismo e relazione.
Tutto parte dalla previsione da parte di Instagram del potenziale engagement di un contenuto pubblicato. Gli infermieri associano il concetto di engagement al paziente, in sostanza qui è la stessa cosa: quanto più la persona si sente coinvolta, motivata e parte del processo, tanto più il risultato è garantito. La valutazione dell’engagement viene effettuata attraverso l’intelligenza artificiale e la sua capacità di comprendere i contenuti simili in passato apprezzati dai singoli utenti (da qui il concetto di interesse).
Per misurare la relazione, l’algoritmo verifica il rapporto tra gli utenti, scegliendo di mostrare i post delle persone più vicine e calcolando le interazioni tra loro.
Un ultimo aspetto cruciale è dato infine dal tempismo, ovvero quanto recentemente un post, sia esso un video o una foto, è stato pubblicato. Anche se meno importante rispetto al passato, il fattore temporale continua a essere uno degli elementi chiave del nuovo algoritmo.
A questi tre criteri principali si aggiungono altri fattori minori come la frequenza di accesso all’app, il numero di persone seguite e la durata delle sessioni. Come sempre, ogni secondo che passiamo sulla piattaforma, regaliamo moltissime informazioni in merito ai nostri gusti. E questo determinerà il nostro futuro sui social.

LinkedIn: contenuti longevi con una buona progettazione
LinkedIn vanta una certa longevità dei contenuti, un aspetto non da poco, soprattutto se si considera quanto sforzo occorra per preparare un post ben confezionato e quanto poco questo sia visibile nella rete. Detto ciò, anche l’algoritmo di LinkedIn è studiato per mostrare tutti quei post che possono interessare all’utente.
Allo scopo, tiene conto di diversi fattori. Il primo è la cronologia dei contenuti postati, in termini di frequenza e qualità dei contenuti che un utente pubblica sul proprio profilo: più un utente pubblica contenuti rilevanti e di valore, più è probabile che il suo contenuto venga mostrato agli altri utenti. Qui la qualità premia.
La forza delle connessioni è un altro aspetto chiave: se un utente ha molte connessioni forti e interagisce regolarmente, aumentano le probabilità che i contenuti delle persone connesse vengano mostrati l’una all’altra. Alias, più sei connesso, più vali.
Ultimo aspetto è dato dal feedback: se un utente segnala un contenuto come spam o inappropriato, l’algoritmo potrebbe ridurre la visibilità di quel contenuto. Utente avvisato …

Tik Tok, virale anche con 2 follower
Avremmo potuto illustrare gli algoritmi di altri social network come Twitter, Youtube o Pintereset, ma Tik Tok merita una riflessione in più. Primo, perché è il social network più utilizzato dai giovanissimi, che stanno letteralmente plasmando i propri interessi su questa piattaforma, secondo perché è un social media fortemente dibattuto.
Per Tik Tok più un contenuto verrà ritenuto interessante (sempre questa parola chiave) per un determinato utente, più gli verrà mostrato nella sezione dei “Per Te”. A pesare sono, in particolar modo, gli hashtag. L’algoritmo, infatti, propone i contenuti che presentano gli hashtag più visualizzati (entro certi limiti, altrimenti vengono considerati come spam ed è subito shadowban).
Un altro elemento che influisce sulla visibilità è il tempo di riproduzione dei contenuti. Più i video verranno visualizzati fino alla fine, senza interruzioni, più aumenterà la possibilità che l’algoritmo decida di proporli agli utenti che hanno apprezzato prodotti e tendenze simili.
Anche le interazioni sono molto importanti e determinano ciò che TikTok decide di propinare all’utente. Like, commenti, condivisioni, hashtag e account seguiti fanno capire alla piattaforma ciò che più potrebbe essere apprezzato.
Hanno infine un peso le informazioni inserite nelle didascalie dei contenuti, che devono essere accurate e accattivanti. Anche le impostazioni dell’account, come la posizione geografica e la lingua, sono elementi che aiutano nella targhettizzazione degli utenti e permettono di mostrare gli stessi video a persone con caratteristiche simili.
Ciò che invece non influenza l’algoritmo di TikTok è il numero di follower di ogni account. La piattaforma non dà rilevanza a questo elemento, ma preferisce puntare sulla tipologia dei contenuti e sul livello di gradimento che ricevono i singoli video.

 

 

Fin qui sembra tutto “normale”
Abbiamo all’inizio sollevato la questione sul ruolo dell’algoritmo nelle nostre vite, sulla sua capacità di plasmare lentamente ma inesorabilmente le nostre posizioni. Analizzandone le caratteristiche, emerge come gli algoritmi dei social media rappresentino un calcolo matematico, quindi all’apparenza “neutrale”; ma la realtà non è esattamente questa.
Con un piccolo esperimento, il Wall Street Journal è stato in grado di verificare cosa il social Tik Tok mostra ai ragazzi. Mediante la creazione di alcuni account automatizzati (bot), il giornale, spacciandosi per ragazzino della fascia di età fra i 13 e i 15 anni, ha identificato una serie di potenziali pericoli.
Dal test emerge come in una circostanza Tik Tok avrebbe fornito, a un account registrato come tredicenne, 569 video sull’uso di droghe, dipendenza da cocaina e metanfetamine, nonché video promozionali relativi alla vendita online di prodotti farmaceutici. In altri 100 video ha invece raccomandato ai minori siti di pornografia a pagamento e sexy shop. E migliaia di altri video sono stati promossi, nonostante etichettati come “solo per adulti”.
Spazzatura nello smartphone dei ragazzi, quindi? Abbastanza. Ma nessuno è escluso. In un circolo vizioso quasi distopico, l’interesse mostrato per un determinato contenuto in un frangente, in un singolo giorno o momento della nostra vita, genera altre proposte sempre sul medesimo argomento, in un costante giorno della marmotta che non ci lascia scampo. Che questo abbia un impatto su scelte e comportamenti è certo, quale sia la sua effettiva portata, è tutto da capire.
Ne siamo consapevoli? Sì e no. Gli algoritmi cambiano, evolvono, si perfezionano sotto ai nostri occhi. La sensazione di pensarla tutti allo stesso modo, solo perché l’algoritmo ci propone persone, contenuti e fatti a noi affini, diventa una leva per non accettare chi ha una visione diversa. Dov’è lo spazio per il confronto, se ascolto sempre e solo voci simili alla mia? In tal senso, l’esperienza dei vaccini anti Covid-19 ha fatto scuola.
Come l’intelligenza artificiale citata in questo numero della rivista, l’algoritmo è una bella opportunità che nasconde un lato oscuro. Non dimentichiamolo, mai.

 

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Elisa Crotti

Consulente Ordine delle Professioni Infermieristiche (OPI) di Milano, Lodi, Monza e Brianza
Consultant of OPI in Milan, Lodi,
Monza and Brianza